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Lo sguardo di Brighella

Creato il 04 febbraio 2015 da Marvigar4

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Furbo, opportunista, “brigante”, nel senso di colui che briga per ottenere qualcosa senza guardare in faccia a nessuno, ma fondamentalmente un cameriere, un subalterno che sogna di scalzare il padrone, senza riuscirci mai. Brighella, di origini bergamasche come Arlecchino, è un primo Zani, un intrigante, un faccendiere, un manutengolo, e anche per l’occasione un servo orobico della repubblica veneziana (Zani sta per Giovanni), ma, a differenza di Arlecchino, ci tiene a sottolineare che proviene da Berghem de Hura, da Bergamo Alta, la città vecchia. Brighella ha un motto: “mi son omo insigne ne le furberie e le più bele le ho inventate mi …”[1].

Lo sguardo di Brighella è lo sguardo dell’italiano medio, anche i colori del costume rispecchiano la bandiera nazionale: bianco, verde e il rosso della vergogna che non appare mai, ben nascosto dalla maschera di cuoio spesso. Brighella dovrebbe essere considerato l’emblema del nostro paese, popolato perlopiù da persone che, ovunque siano, in qualsiasi posizione si vengano a trovare (posizione geografica, sociale, politica ecc.), tendono a “brigare” pur di raggiungere uno scopo. I Brighella sono degli ego-distonici, perennemente in contrasto con il proprio Ego, e per questo sempre pronti a trovare delle giustificazioni per pararsi il culetto e scaricare su altri responsabilità proprie. Basta perlustrare la storia dell’Italia, assai prima dell’unità nazionale del 1861, ed ecco che il DNA dello Stivale ci viene illustrato: gli “italiani”, i mancati cittadini di cui, da Cavour in poi, sentiamo la nostalgia, si sono formati nell’assenza di una centralità territoriale, di uno stile, di un’estetica, nonostante la presenza copiosa di opere d’arte disseminate in tutte le regioni e di una natura generosa dal punto di vista paesaggistico; gli “italiani” hanno sempre sbandierato un’etica, alla quale puntualmente sono venuti meno, l’etica dell’onestà intellettuale, del rispetto per sé e per gli altri, dell’empatia; gli “italiani” non credono al bene pubblico, non sono “comunisti” perché non si sono mai interessati alla comunanza, alla compartecipazione e alla distribuzione equa e paritaria delle risorse materiali e morali, hanno sviluppato in virtù della loro storia caotica e dissennata un senso precario di sopravvivenza quotidiana che rifugge dai progetti a lungo corso (Francia o Spagna basta che se magna…).

Brighella è la nostra maschera nazionale, un primo Zani senza speranze che si aggira invischiato nelle sue stesse trappole, un ausiliario inquieto desideroso di calcare la scena del potere e di rimanere in sella più a lungo possibile, un piantagrane subdolo, vigliacco buono solo a scaricare il barile (in famiglia, al lavoro, nei rapporti affettivi e sociali). Ma il Brighella peggiore è colui che finge di non esserlo e ostenta un altruismo di facciata (la classe politica italiana è inguaribilmente infettata da questi falsi filantropi, dagli assistenzialisti scaltri che regalano caramelle al cianuro, ma anche altri settori, incluso quello artistico e culturale, sono abitati da certa gente, all’inizio magari venuta al mondo con le migliori intenzioni, poi divenuta complice e reggente di questo penoso programma), è l’italiano che ce l’ha fatta e l’ha messo nel didietro a tutti illuso di aver ottenuto una posizione solida e inattaccabile…

Marco Vignolo Gargini


[1] http://www.facoetti.com/index.php/storie-di-personaggi/451-la-storia-di-brighella

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