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Quadretti di un tempo (2): la scoperta

Creato il 14 dicembre 2013 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali

jean_francois_millet_002_piantatori_di_patate_1861ydi Rita Sanna (continua da Il gigante de il giardino). Diversa dai suoi fratelli che condividevano tra loro l’innocenza dell’età con giochi infantili spogliando e rivestendo diafani bambocci di celluloide di i vestiti ritagliati dalla carta o scorrazzando nella piazzetta con cavalli di canna o tirando calci alle dure e pesanti palle fatte con vecchi stracci, Lisa preferiva starmene in disparte.

Di poche parole preferiva osservare e riflettere.

Attenta a tutto ciò che succedeva in casa, era difficile che le sfuggisse qualcosa.

Si accorgeva di un bicchiere o di un vetro mal lavato dalla domestica, osservava a lungo l’aria rassegnata della madre quando, per mancanza di soldi, doveva lei confezionare le gonne o gli abitini per le figlie, ma soprattutto quando, sbuffando, rammendava con l’uovo di legno le calze del marito.

Spesso assisteva impotente alle furibonde e frequenti litigate dei suoi genitori anche in presenza dei figli, che finivamo sempre per pagarne le conseguenze.

Il padre diventava burbero, autoritario, intrattabile e finiva per imporre a tutti un rigoroso silenzio. Anche a tavola. Così lui finiva per ascoltare il giornale radio “in santa pace” , mentre i figli e la moglie per passarsi il sale o l’olio dovevano ricorrere ai cenni.

Quando i litigi diventavano più accesi, allora era solito rinchiudersi nello studio e là consumava anche i pasti.

Nannina, la rozza servetta, riceveva l’ordine di apparecchiargli sulla scrivania per il pranzo e per la cena, sino a che non gli fosse passata la luna storta.

Un giorno, dopo essere stata rimproverata in malo modo da lui per essersi dimenticata di mettere il pane in tavola, dispettosa come un mulo, versò del latte in un piatto fondo e lo collocò nell’angolo della cucina al posto della ciotola del cane. Chiamò con un leggero fischio Diva, l’ingordo setter che, sventagliando la sua elegante coda, accorse come un fulmine e in un amen ne divorò il contenuto, abbandonando il piatto dopo averne leccato più volte il fondo e i bordi.

Nannina, con la destrezza che la caratterizzava, lo riempì subito di ditaloni al sugo. Mentre soddisfatta e sicura andava veloce verso lo studio: “Perché hai fatto quella schifezza?” si sentì apostrofare da Lisa che aveva osservato tutto dalla porta semiaperta.

“Perché se lo merita! E… stai zitta!”.

Lisa non rispose. Temeva che si sarebbe potuta indispettire anche nei suoi confronti.

Ancora oggi se vede un cane leccare una ciotola ricorda quella vendicativa servetta.

Non disse niente neanche alla madre che faceva da chioccia ai figli, soprattutto nei momenti di maggiore tensione.

Ogni tanto li avvertiva così:

“Vostro padre si è messo anche oggi in castigo!”.

Ai fratellini quella frase faceva ridere, a Lisa, no.

“Per quale motivo in castigo?” avrebbe voluto chiederle, ma sapeva che era meglio non fare domande!

Lisa intanto, osserva, rifletteva e memorizzava.

Come potrà dimenticare quel particolare pomeriggio in cui fu disturbata dalla improvvisa presenza dei genitori che occuparono con il libro dei conti della spesa il tavolo della cucina su cui era solita fare i compiti.

“Non potevano scegliere un altro posto?” si era domandata.

Cominciarono con il pane, il latte, la pasta, la cipolla, il prezzemolo…

I conti, fatti al centesimo, non quadravano mai!

E più la madre cercava giustificazioni, più il padre s’infuriava:

“Spendi troppo… hai le mani bucate, hai segnato due volte le patate… e lo zucchero non l’avevi segnato anche ieri?”.

Lisa, infastidita e stordita dalle urla, aveva azzardato:

“Basta! Possibile che si gridi per un mazzo di prezzemolo!”.

In un attimo si guadagnò un bel ceffone dal padre, che era anche manesco!

Anche quella volta non era riuscita a fare i fatti suoi!

“Quanto si odiano! Perché si odiano tanto?” si chiedeva da quando era appena una scolaretta delle Elementari.

Non riusciva a capirlo e finiva per dare la colpa sia alla madre che faceva la “cresta” sulla spesa sia al padre che urlava come un ossesso.

A poco più di sedici anni, ma sembrava ne avesse già venti per non aver vissuto l’incoscienza della fanciullezza e la spensieratezza dell’adolescenza, continuò per Lisa il cammino verso l’ isolamento dai fratelli, molto affiatati tra di loro, ma soprattutto dai genitori da cui mai ebbe un gesto d’affetto, una carezza e ancora meno un bacio.

Cominciò a ragionare su di loro, sempre impegnati in una guerra quotidiana.

Chi era la madre, che allora sembrava la vittima?

E il padre che appariva come un dispotico tiranno?

Erano due persone male assortite.

Lei una borghese abituata, finché vissero i genitori, al lusso, alla villa, agli abiti all’ultima moda, al capellino con la veletta, alle scarpe col tacco ortopedico, e alla bicicletta, “da donna” , quando era un lusso anche per molti uomini possederne una.

Lui, invece, era figlio di gente umile, ma con caparbia volontà aveva riscattato l’origine contadina conseguendo un diploma e poi anche la laurea.

Lei aveva preferito sposare lui, un laureato anziché un proprietario terriero sia pure facoltoso.

