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Londra – Mongolia. L’avventura del Team Rust & Dust al Mongol Rally

Creato il 25 febbraio 2015 da Retrò Online Magazine @retr_online

In vista dell’Open Day organizzato dal Team Rust and Dust presso You and Partners, in corso Vittorio Emanuele II 74, il 26 febbraio, per Retrò Online, abbiamo incontrato due dei componenti del Team Rust & Dust che hanno partecipato alla scorsa edizione del Mongol Rally. Insieme, ci hanno raccontato il viaggio che li ha portati da Londra (UK) a Hulaanbaatar (Mongolia) a bordo di una poderosa Fiat 127. Un viaggio di 49 giorni, percorrendo 17.500 km, attraversando 20 nazioni.
Tommaso Piazza, terzo membro del Team Rust&Dust , lavora e vive attualmente a Berlino, seppur di provenienza torinese come i suoi compari Stefano Conz e Giovanni Testa. Sono Giovanni e Stefano a descriverci le sensazioni, le difficoltà, le emozioni che hanno variopinto questa avventura. E lo raccontano con occhi che potrebbero essere di Kerouac.

Team Rust & Dust open day Mongolia

Photocredit: Team Rust&Dust

L’intervista

Il Mongol Rally non è un viaggio in cui ci si può improvvisare. Come avete deciso di partire e quanto tempo vi è costata l’organizzazione?

Giovanni Testa: “Nel 2012 facemmo un viaggio in Cina e visitammo anche la Mongolia. Volammo a Pechino e da lì prendemmo un treno. La transiberiana in quel tratto prende il nome di transmongolica. L’idea di aderire al Mongol Rally era già balzata in mente a tutti e tre e da un po’ di tempo ronzava nelle nostre teste. Quando arrivammo in Mongolia, visitammo Ulaanbaatar e fortuitamente assistemmo all’arrivo di alcuni Team del Mongol Rally. In quel momento ci guardammo e ci promettemmo che un giorno saremmo tornati in Mongolia ma ci saremmo arrivati in macchina partendo dall’Europa. Da quel momento ci vollero due anni prima che la nostra promessa divenisse realtà. Due anni per organizzarsi fra lavoro (comunque si parlava di stare quasi due mesi fuori casa), sponsor, soldi e macchina”.

Stefano Conz: “Anche perché a livello organizzativo è davvero impegnativo. Passammo sei mesi a lavorare davvero sodo sul progetto. Bisognava appunto trovare dei buoni sponsor, dunque imbastire una buona strategia di comunicazione. Si doveva trovare una macchina, per così dire, “idonea”. Trovata la macchina, la si doveva mettere a posto. Dopodiché si doveva decidere il percorso. E quindi dovevamo richiedere i visti ai vari paesi in cui avremmo transitato. Riuscimmo ad ottenere 7 visti. Abbiamo dovuto poi richiederne 4 alla frontiera. Il primo visto ci imponeva come scadenza la sera del 26 luglio per varcare le soglie dell’Iran. La partenza del Mongol Rally si teneva a Londra il 20 di luglio. Quindi avevamo una certa qual fretta di toglierci dai piedi il tratto europeo del nostro percorso, compresa la Turchia. I primi furono perciò sei giorni di sola guida e sola autostrada. Tanto avevamo fretta, che certe volte, per dormire, invece che cercare una camera o un ostello, poggiavamo i sacchi a pelo sull’asfalto accanto alla macchina. Lo imparammo guardando come viaggiano proprio i turchi. In tutta sincerità, era bellissimo, oltre che un sacco divertente. Il 27 mattina al confine iraniano ci aspettava una guida che avrebbe accompagnato durante la nostra traversata una decina di Team del Mongol Rally tra cui noi. Che in realtà non è una vera e propria guida. E’ piuttosto un modo che usa il governo iraniano per controllare chi entra e chi esce dal paese, e dove si trovi. Attraversammo l’Iran in cinque giorni”.

