Con queste cinque righe Predrag Matvejević apre il suo ultimo libro Pane nostro, che, come scrive Erri De Luca nella postfazione, “narra il grandioso vagabondaggio del grano, la lunga selezione e specializzazione trasmessa dalle generazioni”.
Per raccontare questa saga del pane, che abbraccia l’intera storia dell’umanità, ha impiegato vent’anni. Il nostro grande Predrag, che ha pagato il suo dissenso alla guerra con l’esilio l'opposizione ai fabbricanti di odio e di morte da Belgrado a Sarajevo e che ha rischiato il carcere dopo il suo ritorno a Zagabria, lo ricordiamo anche per il suo memorabile saggio Breviario mediterraneo tradotto in trenta lingue giunto alla X edizione, dove sostiene quanto sia importante il dialogo mediterraneo, e l’incontro politico e umano tra cristiani, musulmani e ebrei.
Pane nostrum invece, e per noi a parte il nome l’accostamento non è casuale, è la Festa Internazionale del Pane che si tiene a Senigallia. La XII edizione si è appena conclusa lo scorso 23 settembre con un grande successo di pubblico; un vero e proprio spettacolo della panificazione in piazza, definito da Il Gambero Rosso “uno degli appuntamenti gastronomici imperdibili nel panorama italiano” che ha raggiunto una dimensione molto importante, con quarantamila presenze in soli quattro giorni.
“Nata per la sensibilità di due associazioni di categoria e di un panificatore semplicemente per far conoscere il pane marchigiano, anno dopo anno si è trasformata in una significativa occasione, spiega Paola Curzi, 46 anni, Assessore alle Attività Economiche del Comune, per far conoscere pani e prodotti da forno di tutte le forme e di tutti i sapori. Per quattro giorni nei sei laboratori a “cielo aperto” disposti nella centrale Piazza del Duca, maestri panificatori hanno sfornato specialità dal Trentino Alto Adige il pane delle Dolomiti e lo Shuttelbrot (pane di Segale), dalla Liguria il libretto e la focaccia ligure, il pane del pescatore, dalla Toscana il pane di Altopascio e i presidi Slow Food: Marocca di Casola con farina di castagne e il Testarolo Pontremolese, dall’Umbria il Pane di Terni e il Pan Pepato, dal Lazio il pane di Genzano, dall’Abruzzo i Fiadoni, dalla Calabria la pitta catanzarese, dalla Sicilia il pane etneo tradizionale, la mafalda, il pane con le olive e i biscotti al sesamo oltre a quelli delle città gemellate Sens, Francia, e Lorrach, Germania e della Grecia, dalla provincia di Etoloakarnania.
Il corso di paniificazion
Per noi la centralità è il pane, il forno sotto casa, che migliora sempre di più la qualità del prodotto, senza contare poi i panificatori che sempre più utilizzano farine da agricoltura biologica e quelli con la filiera corta della produzione, che il grano coltivano, lo trasformano, lo panificano e lo commercializzano. Quindi la sensibilità della nostra amministrazione, sostiene l’Assessore, è quella di avvicinarsi sempre di più a un’agricoltura sostenibile e solidale e a quella delle realtà locali che l’alimentano; ecco allora che accanto al pane abbiamo in mostra tutto il companatico ovvero produttori del biologico di salumi, formaggi, vini.Antonio Cipriani con le mani in pa
Grande è stato l’interesse nei laboratori proposti allo stand dell'AIC per la celiachia, così come quelli del Gusto Slow Food in collaborazione con l’istituto Marchigiano per la valorizzazione dei vini e quelli dedicati alla Birra. Abbiamo anche coinvolto, e questa è una novità, i nostri chef stellati Mauro Uliassi, Moreno Cedroni, e anche Fiorfrì con i loro fiori fritti, per valorizzare la nuova tendenza dello “street food” il cibo da strada, che in un momento di crisi si muove per offrire qualità del cibo in maniera veloce a prezzi contenibili.”Antonio Cipriani
Veramente tante le iniziative. Tutto esaurito nei corsi di panificazione e nel laboratorio sulla pasta madre tenuti dal docente e maestro panificatore Antonio Cipriani che si definisce un semplice fornaio, “Amo il mio lavoro, afferma, la mia filosofia è quella di mettere a disposizione degli altri l’esperienza che viene per avere da oltre quarant’anni le mani bianche di farina. Il mio obiettivo è quello di affermare la cultura della panificazione puntando esclusivamente sulla qualità, alla faccia dei milioni di quintali di pane precotto e congelato che importiamo dalla Romania e da altri paesi dell’Est Europa senza contare poi tutte quelle farine che arrivano da ogni dove con scarsi controlli sia dal punto qualitativo che igienico.”Cipriani ha toccato una nota molto dolente. Nel paese della pasta e della pizza si stima che oltre il 25 per cento del pane confezionato viene infatti da qui paesi (oltre alla Romania la Bulgaria, l’Ungheria e la Moldavia).
