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Pane, fragranza della Storia

Da Radicalelibero

Pane, fragranza della Storia
Un titolo che è come una preghiera. A recitarla, Predrag Matvejević. “Pane nostro” che sei nei libri, vien subito da continuare. Merito alla Garzanti, per aver captato, ancora una volta, la grandezza dello scrittore bosniaco dopo il salato “Breviario Mediterraneo”. Sotto la lente analitica di Matvejević, qui, è il pane. Come lì lo era stato il mare. Pure, un filo non interrotto: pane e mare finiscono per essere complementari, per scambiarsi gli odori; vicendevolmente si regalano l’uno all’altro, si influenzano, si accoppiano in un grumo storico indissolubile. Ma anche pane e strade, pane e deserto, pane e monti. In quanto, il vero contrattare antropologico è quello fra pane e mondo. Perché facendosi cibo nelle case, nei forni, nei fuochi, nel forni, nelle strade, sulle pietre, il pane introietta i gusti che sono gusti collettivi. La mollica s’impossessa delle nenie arabeggianti del Medio Oriente, si impregna della sacralità dei conventi umbri, ellenici, cirenaici, si impana nella sabbia africana.

Seguendo le rotte del pane, seguendo la sua storia, Matvejević, in “Pane Nostro”, narra leggende umane e divine, miti e civiltà. Il pane, in tutte le sue forme, diventa un eroe pulsante, coraggioso, errante. Come Ulisse, viaggia di sponda in sponda, senza sosta. Perigliosi viaggi e soste in Terre lontane gli danno nuovi sapori e nuovi odori. E di fronte a questo mitico zingaro, l’autore si spoglia di ogni superbia e si fa umile. La sua preghiera rimbomba fra le pareti del tempo e dello spazio, rimbalza fra lirismo ed enciclopedismo. Come un Dio, come Dio, come ogni Dio, anche il pane si fa trascendente ed al tempo stesso carnale, vero, vivo. E come un Dio, il pane ha la sua storia che si perde nella coltre del tempo, nelle spire fumose del dubbio, dell’incerto, quasi fosse proibito saperne troppo. Come un Dio ha i suoi accoliti, i suoi seguaci, i suoi discepoli, i suoi credenti. L’uomo che lo crea e lo plasma dalla terra nera al seme, dal seme alla spiga, dalla spiga al frutto, dal frutto alla farina, dal farina al forno, in fondo non è altro che un ossequioso credente. Un concentrato di speranza legato indissolubilmente all’atmosfera ed alle bizze della meteorologia, costretto dal governo degli elementi naturali ad ottenere il massimo prodotto dalla fatica del lavoro nei campi. E come un Dio, il pane ha anche i suoi tempi. La panetteria è cattedrale laica. E, come quella sacra, punto di raccordo di voci ed incontro di viandanti e cittadini, di viandanti e pellegrini, di straccioni e notabili. Che, prima di assaporane il gusto, ne possono già godere l’odore.

Leggere “Pane nostro” è fare un continuo sforzo masticante. Esplode nelle narici un tripudio profumoso, sotto i denti la sensazione autentica di essere in preda ad un’estasi sensoriale che rasenta la lussuria. E, nella tensione al pane, in questo continuo desiderio di averlo e di addentarlo, si torna bambini. Finanche, ci si fa altri bambini, corpicini di altre epoche e di altri luoghi. E di queste esperienze, il pane è consustanziazione, minimo comun denominatore dei ricordi, pratico facimento. Così, suscitandoci con il pungolo lettarario, Matvejević ci racconta il “dramma” del pane, copione di fatiche e di dolore. Che, nonostante questo, lenisce ciò che tocca. Che sia nero o fragrante, che sia rancido o fresco, è toccasana per le pance.

E la storia che ci racconta, del pane, del frumento, della farina, è storia plasmata di leggenda, narrazione, viaggio, vita, pace e guerra, scontri e incontri; è storia impressa nella fede e nella fame; è storia divina, beata, santa, magistrale, simbolica, numerica, esemplare; storia fisica, tattile, di lavoro, sudore, genti, strumenti, stagioni, sfruttamento; è la storia che si affigge alle porte del tempo, si immerge nelle epoche , si incammina per le vie di Damasco e della Giordania, nei monasteri copti di Grecia ed Egitto, si in scrive alla Bibbia ed al Corano come al Talmud; storia declinata al maschile ed al femminile, interdetta ai meschini, schiusa invece alla schiera degli ultimi; storia identitaria ed insieme egualitaria. Insomma, una storia infinita, narrata con tutta la pazienza di cui solo Predrag Matvejević è capace.
Predrag Matvejević, “Pane nostro”, Garzanti 2010
Giudizio: 4 / 5 – Gustarlo con cura



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