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Napolitano: «Onore alla Magistratura». Ma la sua riforma ha la priorità sul resto

Creato il 10 maggio 2011 da Iljester
Il Capo dello Stato ha rimarcato gli onori alla magistratura prima di qualsiasi riforma. Eppure, se da una parte non possiamo dimenticare tutti quei cittadini che a causa di certa magistratura hanno subìto delle ingiustizie, dall'altra bisogna diventare consapevoli che la sua riforma è prioritaria.

Napolitano: «Onore alla Magistratura». Ma la sua riforma ha la priorità sul restoIl Presidente Napolitano, commemorando le vittime cadute sotto i colpi del terrorismo e della mafia, ha detto chiaramente che prima di qualsiasi riforma è necessario «onorare i magistrati». E l’onore glielo diamo pure, ma non è meno vera la necessità di ricordarsi anche di quei magistrati che, con i loro operato mediocre, hanno causato diverse ingiustizie ai cittadini. E di questi, Napolitano, stranamente non si è rammentato.
Onore dunque alla Magistratura, ma con una postilla: pure una certa obiettività nel valutare il suo operato, che non è sempre rose e fiori e che spesso ha creato più danni che vantaggi alla collettività con la sua lentezza esasperante, dovuta non necessariamente (come tendono a giustificarla i magistrati) agli scarsi mezzi messi a disposizione dallo Stato, quanto piuttosto da un evidente squilibrio tra potere e dovere che si rileva all’interno dell’ordine magistratuale, unito a una blindatura eccessiva della carica rispetto alla effettiva esigenza di tutela dell’autonomia e dell’indipendenza del magistrato e a una confusione di carriera e di ordine ingiustificata tra giudice e pubblico ministero.
Confusione – debbo ancora ricordare – che nel nostro paese è stata determinata da un motivo di ordine storico che nel tempo è diventato un evidente travisamento del concetto di ripartizione dei poteri: credere che la pubblica accusa sia tradizionalmente parte dell’ordine dei magistrati. Nel resto del mondo le cose non vanno proprio così. L’accusa è una promanazione del Potere Esecutivo, e il magistrato – in quanto terzo potere dello Stato – è solo il Giudice. E là dove non lo è, spesso e volentieri è una carica elettiva che risponde direttamente al popolo.
In Italia le cose non sono andate in questo modo, e questo perché il Fascismo ha creato una profonda lacerazione nella nostra cultura giuridica e politica. Ci ha resi paurosi, tanto paurosi dall’aver praticamente svuotato il Potere Esecutivo di ogni vero potere politico e d’azione, subordinandolo da una parte al Potere Legislativo (con un parlamentarismo spesso isterico), e dall’altra incrementando esponenzialmente le prerogative e le guarentigie costituzionali del Potere Giudiziario, nelle quali sono stati ricompresi sia i Giudici (che naturalmente fanno parte di questo potere), sia i Pubblici Ministeri (che naturalmente fanno parte del Potere Esecutivo).
I nostri costituenti presero questa decisione azzardata, ma ne furono pienamente consapevoli, ecco perché introdussero come meccanismo di compensazione l’art. 68 Cost., vecchia formula. Perché era l’unico modo per garantire comunque l’indipendenza della politica, senza la necessità di restituire (soprattutto) al Potere Esecutivo le facoltà e le prerogative che gli furono amputate a causa della dittatura fascista.
E le cose – diciamo – avrebbero potuto andare bene per molti altri decenni, se non fosse che l’art. 68 Cost. venne modificato per via di «Tangentopoli». Da allora, l’equilibrio (già precario) garantito dalla nostra Costituzione è stato irrimediabilmente alterato, e la magistratura ha acquisito un potere oltre i limiti originariamente previsti dalla Carta fondamentale. Talmente oltre che oggi le attività del Governo e del Parlamento sono profondamente condizionate dalle azioni giudiziarie; azioni che hanno creato un aspro conflitto tra i poteri dello Stato, di cui Berlusconi è l’epicentro, ma non la causa. Certi conflitti infatti erano già vitali venti, trenta e forse quarant’anni fa. Perché nonostante l’art. 68 Cost. vecchia formula, l’equilibrio instaurato nel ‘48 era comunque un equilibrio basato su una forzatura giuridica e politica che prima o poi sarebbe collassato. Era solo questione di tempo dunque, e Tangentopoli, nel 92-93, aveva semplicemente accelerato il processo.
Processo che oggi è arrivato all’estremo limite del politicamente sopportabile. Ciononostante qualcuno, quasi fosse cieco e sordo, accusa con un atteggiamento fastidiosamente petulante il Governo di non combinare nulla e di pensare solo alla «riforma epocale della giustizia». Ma quel qualcuno non si è affatto posto il problema che certe riforme ormai (ormai!) sono propedeutiche rispetto al resto; sono una sorta di condicio sine qua non che non può essere evitata. Solo se la politica può lavorare con relativa tranquillità e senza la metaforica pistola giudiziaria puntata alla tempia, è possibile che combini qualcosa di positivo per i cittadini. Diversamente è come se pretendessimo che qualcuno ci preparasse un pranzo luculliano, e nel contempo impedissimo a quel qualcuno di non usare cibo, pentole e fuoco. In altre parole, è come se gli fissassimo degli obiettivi senza fornirgli i mezzi e le materie prime per raggiungerli.
Ecco perché ritengo che la riforma della Magistratura abbia la priorità su tutto. Perché solo così sarà possibile ripristinare un accettabile equilibrio tra politica e magistratura, del resto due facce della stessa medaglia: quella della Repubblica Italiana.

Fonte: Il Tempo


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