La cottura del testarolo
Così come ha denunciato l’inviato speciale di Repubblica Paolo Berlizzi, ospite a Pane Nostrum, con la sua sconvolgente inchiesta titolata Copertoni e bare nei forni romeni così cuoce il nostro pane low cost: “…nei forni della Transilvania, quando nasce il sole, il pane è già partito. Lo sfornano, lo congelano, lo impacchettano. E lo spediscono in Italia. Tutti i giorni. A tutte le ore. Sui Tir frigoriferi e in aereo quello diretto a Nord (molto Veneto e Friuli Venezia Giulia). Via Croazia, e poi attraverso l' Adriatico, se va al Centro o a Sud. A San Marino importato dalla camorra per le mense scolastiche. In Sicilia, in Abruzzo, nel basso Lazio. Altro che truffe telematiche: è la baguette il nuovo miracolo romeno. Ma non si deve dire. Perché con la globalizzazione, in certe filiere alimentari, l’ufficialità può essere sconveniente. E così come in una favola ancora da scrivere il filone di Dracula, costo: meno della metà di quello italiano; durata: due anni; giro d’affari: 500 milioni. Va detto, ed è questo che fa imbestialire i 24 mila fornai italiani, che le importazioni sono perfettamente conformi alla legge. Finché l’Europa non imporrà l’obbligo di indicare la provenienza del prodotto in etichetta, chi fa arrivare pane da fuori può vivacchiare con quel generico «sfornato e confezionato in questo punto vendita». Ben sfornati in Romania.”Il testarolo Pontremolese è un pane azzimo diffuso in Lunigiana che si cuoce nel “testo” riscaldato sulla fiamma secondo tecniche e tradizioni che si perrdono nella notte dei tempi
“Per nostra fortuna però, chiosa Paola Curzi che ha tenuto a invitare il giornalista, Pane Nostrum fa crescere la consapevolezza tra i consumatori ad iniziare dagli oltre 1500 bambini che si son divertiti a fare il proprio panino nel laboratorio Mani in pasta. Così come è accaduto nei laboratori proposti allo stand dell'AIC per la celiachia, in quelli del Gusto Slow Food, in quelli per la degustazione dei vini e in quelli dedicati alla Birra. Da uno a dieci quanto sono soddisfatta? dico otto perché voglio ancora migliorare! Ma lo sono anche perché gli espositori hanno avuto un incremento delle vendite del 50% rispetto alla scorsa edizione e poi, e in questi momenti di crisi, siamo riusciti a contenere le spese entro i 144mila euro. Voglio ricordare che Pane Nostrum chiude le manifestazioni estive dopo i grandi successi del CaterRaduno e del Summer Jamboree la festa internazionale di musica americana anni quaranta che in agosto ha visto la città invasa da appassionati.”Pane nostrum, è utile tenere a mente, ha le sue radici nella cultura e nelle nostre tradizioni così come ce le ricorda con questo breve brano Armido Malvolti tratto dal suo libro Il profumo della farina calda (Aliberti editore) presentato durante la manifestazione.
“II rito della panificazione iniziava la sera con l’ammollo del lievito: un pane di pasta cruda messo da parte la settimana precedente e fatto rinvenire in acqua tiepida, per essere poi mischiato alla farina il mattino successivo. Mentre mamma impastava la farina, papà preparava il forno, che andava scaldato con fascine di legna. L'impasto doveva essere lavorato a lungo con la gramola di legno, poi venivano preparate le tere, composte da quattro panini incisi nella parte superiore per favorire la lievitazione e la cottura. Le tere riposavano, coperte con un vecchio lenzuolo e un panno, fino al raggiungimento della giusta lievitazione e a quel punto, con una pala piatta dal lungo manico, venivano appoggiate sul piano del forno a volta ricurva, nel quale le braci residue erano state ammucchiate vicino alla bocca per impedire la fuoriuscita del calore. A cottura ultimata veniva sfornato un pane profumato, fragrante, leggermente scuro, che invitava a mangiarlo anche senza companatico.”
Ogni anno dal 1939 il paese di Campocavallo, nella provincia di Ancona, festeggia la "Festa del Covo". Il Covo è un carro interamente coperto di spighe di grano intrecciate fra loro. Centinaia di parrocchiani lavorano per mesi e mesi alla costruzione del Covo che riproduce di anno in anno un simbolo di fede differente. L'edizione 2012 è stata dedicata alla Cattedrale di Santa Maria Assunta (Rieti).