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Prima slutwalk italiana. La marcia delle puttane contro la cultura dello stupro.

Da Marypinagiuliaalessiafabiana

La minigonna non stupra. Non lo fa nemmeno bere un bicchiere di più o la tarda notte.

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A stuprare è solo chi ti aggredisce, ti violenta nel corpo e nella mente e poi magari riesce anche a lavarsi la coscienza, perchè dai giornali agli amici, nessuno chiede a lui perchè ha stuprato, ma chiedono a te perchè eri vestita così, perchè ti sei allontanata con quell’uomo, perchè, perchè, perchè.

Contro la cultura dello stupro e la colpevolizzazione delle donne vittime di violenza sono quindi scesi in strada tante e tanti sabato 6 aprile nella prima slut walk italiana, My Slut Walk, la marcia delle puttane, organizzata dalle Ribellule nell’ambito del festival “Da Mieli a Queer”, a Roma.

C’eravamo anche noi. Per urlare queste e tante altre cose che sono state condivise in questi giorni di laboratorio.

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La slut walk di Roma è nata sulle orme della prima marcia, quella di Toronto del 2011 quando l’agente di polizia Michael Sanguinetti suggerì alle donne che per proteggersi “dovrebbero evitare di verstirsi come troie“.

Troia. Puttana. Zoccola. Mignotta. Cagna.

E ogni volta che ce lo sentiamo dire è stato perchè avevamo infranto qualche regola imposta da altri, dal sistema, dal patriarcato, dall’autorità.
Siamo puttane tutte le volte che ci vestiamo come vogliamo e magari non è quello che si aspettavano. Quando prendiamo parola a voce troppo alta. Quando ci organizziamo e magari vinciamo anche. Quando non abbiamo bisogno di amore o ne abbiamo bisogno nel modo che diciamo noi. Quando decidiamo come gestire noi, il nostro tempo, lo spazio. E, ovviamente, quando veniamo molestate, violentate, aggredite.

La slut walk romana quindi si è portata dietro non solo la necessità di urlare contro la violenza in sè, ma anche contro la sua rappresentazione e contro il chiamarci “puttane”, come fosse chissà che.

Riportando dal blog delle Ribellule, dal lancio della marcia

“La SlutWalk come pratica di piazza è riuscita a ribaltare i termini dell’attacco. “Mi vesto come mi pare , bacio chi mi pare e scopo con chi mi pare”. Insomma le piazze respiravano di puttane e il significato delle SlutWalk cresceva e si ampliava.”

Così siamo state tutte insieme a dirci queste ed altre cose a ragionare e anche a vivere un momento di lotta e un bel ricordo.

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Durante il workshop My Slut ci siamo dette puttane, anzi Cagne, ispirandoci al Manifesto “Cagna” del 1968 ( The Bitch Manifesto, di Joreen ), donne con personalità, corporeità e orientamento. Le cagne sono soggetti e non oggetti. Si vestono e si comportano diversamente da come il sistema si aspetta che facciano. Amano da cagne, come vogliono. Scopano senza chiedersi se è appropriato. Prendono parola e magari alzano anche la voce. Non si curano della “maniera femminile” di fare le cose. Se decidono di realizzarsi nel lavoro, non hanno paura di competere. E’ chi si organizza e fa rivoluzioni, cambia gli scenari che le dipingono addosso.

Le Cagne sono forti soprattutto quando stanno in branco e proprio dalla collettività prendono quella potenza che vivono anche individualmente. C’è anche tanto isolamento e fatica nell’essere cagna, soprattutto quando si è sole e pesa un po’ di più affrontare tutti.
Uscire di casa e subire il giudizio ingerente del mondo.
In pochi riflettono su tutto ciò, riguardo le cagne. In molti invece usano questa parola, cagna, puttana, troia, per “isolare e screditare una categoria di persone che non si conformano ai modelli di comportamento socialmente accettati“.

Puttana è il termine più usato quando si vuole offendere una donna, per questo noi quel termine ce lo siamo ripreso, lo abbiamo decostruito, ripulendolo dello stigma che si porta dietro, e una volta diventato nostro lo abbiamo usato per organizzare la nostra controffensiva.

Dare della “puttana” a qualcuno dovrebbe essere considerato ridicolo.
Perchè noi puttane, noi Cagne, siamo contente e orgogliose di esserlo.
Perchè ci difendiamo tutte l’una con l’altra e spesso ululiamo troppo forte per essere smentite.

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Due giorni da puttana non sono abbastanza e quando finiscono vuoi averne di più, vuoi sperimentare quella libertà che il dirti e comportarti da cagna ti hanno dato. E magari invece torni a vestirti, lavorare, studiare e comportarti un po’ come prima e ti mancano l’irriverenza, i baci, i corpi e tutte le potenzialità che hai dentro e confermi a te stessa che di tutto questo c’è bisogno.

La prima slut walk italiana è partita dal Teatro Valle Occupato, ha attraversato il centro di Roma, si è diretta fin sotto alla Camera dei Deputati, non per chiedere rappresentanza, ma per ribadire il senso politico della marcia, la necessità di ribadire l’esistenza di un personale da politicizzare. Di una folla in mobilitazione. Perchè sabato ci sono state anche ben 9 occupazioni abitative a Roma, perchè le necessità nostre e di tutt* hanno bisogno di forza e rappresentazioni.

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La marcia, mentre attraversava le piazze e le strade di Roma, è stata ricoperta da una molteplicità di sguardi: sguardi curiosi, sguardi interrogativi, sguardi divertiti, sguardi perplessi. Ci sono stati coloro che si sono fermati a parlare e a chiedere approfondimenti sulle nostre rivendicazioni, ci son stati quelli che hanno girato le spalle fingendo indifferenza, ci sono stati coloro che ci hanno applaudito e hanno annuito con la testa al nostro passaggio.

Quello che ha contraddistinto l’organizzazione pratica della slut poi, teniamo a ribadire che fosse tutt’altro che sovradeterminante. Non c’è stata l’imposizione di alcun modo di vestirsi e acconciarsi, c’erano donne più o meno vestite, più o meno travestite, ma a nessuna è stata imposta la via della nudità o dell’estetica del conflitto. Ad ognuna è stata data la libertà di esporsi come volesse, senza che tutte dovessero rispettare un unico codice di liberazione. Perchè non c’è un solo modo, mai. Tante individualità si sono messe in branco per comunicare con un linguaggio che ancora non è stato diffuso in Italia, un’immagine di liberazione reinterpretata perchè potesse calzare addosso a tutte e tutti.

E tutti. Perchè c’erano tante donne, ma anche tanti uomini. A qualcuna è dispiaciuta questa massa maschile, fatta in realtà soprattutto di “maschi senza uomini”, per dirla come Judith Halbertarm, in un ambiente totalmente “macho free”.
Forse a qualcuna non è piaciuto non tanto perchè ci fossero troppi uomini, ma perchè c’erano ancora poche donne per quante ne avrebbe auspicate. Questo è solo il primo passo di un percorso. Si raduneranno altre cagne.

Le identità si mescolavano sotto il trucco, i capelli, gli sguardi e i baci e c’era il sole alto nel cielo.

we are queer

Tutte le foto sono di Teatro Valle Occupato.

Enrica, Laura, Vinca



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