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Quando i Beatles cantavano ad Amburgo

Creato il 04 marzo 2012 da Fabry2010

Pubblicato da lapoesiaelospirito su marzo 4, 2012

Quando i Beatles cantavano ad Amburgo

di Guido Michelone

Ha quasi un valore didattico o pedagogico questo bel libro illustrato – Spencer Leigh, Beatles ad Amburgo. Le storie, la scena e l’inizio di tutto – di un decano della critica rock britannica, giornalista musicale a tutto tondo per la radio e la carta stampata. Il volume racconta – anche grazie a testimonianze, camei, inserti, immagini rare e oinedit4 – il periodo di apprendistato dei Beatles ad Amburgo, quando cinque ragazzi di Liverpool, tra i 17 e il 19 anni, deal 1960 al 1962, suonano a più riprese (talvolta per interi lunghi mesi) in alcuni localini metropoli portuale tedesca: Bambino-Kino, Indra, Kaiserkeller, Top Ten, Star-club sono i nomi dei posti, via via a metà tra dancing, night, bar, cabaret, dove i futuri Fab Four si sono fatti le ossa dal punto di vista artistico, umano. professionale.
Proprio all’epoca cambiano nome da moondogs a Beatles, da Silver Beatles al definitivo Beatles e nel corso del periodo amburghese mutano la formazione-base: accanto agli inseparabili John Lennon (chitarra ritmica, voce, armonica a bocca), George Harrison (chitarra solista e cori), Paul McCartney (chitarra e voce, poi basso e pianoforte) ci sono Stuart Sutcliffe (basso, poi ritiratosi e morto giovanissimo di malattia) e Pete Best (batteria, sostituito da Ringo Starr, anch’egli spesso attivo ad Amburgo nel gruppo Rory Storm & Hurricanes). I suddetti giovani, come tantissime altre band inglesi ingaggiate nei quartieri più malfamati della città, frequentati da marinai statunitensi, che nelle ore di libera uscita si divertivano a bere birra e ascoltare la musica americana, propongono appunto le sonorità allora di moda, appunto il rock and roll in tutti i vari sottogeneri, raggruppabili a loro volta nelle due tendenze white (melodico) e black (selvaggio).
E i Beatles e tutte le band ad Amburgo lavorano in condizioni pietose: devono suonare sette giorni la settimana, dunque tutte le sere, per otto ore, dalle sette fino alle tre di mattina, di fronte a un pubblico senza dubbio contento, ma esigente e scalmanato (frequentissime le risse tra avventori per motivi banali), i locali sono piccoli, umidi, fumosi e sporchi, vitto e alloggio lasciano alquanto a desiderare, perché spesso i Beatles dormono su brandine militari poste sul retro o nelle soffitte dei locali, senza servizi igienici. Il cachet però è buono al punto che dalle lettere che spediscono ai genitori si deduce che guadagnino al mese più di un operaio e persino più di un preside di scuola media. I Beatles si sanno adattare e diventano ‘I Beatles’, proprio grazie ad Amburgo: per via della cosiddetta gavetta i futuri divi sgobbano tanto e il duro lavoro rappresenta anche una palestra di stile o una scuola di formazione; le ore da travet sono in realtà destinate solo alla musica: a ripetere, sino al perfezionamento, un numero molto alto di canzoni di tutti i generi: sono oltre duecento i brani in repertori eterogenei che non comprendono solo il rock, ma anche il r’n'b, il pop, il folk, il country, il jazz, in pratica quasi tutta la musica extracolta novecentesca.
Se dunque i Beatles sono diventati grandi artisti al punto fa abbandonare i concerti e le tournée per concentrarsi sui dischi in studio con un approccio vicino alla musa elettronica d’avanguardia, è merito della routine spettacolare, dalla pratica quotidiana, dell’allenamento costante, insomma della gavetta estetico-performativa in un passato recente. E allora la lettura del libro acquista una duplice valenza didattica e pedagogica, come scritto all’inizio: serve oggi non solo per capire come e perché i Beatles abbiano sfondato, cioè il talento musicale è frutto anche di una dedizione continuativa (e passionale), e che i giovani che nel 2012 vogliono diventare rock star.

Spencer Leigh, Beatles ad Amburgo. Le storie, la scena e l’inizio di tutto, Arcana, Roma 2011, pagine 128, euro 22,00.


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