In viaggio verso la Mongolia

Photocredit: Team Rust&Dust

Oltrepassato l’Iran?

Giovanni: “Superato l’Iran giungiamo in Turkmenistan. E appena giungiamo scopriamo con nostra sorpresa che vige una vera e propria dittatura, con tanto di coprifuoco e foto in prima pagina su tutti i giornali del “Presidentissimo”. Il Turkmenistan è praticamente un luogo dove vige il nulla. Un deserto. Tranne per la capitale, Asgabat, che quasi pare vienna con i suoi semafori in ferro battuto e i suoi grandi palazzi bianchi. Facciate bellissime che però non contengono nulla. Hotel a cinque stelle che però non ospitano nessuno. La chiamano “la città dorata”. In realtà è una città fantasma.”

Stefano: “Non puoi fare nulla in quella città. Ricordo una mattina, uscii per prendere un caffè e subito dopo sostai davanti alla porta di ingresso dell’hotel per fumarmi una sigaretta. Appena mi vede, il concierge esce dall’hotel e corre verso di me per avvertirmi che lì non potevo stare. Nel frattempo mi raggiunge anche un poliziotto (ci sono poliziotti ad ogni angolo) che mi chiede che cosa stessi facendo e mi chiede i documenti. Per finire la sigaretta il portinaio mi ha dovuto accompagnare in un cortile interno all’hotel in cui si poteva stare tranquilli.”

Giovanni: “L’unica vera attrazione turistica presente in Turkmenistan è “La porta dell’inferno“. La cosa incredibile è che il governo quasi nega l’esistenza di questo disastro ambientale. Quindi, per raggiungerlo, bisogna chiedere indicazioni agli abitanti del posto e dirigersi a nord di Asgabat e costeggiare un piccolo villaggio di nome Darvaza. Abbiamo parcheggiato la macchina che non poteva avanzare nel deserto. Abbiamo dovuto così marciare a piedi nella sabbia per alcuni chilometri prima di giungere al cospetto del Gates To Hell”.

Transitate in Turkmenistan per soli tre giorni e poi vi rimettete in marcia verso L’Uzbekistan, in cui permanete altri tre giorni.

Stefano: “In Uzbekistan abbiamo visto la povertà. Le persone che lo abitano vivono in una condizioni miserabile e, se in Turkmenistan acquistavamo benzina con pochi centesimi, in Uzbekistan è quasi impossibile trovarne. La valuta Uzbeka ha un tasso di cambio bassissimo e quando andammo in banca per cambiare i nostri dollari, fu la banca stessa a consigliarci il mercato nero, poiché, paradossalmente, i trafficanti del mercato nero possedevano una quantità di cartamoneta maggiore. Assurdo. Fu poi al mercato nero che incontrammo un uomo che era disposto a venderci della benzina. Quando ci siamo avvicinati ad una pompa di gasolio, ci ha avvicinati e ci ha chiesto se stessimo cercando del carburante. Al nostro sì, ci ha esortato a seguirlo. Siamo quindi andati a casa sua, dove nel cortile conservava alcune taniche, contenenti una brodaglia che assomigliava a benzina. Noi due rimaniamo fuori nel cortile a contrattare il prezzo con uno dei venditori, mentre Tommaso viene invitato ad entrare in casa per controllare la qualità della benzina. Abbiamo poi scoperto che mentre Tommi era dentro, i venditori stavano proponendogli in sposa una delle loro figlie. Dopo quel giorno, abbiamo abbandonato la zona nord e siamo entrati nella parte meridionale dell’Uzbekistan. Da lì abbia,o superato i deserti e siamo entrati in Samarcanda, quindi nella zona sud est, quella più turistica. Abbiamo constatato che la zona sud dell’Uzbekistan è decisamente più piacevole e qui abbiamo potuto ammirare l’antichissima storia di alcune di queste cittadine che esistono da quasi tre mila anni.”.