Come poteva adattarsi a vivere in un modesto appartamento alla periferia della città, a fare i conti della spesa fino all’ultimo centesimo, allo stipendio da statale che non offriva prospettive di benessere e di lusso a cui era abituata?

Non si adattò!

Da qui i giornalieri rinfacci da parte di entrambi: lei spendeva male e lui era un sordido avaro e un “caratteraccio”.

Non si amavano e basta!

Lisa non ricorda un gesto di tenerezza tra di loro, una carezza magari rubata allo sguardo dei figli.

Non uscivano mai insieme, non sedevano vicini a tavola, si rivolgevano appena la parola e a doverosa distanza.

Dormivano nello stesso letto. C’era forse intesa sessuale?

Sicuramente no, perché quelle rare volte che Lisa da adulta aveva sfiorato l’argomento del sesso con la madre, l’aveva sentita commentare sbrigativamente:

“Per carità! Preferisco non parlarne!”.

Ma perché mancava tra di loro la dolcezza, l’affiatamento, la comprensione?

Queste erano le domande di Lisa ancora adolescente, quando cominciava a capire dai libri di Liala quanto belli e importanti fossero i sentimenti d’amore.

Almeno una cosa certa esisteva: la gelosia della madre!

Lisa ne aveva scoperto la motivazione quando, quella mattina di un giorno di vacanza, era entrata per curiosare nello studio del padre approfittando della sua assenza.

Si sedette sulla poltrona col fondo e lo schienale di similpelle verde e imitò, impettita, l’abituale posizione del padre. Poi puntò lo sguardo sugli occhialini con le lenti cerchiate da un sottile filo d’oro e senza stanghette, poggiati sulla cartella marrone al centro della scrivania.

Si era sempre domandata come potessero rimanere fermi, senza cadere, sul naso, anche se grosso, del padre.

Azzardò a prenderli in mano, li girò e rigirò sino a accorgersi che, stringendo la molletta che univa le due lenti, queste si allargavano.

Così, come usava il padre, li inforcò sulla punta del naso, ma un senso di nausea e un immediato offuscamento della vista la costrinsero a riporli subito dove stavano.

Rivolse allora la sua attenzione sulla penna stilografica, un “aurora” col cappuccio d’oro. Sapeva che era un oggetto di valore e che nessuno doveva toccarla.

Sollevò la cartella, certa di trovare qualche foglio su cui scrivere, ma il rumore di passi vicino alla porta la costrinse a chiuderla immediatamente.

Era la madre.

“Se ti vede tuo padre qua dentro, ti ammazza” le disse sporgendosi di poco.

“E… perché? …non sto facendo niente!”.

Lei richiuse la porta senza commentare e Lisa rimase seduta.

Mentre immobile ascoltava i passi che si allontanavano, abbassando lo sguardo, si accorse della chiave infilata nella serratura al centro del lungo cassetto.

Tentennò prima di aprirlo, poi, servendosi delle due maniglie laterali, lo tirò fuori.

Cartelle di diversi colori riempivano l’interno in un ordine quasi maniacale:

dall’A alla V:  acqua, bombola, domestica, enpas, fotografie, tasse, vitto…

Non aveva trovato niente d’interessante e di nuovo: sapeva bene che il padre registrava ogni cosa con scrupolo!

Aveva ormai deciso di richiudere il cassetto, quando un’ulteriore spinta di curiosità la indusse a frugare ancora.

Fu per caso che, chinando la testa e indirizzando lo sguardo verso il fondo, si accorgesse della presenza di una scatola rettangolare legata con un nastrino colorato.

Allungò subito una mano e si ritrovò con una pila di lettere.

Pensò di aver finalmente scoperto qualcosa di veramente eccitante!

Poggiò il plico sulle ginocchia e già pregustava il contenuto di qualche lettura con i suoi segreti.

La delusione fu grande quando si accorse che le lettere erano saldamente legate ai quattro lati con un stretto nodo al centro che le impediva di sfilarne almeno una.

Di chi potevano essere quelle lettere se non della mamma e del babbo al tempo del loro fidanzamento?

Ripose ogni cosa al suo posto e uscì scontenta dallo studio.

“Un giorno o l’altro riuscirò a sapere di quelle lettere!” mormorò tra sé.

Non molto tempo dopo capitò che, mentre scriveva una lettera ad una sua compagna di scuola che si era trasferita in un’altra città, le passasse accanto la madre.

“A chi stai scrivendo, al tuo fidanzatino?” le chiese con tono ironico.

“E se fosse?” le rispose un poco acida.

Lisa colse il momento e azzardò:

“E tu le hai ancora le lettere che ti scriveva il babbo quando eravate fidanzati?”.

“Quelle poche che mi ha scritto, le ho strappate! Non sapeva mai scrivermi cose carine!”.

“E lui le ha conservate le tue?”.

“No! Lui ha gelosamente conservate solo quelle che riceveva da quella… sfacciata… di Antonia, che ha continuato senza ritegno a scrivergli anche dopo che ci siamo sposati!”.

Lisa non seppe che cosa rispondere, né cosa domandarle.

Era difficile allora capire sino in fondo certe cose e si limitò ad un semplice:  “E… tu che cosa gli dicevi?”.

“Io? Niente! Io gliele facevo trovare sul piatto! Lui fingeva indifferenza e io gli facevo il broncio per mesi!”.

Fu allora che Lisa comprese il motivo per cui il padre andasse anche a dormire da solo nel largo divano dello studio.

Featured image Jean Francois Millet, Piantatori di patate (1861).

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