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Pazzia senza lettura. I. Kant

Creato il 15 settembre 2012 da Tiba84
I. Kant, La pazzia, i libri teoretici e le mosche oceaniche
Pazzia senza lettura. I. Kant“L’unico segno generale della pazzia è la perdita del senso comune (‘sensus communis’) e il subentrare invece del senso logico personale (‘sensus privatus’); come, per esempio, quando un uomo vede di pieno giorno sulla sua tavola una luce accesa, che altri stando vicino a lui non vede, oppure ode una voce che nessuno ode. È, infatti, un criterio soggettivo necessario della giustezza dei nostri giudizi in genere, e quindi anche della sanità del nostro intelletto, questo, che noi rapportiamo il nostro intelletto anche a quello degli altri, e non ci isoliamo col nostro, e con la nostra rappresentazione privata non giudichiamo tuttavia pubblicamente. Quindi la proibizione di libri, che riguardano soltanto opinioni teoretiche (principalmente quando essi non hanno alcuna influenza sul fare e sul non fare legale), offende l’umanità; poiché ci vien tolto in tal modo, se non l’unico, certo il più potente e il più usato mezzo di rettificare i nostri propri pensieri: il che accade per il fatto che noi li rendiamo pubblici per vedere se essi convengono anche con l’intelletto altrui, ché altrimenti sarebbe facilmente preso per oggettivo quello che è soltanto soggettivo (per esempio, un’abitudine o una tendenza). In ciò consiste appunto l’apparenza, della quale si dice che inganna o dalla quale piuttosto si è indotti a ingannarsi nell’applicazione di una regola. Colui che non si serve di questa pietra di paragone, e si ficca invece in testa di far valere l’opinione personale senza o anche contro il senso comune, va soggetto a un gioco di pensieri, in cui egli non si vede, né si comporta né si giudica in un modo comune agli altri, ma (come in sogno) in un modo suo proprio. – Talvolta può tuttavia dipendere dalle espressioni, per mezzo delle quali una testa per altro lucida vuol partecipare agli altri le sue percezioni esterne, che queste non coincidono col principio del senso comune, mentre egli persevera nel suo giudizio. Così il profondo autore dell’ ‘Oceana’, l’Harrington*, fantasticava che le sue esalazioni (‘effluvia’) emanassero dal corpo in forma di mosche. Potevano ben essere stati effetti elettrici sopra un corpo carico di tale materia, di che si pretende d’aver avuta altra volta esperienza; e l’Harrington forse ha voluto soltanto indicare un’analogia del suo sentimento con questa origine, e non dire di aver visto veramente queste mosche.
La pazzia accompagnata da furore (‘rabies’), cioè da un accesso di collera ( contro un oggetto vero o immaginario), che rende l’uomo insensibile a tutte le impressioni dall’esterno, è solo una varietà di perturbazione mentale, che spesso appare più terribile di quel sia nelle sue conseguenze, e che, come il parossismo in una malattia acuta, non tanto ha radice nell’animo, quanto piuttosto viene suscitata da cause materiali, e spesso può scomparire con una medicina.”
*[James Harrington (1611 -1677), “The Commonwealth of Oceana”, Livewell Chapman, London 1656)]
IMMANUEL KANT (1724 – 1804), “Antropologia pragmatica”

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