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Abbiamo una trama, dei personaggi interessanti, perfino un costume.
E, a proposito, questa è la storia. Siamo a Londra: Jonathan Cooper (Richard Todd) è conteso tra la passione per la dolce Eve Gill (Jane Wyman) e l'artista, la femme fatale Charlotte Inwood (Marlene Dietrich). Un giorno, va dalla prima a raccontare che la seconda ha ucciso il marito per poter coronare il loro sogno d'amore, ma fa in modo che l'uomo si addossi la responsabilità del delitto. Jonathan racconta di essere andato a casa a prendere un abito pulito per Charlotte, che la sera avrebbe dovuto recitare a teatro e di essere stato visto dalla cameriera, la perfida Nellie (Kay Walsh). Eve reagisce con relativo controllo alla storia che le racconta il suo amato, promettendogli di proteggerlo, con l'aiuto del padre, un uomo intelligentissimo e piuttosto originale (Alastair Sim, che l'anno dopo avrebbe interpretato Scrooge in una versione - Lo schiavo dell'oro - in Italia ormai dimenticata del Christmas Carol). Il commodoro Gill è, a sua volta, ricercato dalla polizia per contrabbando e altre infrazioni della legge, ma ha una certa mobilità e, per quanto viva separato dalla moglie (Sybil Thorndike), si riesce a far sì che Jonathan venga protetto ora a casa dell'uno, ora a casa dell'altra. Nel frattempo, però, Eve incontra l'ispettore Smith, che indaga sul caso e di cui si innamora.
Storia estremamente ben costruita, Paura in palcoscenico di Alfred Hitchcock senz'altro raggiunge in alcuni momenti le vette del capolavoro. Superlativa l'interpretazione di Marlene, che da un lato spudoratamente cita lo sguardo di Scandalo internazionale in una situazione analoga (lo vede durante l'esibizione tra gli astanti del pubblico e per un attimo il suo sguardo e il respiro si fermano), dall'altro con Hitchcock traduce un cliché sentimentale in un momento di tensione. In più, Marlene anticipa le movenze, l'altalenarsi di posizioni di verità e finzione del più tardo altro capolavoro con Billy Wilder, in Testimone d'accusa.
I film con la Dietrich sono un sistema di rimandi e di richiami, nella migliore tradizione del cinema pre-nouvelle vague anni '60 e '70. Ma Paura in palcoscenico è più che un film con Marlene. Hitchcock ha saputo mediare tra l'inevitabile omaggio divistico e la scrittura d'autore di una storia che non cede mai di fronte ai suoi personaggi o a una narrativa impeccabile. Non ho trovato riferimenti significativi nei miei libri su Marlene a questo strano 1950: Maria Riva non ha riferito nessun particolare aforisma della madre, né ha voluto raccontarne qualcosa in particolare (come accadde con i film con Joseph von Sternberg), si sofferma solo a descrivere la tumultuosa vita sentimentale della Dietrich alle soglie del nuovo decennio. A me, a distanza di tanti anni, spetta solo di dire che Paura in palcoscenico è un piccolo gioiello di splendida fattura, un film a suo modo indimenticabile.
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