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Recensione: “Lo straordinario mondo di Ava Lavender”, di Leslye Walton

Creato il 14 novembre 2014 da Ceenderella @iltempodivivere

Non ho idea di come uscirà questo post, visto e considerato che lo sto scrivendo sul cellulare a bordo di un treno vagamente e terribilmente simile a un carro merci che ha due ore di ritardo e forse neanche partirà, ma non voglio saltare un appuntamento come quello con la recensione settimanale. Passino (nonostante non li sopporti) i ritardi nelle rubriche, ma le recensioni no, devono essere puntuali. Sì, lo so, sono una maniaca dell’ordine precisina all’inverosimile, ma quando e se leggerete questo libro mi ringrazierete. Ne sono sicurissima.

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Titolo: Lo straordinario mondo di Ava Lavender [TO The strange and beautiful sorrow of Ava Lavender]
Autrice: Leslye Walton
Traduttrice: Alessandra Petrelli
Editore: Sperling & Kupfer
Anno: 2014
Pagine: 276

Ava Lavender è nata con le ali, ma non può volare. Non può nemmeno vivere come le coetanee, perché sua madre la tiene chiusa in casa, al riparo da occhi indiscreti. Ma ha sedici anni e non si rassegna a essere diversa. In cerca di un perché, scava allora nel passato della sua famiglia, e scopre il destino infausto delle sue antenate: ognuna segnata da una peculiare stranezza, ognuna condannata a un amore infelice. E se fosse proprio l’amore la forza in grado di spezzare quell’antica maledizione? Un amore vero, capace di vedere oltre le apparenze. Per trovarlo, Ava dovrà affrontare il mondo fuori, gli sguardi di chi la crede un mostro o un angelo. Fino alla notte del solstizio d’estate, quando sarà lei a scrivere un nuovo, forse decisivo capitolo nella storia straordinaria della sua famiglia.

Non è semplice parlare di questo libro, si rischia di esser banali, così precipitosi da non riuscire a evocare l’assoluta meraviglia che ne accompagna la lettura e lascia in estasi e non è proprio quel che voglio. Sono innamorata de Lo straordinario mondo di Ava Lavender e scriverne la recensione sarà difficilissimo, non ne sarò mai all’altezza e mi sentirò un’inetta, ma ne ho bisogno; ne ho bisogno perché leggerlo è un regalo a se stessi e nel mio piccolo devo consigliarvelo per ringraziarvi di essere arrivati a trentacinque dopo solo due mesi di apertura del blog ma soprattutto perché, se un po’ ho capito qualcosa di chi frequenta questo posticino, lo amerete proprio tanto.
In virtù del suo essere un romanzo sopra le righe e molto più simile a una fiaba di quanto ci si aspetti, imbrigliarlo in una categoria è assolutamente impossibile, oltre che sbagliato e fuorviante; sì, perché la Walton ha saputo parlare di famiglia, amore, dolore e rinascita allo stesso modo in cui si raccontano le storie ai bambini, ma senza sbiadire la sofferenza o abbellire le tragedie né svuotare i personaggi di tutto ciò che li rende profondamente umani, nonostante le stranezze. Al contrario, quel che ne esce fuori è un ritratto generazionale sensazionale che, la sua cruda verità, la affronta con una prosa permeata di aspetti magici e fantastici. Una fiaba, dunque, di quelle tradizionali, però, prima che i loro racconti venissero ingentiliti e resi più adatti ad occhi e orecchie dei bambini, quando erano normale parlare di persone che per amore si tagliano via il cuore dal petto e si lasciano morire o di ragazze che si trasformano in uccellini per il semplice desiderio di farlo; e lo fa con un realismo magico che lascia col fiato sospeso e la pelle d’oca per la bellezza che si dipana via via che le righe scorrono. A metà tra fantasia e realtà, infatti, il romanzo è narrato dalla voce di Ava, una ragazza nata con le ali, il primo caso in cui la scienza si è rifiutata di spiegare l’inspiegabile, e si dipana lungo trent’anni di storia familiare che vede al suo centro, indissolubili e legati reciprocamente da un doppio filo, la sofferenza e l’amore: amore perduto, non corrisposto, impossibile, desiderato, incondizionato e finito e sofferenza sorda che toglie la fame, la voglia di vivere, la felicità, la logica. Amore e sofferenza che isolano, costringono a murarsi in se stessi e a tenere il cuore in un angolino buio per proteggerlo e impedire che venga stropicciato ulteriormente da chi non ne ha cura quando glielo affidi.