Il vostro viaggio segue sulle vie del Tagikistan e qui arrivano le prime complicazioni. Tommaso viene però colto da una febbre improvvisa che rallenta il vostro transito. 

Giovanni: “Esatto. Fondamentalmente Tommi stava già iniziando ad accusare malori a Samarcanda. A nostra insaputa, aveva iniziato una terapia antibiotica proprio a Samarcanda. Giunti a Dušanbe, la condizione di Tommi peggiorò ancora e così fummo costretti a portarlo all’ospedale. E ve lo raccomando l’ospedale di Dušanbe… Là gli diagnosticarono un’infiammazione ai reni e lo imbottirono di antibiotici. Siamo stati costretti a partire quando ancora la febbre cavallina di Tommi non era stata ancora del tutto smaltita ma non avevamo altra scelta. O partivamo o sforavamo con i tempi concessi dai nostri visti. Sforare con i visti avrebbe potuto dire interrompere il viaggio o peggio rischiare la galera. Un Team è stato obbligato a dieci giorni di reclusione per aver ritardo di un giorno il passaggio della frontiera. Dovevamo partire, anche se la febbre di Tommi c’era ancora”.

Mongolia, il Team Rust&Dust sta arrivando.

Photocredit: Team Rust&Dust

Il vostro percorso comprendeva un tratto abbastanza lungo da percorrere risalendo l’altopiano del Pamir. Com’è viaggiare costantemente a tre mila metri sopra il livello del mare?

Stefano: “Difficile. Per abituarci ci è voluto un po’. Senza contare che un mal di testa latente, quasi in sottofondo, ci ha accompagnato fino alla discesa. Dal punto di vista paesaggistico è forse una delle zone più belle che abbiamo visto durante il nostro percorso. Il cielo si stagliava sopra di noi blu come non mai e le montagne erano decorate con il candore della neve ed accanto alle vette scorgevamo nuvole bianchissime. Ciò che ci ha forse messi un po’ più in difficoltà nel tratto del Pamir è stata la strada sterrata, che era una vera e propria strada di montagna con tanto di strapiombi e priva di recinzioni o protezioni”.

Concluso il tratto del Pamir è la volta di Kirghizistan, Kazakistan e Russia. In Kazakistan totalizzate il record di chilometri percorsi in un giorno e non vi fermate mai, se non per dormire, in nessuna di queste nazioni.  Avevate particolarmente fretta?

Stefano: “Oltre alla fretta (data sempre dalla faccenda “visti”), ci annoiavamo. Dopo il tratto autostradale europeo questa è stata la parte più noiosa del viaggio. Anche parlando di paesaggi e bellezze naturali, nulla ha attirato la nostra attenzione.”

Giovanni: “La stessa strada era piuttosto noiosa. Tutta dritta. Sempre dritta. Il risultato del lavoro di un ingegnere sovietico che si è limitato a tracciare una linea da un “punto a” a un “punto b”, senza tenere minimamente conto di cosa ci fosse intorno. Volevamo solo fare in fretta e arrivare in Mongolia”.

Giungete finalmente in Mongolia ma Ulaanbaatar è ancora “lontana”. Anzi, la parte finale è fra quelle più ardue del vostro viaggio. 

Giovanni: “Innanzitutto la Mongolia è grande tre volte la Francia. Ad abitarla sono tre milioni di persone, e questo rende la Mongolia il paese con la densità popolare minore al mondo. Quindi sì, entrati in Mongolia sapevamo che strada da fare ce n’era ancora. Eccome se ce n’era”.

