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Perché a Roma non c'è la rivista Time Out? Perché falliscono le tv locali? Perché il mercato pubblicitario è drogato? Ecco perché
Creato il 22 ottobre 2014 da RomafaschifoVi siete mai chiesti perché a Roma non c'è una editoria cittadina? Reggono in parte (molti sono falliti in realtà, quelli che rimangono boccheggiano e dunque fanno un prodotto piuttosto scadente) i freepress quotidiano distribuiti sotto la metropolitana, ma non esistono settimanali, non esiste ad esempio un progetto che è utile in tutto il mondo, da Londra a New York passando per il Portogallo, come Time Out. È morto Roma c'è. La città – pur nell'impoverimento culturale che la sta caratterizzando da qualche tempo – continua a proporre tantissimi eventi teatrali, artistici, di aggregazione, continua ad essere un laboratorio interessante per il mondo della ristorazione, continua ad essere percorsa ogni anno da alcune decine di milioni di turisti (una larghissima percentuale è scadentissima e non si informa, certo, però ci sono gli altri), eppure non ci sono organi di stampa che propongano una narrazione su questo. Perché?Semplice: perché queste realtà sopravvivono esclusivamente grazie alle inserzioni pubblicitarie e a Roma il mercato della pubblicità, specie quello della pubblicità locale, è letteralmente massacrato dalla cartellonistica. Girate il mondo, andate a New York, a Londra o a Porto (le città che abbiamo citato sopra, ma questo vale per tutte le città occidentali evolute) e osservate la città: il paragone con Roma rispetto alla cartellonistica vi sarà subito evidente. In queste città i cartelloni quasi non ci sono e quando ci sono solo eleganti strutture che riportano le grandi campagne di comunicazione nazionale. A Londra ci sono tre società che si occupano di raccoglie la pubblicità e di proporla sui pochissimi impianti pubblicitari su spazio pubblico, a Roma queste società sono quattrocento. Ad ogni angolo ci sono cartelli, cartellucci, cartelletti, cartelloni orripilanti, posizionati in spregio del Codice della Strada, riportanti pubblicità ridicole, che dovunque al mondo sono pubblicate sui giornali e contribuiscono all'esistenza di società editoriali e che invece a Roma se ne stanno sulla pubblicità esterna. Trovateci voi una sola città al mondo dove potete trovare in esterna le affissioni della sartoria, dell'alimentari, del compro oro, dell'officina dietro l'angolo, del negozio di quartiere o del sexy shop, della fieretta, della società che affitta impalcature, della palestra di zona, del concerto. Ma in quale città al mondo per scoprire che c'è un concerto te lo ritrovi sulla cartellonistica pubblicitaria esterna? Non succede nulla del genere da nessuna altra parte del pianeta. Qui, invece, questa tipologia di pubblicità viene drenata dalle mille società – spesso in pugno alla malavita – che spadroneggiano nel mercato della pubblicità esterna. Una concorrenza sleale spietata e terribile che ormai vede vendere i cartelletti 1x1 (quelli che stanno sui marciapiedi, rubando suolo pubblico in cambio di nulla, ma generando delle conseguenze sul piano economico abominevoli) a 1000 euro all'anno. Ovvio, dunque, che le televisioni siano costrette a chiudere. Ovvio che non ci sia un mercato editoriale degno di questo nome. Ovvio che realtà che esistono in tutto il mondo come Time Out non si sognino neppure lontanamente di sbarcare a Roma (un tentativo fu fatto dieci anni fa, durato pochissimo) e che le realtà similari locali (come Roma C'è) siano costrette a chiudere i battenti.
Vi lanciamo una sfida: trovateci dove in occidente potete trovare, su elementi di pubblicità esterna urbana su suolo pubblico, la reclame di un ristorante cinese, di un centro che stira le camicie, di un negozio di bici o addirittura di un albergo. Ma a che diavolo serve un cartellone per un albergo (a Roma è pieno!)??? Ma che si sceglie un albergo per un cartellone? Nel 2014 con il 95% delle prenotazioni fatte su internet? E' follia pura. Autolesionista tra l'altro per chi acquista le inserzioni. E allora trovateci un altra capitale occidentale dove accade questo, dove centri di recupero scolastico e istituti specializzati in implantologia si pubblicizzano su cartelloni outdoor. E pubblicheremo le foto!
Quanto ancora la città dovrà sopportare questa stortura dannosissima del mercato dell'advertising? A Luglio il Consiglio Comunale ha finalmente approvato un importante Piano Regolatore degli Impianti pubblicitari che dovrà finalmente spazzare via la situazione attuale e consegnare la città ad una normalità occidentale per quanto riguarda i cartelloni, mettendoli a gara in cambio di servizi e di arredo urbano (questa situazione ci causa anche la mancanza del bike-sharing, di toilette pubbliche, di mappe turistiche e di mille altre cose). Quanto dobbiamo aspettare ancora? Le concessioni attuali, che vanno rase al suolo senza se e senza ma, scadono alla fine di quest'anno. Oggi, con questo sistema, la città sconta circa 50 milioni di mancati introiti diretti ogni anno con conseguenze però a livello di indotto (il mondo dell'editoriale è solo un esempio) difficilmente calcolabili. Riformare questo settore significa rimettere in moto economie sane e di qualità. Dovrebbe essere una priorità assoluta dell'amministrazione (e una priorità assoluta per la stampa visto che questo stato di cose mette la carta stampata, internet e le tv locali alla canna del gas, ma quelle ancora non lo hanno capito). Anche perché sistemare la cartellonistica a Roma significa togliere un brodo di coltura - anzi una pozzanghera fetente - alla criminalità ed alla malavita. Che si fa?
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