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Chi mi segue da tempo conosce perfettamente quali sono le mie origini, sono Sardo. Ma non uno di quei Sardi che ama la vita mondana della Costa Smeralda e di Porto Cervo, sono più di quelli che preferiscono passare le mattine e i pomeriggi in giro per i monti, ad assaporare i profumi della terra, oppure passeggiare per le meravigliose coste che questa terra ha da offrirci; sono un Sardo che adora conoscere le proprie origini, i propri artisti e scrittori, i propri sapori e la propria origine nel vero senso del termine. Sono un Sardo vero, per dirla in maniera sbrigativa.
E come reagisco a ciò che ha detto Paolo Villaggio?
Rido. Accenno un sorriso e via, quello che è stato è stato e bello quando ormai è passato, come se la cantano e scherzano i Padrini.
Onestamente ho tanto amato il Villaggio prima comico, poi scrittore, poi attore; l'ho amato profondamente con il suo Fantozzi ragionier Ugo che tanto ha descritto noi (voi) italiani durante gli anni '70 - poi ha avuto una parabola discendente, dopo i primi due film, non indifferente - facendoci ridere e, allo stesso tempo, piangere. Ma questo l'ho già detto in un altro post tanto e tanto tempo fa.
La sua battuta, quella di Villaggio, è stata una squallida e infelice dichiarazione che riproponeva uno stereotipo vecchio e ormai abbondantemente superato, che non dovrebbe neanche tangere lontanamente l'animo dei Sardi, i quali, invece, hanno reagito subito: su Facebook sono ormai innumerevoli le pagine di lamentele nei confronti del comico; i pastori Sardi addirittura si mobilitano per denunciarlo; Gavino Ledda, sì, proprio lui, l'autore di "Padre padrone" che per primo fece emergere il mondo pastorale Sardo raccontando anche accoppiamenti tra giovani ragazzi e pecore, definisce Villaggio un "coglione".
E io sto qui a domandarmi perché tanta indignazione? Perché tanto scalpore per una battuta (tra l'altro recitata pessimamente) che non fa ridere e anzi crea imbarazzo tra i presenti? A parte Alessandra Mussolini ovviamente, ma qui siamo a casi fuori dal normale. E soprattutto sto a chiedermi insistentemente perché tutti i Sardi indignati nei confronti di Paolo Villaggio poi son proprio quelli che rispondono presente all'appello del Blasco, il quale in un'intervista disse «Perché inizio il mio tour dalla Sardegna? Beh, tutti prima o poi devono andare al cesso»?
Eh sì, questi son tutti quesiti che rimarranno probabilmente irrisolti, come anche l'ultimo che al momento mi sovviene.
In questi giorni si ricorda la scomparsa di Fabrizio De André, un maestro, forse il più grande che la musica italiana abbia mai avuto. Ogni tanto ripenso alle sue parole, che già ebbi modo di citare su queste povere e fatiscenti pagine:
"La vita in Sardegna è forse la migliore che un uomo possa augurarsi: ventiquattro mila chilometri di foreste, di campagne, di coste immerse in un mare miracoloso dovrebbero coincidere con quello che io consiglierei al buon Dio di regalarci come Paradiso"
Ecco, rileggo queste frasi con immenso orgoglio e profonda ammirazione nei confronti di questa meravigliosa terra e di chi le ha pronunciate, poi penso alla faccia che avrebbe potuto fare il buon vecchio Faber sentendo le parole del suo caro amico, con il quale scrisse capolavori quali "Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers" e "Via del Campo". Ma io, al contrario di voi altri Sardi incazzati e indignati nei confronti di un vecchietto grasso e con la voce stentata le cui parole non dovrebbero neanche scalfire il vostro apparato uditivo, sto qui nell'alto dei monti del mio paese, mentre guardo le pianure del Campidano che lentamente vanno a perdersi nelle saline e nello stagno di Santa Gilla, per poi andare a congiungersi nell'immensità del Mar Mediterraneo, lasciando Paolo Villaggio e la sua battuta nei ricordi, nei pensieri e nelle parole di coloro che serbano rancore, provano disprezzo e alimentano così questo deleterio gioco dell'odio.Voi continuate pure così, io vivo la mia vita e godo della mia terra.
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