Stefano: “Pensavamo ingenuamente di aver visto la strada peggiore con il Pamir ma, ahimè, ci sbagliavamo. Le strade mongole sono l’apoteosi dell’avventura e dell’impraticabilità. Se negli altri stati azzardavamo anche sessioni di guida notturna, la Mongolia ce lo ha impedito con le sue strade sterrate piene di buche, i suoi guadi e i suoi fiumi da attraversare. Sì, fiumi. Uno lo abbiamo attraversato facendoci trainare da un trattore. E non solo. I guadi erano così tanti, che ad un tratto la nostra Fiat 127 aveva imbarcato troppa acqua, costringendoci ad una sosta di cinque ore. In quel momento pensavamo che il nostro Rally fosse terminato e che la macchina ormai ci stesse abbandonando. Avevamo distrutto un cerchione e il motore non dava segni di ripresa. Fortunatamente, dopo cinque ore che eravamo fermi, avvistammo un Team di Olandesi che si apprestava a raggiungere l’arrivo a Ulaanbaatar. A bordo di questo Team c’era un meccanico e grazie alla sua competenza riuscimmo a rimetterci in pista, concludere il nostro viaggio e entrare trionfanti ad Ulaanbaatar”.

Il team Rust and Dust arriva in Mongolia

Photocredit: Team Rust&Dust

Con tutti questi chilometri e tutta questa fretta, nemmeno una multa?

Stefano: “In verità sì. Ci ha traditi un velox in Russia. Ci fermarono dei poliziotti pretendendo il pagamento della multa. Ma noi riuscimmo a ricorrere ad una retorica così estenuante da convincere i poliziotti a cancellare la multa e lasciarci in proseguire in pace”.

Qual’è la popolazione più calorosa che avete incrociato durante il vostro viaggio?

Stefano: “Gli iraniani. Sicuramente gli iraniani. Sono stati molto accoglienti e premurosi con noi. Quando ci fermavamo ai semafori ci facevano segno di abbassare il finestrino per porgerci doni e regali. Con una deliziosa famiglia che ci ospitò in casa siamo ancora oggi in contatto”.

Giovanni: “C’è da dire che gli Iraniani patiscono molto l’immagine che la stampa estera ingiustamente affibbia alle loro vite. Quindi ci tengono a smentire i pregiudizi che porta con sè l’uomo europeo. Europeo, non americano. Gli americani invece non sono per niente apprezzati. Anzi, in certe occasioni di tensione ci è bastato chiarire che di essere italiani e non americani”.

Stefano: “Gli iraniani soffrono il regime che li comanda e che non rispecchia per nulla il sentire della popolazione. Gli iraniani odiano il regime. Abbiamo parlato con molti giovani e tutti hanno dimostrato avere idee progressiste e assolutamente contrarie al fanatismo del regime. Il problema che attanaglia queste idee riformiste è la presenza prepotente della polizia di regime, la polizia religiosa e i servizi segreti che ghermisce ogni tentativo di cambiamento”.

Il Mongol Rally si sviluppa su un concetto molto letterario e molto romantico di “avventura” al quale sicuramente, oggigiorno, non siamo più abituati né a vivere né a pensare. Per voi com’è stato, dopo aver vissuto un’esperienza così estrema e rinvigorente, tornare a casa e alla vita di tutti i giorni?

Stefano: “Un semi-trauma. Per due mesi le nostre priorità erano poche, pragmatiche e ben definite: l’acqua, la benzina, i chilometri da percorrere, l’automobile da preservare. Per due mesi la nostra priorità è stata quella di sopravvivere. Tornati a casa, vedevamo queste persone che lavoravano, parlavano, facevano cose e ci sentivamo davvero spaesati. Abbiamo avuto bisogno di un po’ di tempo per rientrare nei ranghi e per riassorbire l’emotività del viaggio e del rapido cambio di condizione. Sicuramente è un viaggio che ti cambia”.

Ci sono altre avventure in programma?

Giovanni: “Ne parleremo il 26 febbraio all’open Day che abbiamo organizzato presso You and Partners a Torino. Presenteremo il nuovo progetto e inizieremo a pianificare la nostra prossima avventura. Siateci”.

QUI potete consultare la pagina Facebook del Team Rust and Dust.

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