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Non solo Coffee. Starbucks venderà anche vino e birra

Creato il 21 marzo 2014 da Retrò Online Magazine @retr_online
Non solo Coffee. Starbucks venderà anche vino e birra mar 21, 2014    Scritto da Gabriele Ciuffreda    Attualità, Gusto, News 0

Non solo Coffee. Starbucks venderà anche vino e birra

Probabilmente è il food brand più amato e desiderato dai consumatori italiani all’estero.
Nessun social network può scampare a foto con protagonisti la caffetteria più famosa del globo: Starbucks.
In questi giorni è stata annunciata una rivoluzione, anzi un evoluzione della sirena bianco-verde. Starbucks comincerà a vendere bevande alcoliche.
Non più solo “frapuccini”, “muffin”, “double espressi”, “carot cake” ed enormi cappuccini, Starbcuks venderà anche bottiglie di vino e di birra. I punti vendita avranno si chiameranno Starbucks Evenings, saranno almeno mille negli Usa, con vendita di alcolici  riservata a maggiorenni sopra i 21 anni e solamente dopo le 4 del pomeriggio. La vendita appunto si limiterà a birra e vino, no cocktail e spirit. Un passo alla volta.

«Questa è un naturale divenire per Starbucks, una nuova occasione per i clienti che dopo lavoro potranno connettersi e rilassarsi con i propri colleghi e amici anche la sera». Dice Lisa Passe, portavoce dell’azienda di Seattle.
La forza di Starbucks è propria questa. Locali comodi, caldi, intimi e con wifi libero. Fidelizzazione clienti attuata tramite cortesia dei dipendenti,sempre e comunque, e identica posizione dei prodotti in qualsiasi negozio. Rendere quindi “noto” e familiare ogni locale agli occhi del cliente è fondamentale.
Nella cultura anglosassone è nota l’abitudine di fermarsi a bere coi colleghi dopo il turno di lavoro, e i locali Starbucks avranno tutte le qualità per porsi come rivali ai tradizionali pub.
La vendita di birra nei punti vendita Starbucks non è una novità. Nel 2010 in 26 locali oltre quelli presenti a Seattle, sede natale della multinazionale, si cominciò a vendere birra. Oggi l’obiettivo è quello di creare una rete vendita più vasta e più indirizzata alla logica del pub più che della caffetteria, senza tralasciarne le caratteristiche di quest ultima.
Se l’iniziativa di Starbucks Evenings porterà gli aspettati risultati, non è difficile immaginarsi un’ulteriore colonizzazione anche in territori “cugini” come Gran Bretagna, Canada e Australia. E chissà anche in Europa continentale.

Howard Schultz, Chief executive officer e creatore del marchio, appare chiaro: «In media un cliente Starbucks spende 5 dollari al giorno, facilmente riusciremo a supereremo questo numero». Continua Schultz: «Siamo all’inizio della nostra crescita e del nostro sviluppo. Se fossimo ad esempio un libro di 20 capitoli, noi saremmo solo al quinto».
Il programma ha già coinvolti città importanti quali Chicago, Seattle, Los Angeles, Atlanta, Portland, Oregon e Washington D.C.

Starbucks  è una mastodontica catena di caffetterie che conta quasi 20 mila punti vendita con 160 mila dipendenti in 58 paesi nel mondo. Il suo logo è la stilizzazione di una sirena verde e bianca con doppia coda, personaggio del romanzo  ”Moby Dick” di Herman Melville.
In territorio europeo le principali capitali hanno negozi Starbucks: Madrid, Berlino, Londra e Parigi. Locali divenuti nel tempo veri e propri luoghi di riferimento per autoctoni e turisti.
Il volume di affari della multinazionale di Seattle conta 13 miliardi di fatturato con un utile di 2 miliardi l’anno.

Ciclicamente in Italia, il discorso Starbucks solleva polemiche e discussioni. L’anno scorso circolavano bufale su aperture di caffetterie a Torino e a Milano.
L’assenza di Starbucks nel Bel Paese non risulta solo temporanea, ma perenne. La patria dell’espresso non accetterà mai l’idea del caffè in bicchieri di plastica  recandosi a lavoro, a piedi o in macchina. Inoltre  la possibilità di prendere un espresso in un bar per più di dieci minuti risulterebbe per un italiano cosa fuori luogo. Opinione personale? No per nulla,  a dirlo è stato lo stesso Howard Schultz. «Pur avendo preso ispirazione dal modello sociale e commerciale del caffè dalla tradizione italiana, in Italia il nostro marchio non funzionerebbe». Concludeva  il presidente e amministrativo delegato di Starbucks.

D’accordo o no  con le opinioni di Schultz, l’investimento in Italia appare lontano. Nonostante i simili che pullulano sul territorio italiano: l’Arnold Coffe a Milano, Cup Coffee e Starbest a Napoli.  A Torino ha riscosso parecchio successo in zona universitaria Busters Coffee, versione italianizzata di Starbucks.


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