Mi è stato detto che le cose vanno sempre come devono andare: mia nonna si innamorò tre volte prima del suo diciannovesimo compleanno. Mia madre trovò l’amore in un ragazzo del vicinato quando aveva sette anni. E io, io sono nata con le ali, uno scherzo della natura che non ha mai osato aspettarsi niente di grandioso come l’amore. È il nostro fato, il destino a decidere certe cose, giusto?
Forse era soltanto una frase che dicevo a me stessa. Altrimenti, che cos’altro restava a un’aberrazione, un’intoccabile, una disadattata come me? Che cosa potevo dirmi quando ero sola di notte e arrivavano le ombre? Come potevo calmare il battito del mio cuore, se non con le parole: «Questo è il mio destino»? Che cos’altro potevo fare, se non seguire ciecamente il cammino che era stato tracciato per me?

Permeato, dunque, con un’atmosfera quasi onirica, il romanzo pone al suo centro la giovinezza, il nascere del primo amore e delle conseguenze che la sua fine o il suo non essere ricambiato comportano per le straordinarie protagoniste femminili della famiglia Lavender ed è facile pensare che, per un libro relativamente breve, tirar le fila delle vite di tre donne e seguire le loro vicende nel corso di trent’anni sia impensabile e comporti il sacrificio di personaggi che rimangono superficialmente abbozzati. Be’, devo dirvi che non è questo il caso, semmai tutto l’opposto: la paura di amare di Emilienne è interessante e coinvolgente tanto quella voglia di donare tutta se stessa della figlia Viviane, la curiosità di quello che lega l’inquietante Nathaniel ad Ava appassiona quanto i silenzi di Henry e il suo saper dosare le parole per non sprecarne neanche una. Sembra di conoscerli, di averlo sempre fatto ed è naturale non volerli abbandonare una volta finito il libro, perché si vuol loro bene, si riesce a comprenderli tutti ed odiarli per le cattiverie reciproche è impossibile. Perché, in fondo, è un male subdolo quello che si fanno, compiuto in virtù delle stupide e inspiegabili cose che l’amore ci spinge a fare, tacere o gridare, cose che avrebbero potuto essere differenti facilmente ma che un battito di ciglia ha cambiato per sempre. L’amore ci rende così sciocchi, dice René alla nipote, e l’intera storia della sua famiglia lo dimostra, senza cadere nel cupo dramma o edulcorare la profonda sofferenza che alberga in ogni suo membro, ma mostrando fieramente le loro cicatrici per imparare a conviverci in un percorso fatto di deviazioni impreviste e scoperte che possono aprire gli occhi sulla sciocchezza delle proprie azioni e dar loro il giusto colore e prospettiva.

Se mia madre avesse stilato un elenco dei motivi per cui mi teneva confinata nella casa sulla collina, il foglio sarebbe stato così lungo da arrivare fino alle acque del Puget Sound. Avrebbe potuto soffocare ogni forma di vita marina. Avrebbe potuto svolazzare come un’enorme bandiera bianca issata sul belvedere di casa nostra. In poche parole, mia madre si preoccupava. Si preoccupava delle reazioni dei nostri vicini. Mi avrebbero distrutto con le loro occhiate sprezzanti, la loro crudele intolleranza? Si preoccupava che io fossi un’adolescente come tante, dal cuore tenero e dalla personalità fragile. Si preoccupava che fossi più mito e immaginazione che carne e ossa. Si preoccupava dei miei livelli di calcio, dei miei livelli di proteine, persino dei miei livelli di lettura. Si preoccupava di non potermi proteggere dalle tante cose che l’avevano ferita: la perdita e la paura, il dolore e l’amore.
Soprattutto l’amore.
(…) Trovavo decisamente ironico il fatto di essere dotata di ali e tuttavia di sentirmi così costretta, così in trappola. Proprio per via della mia condizione, ero più incline di altri a notare le piccole ironie della vita. Le collezionavo: l’amore arrivava quando meno te lo aspettavi e se qualcuno diceva che non voleva farti del male, alla fine di sicuro te ne faceva.

Un libro sull’amore, l’avrete capito, ma non solo: vi troverete nostalgia di un passato che non tornerà mai più, desiderio bruciante di quel che non si può avere, passioni che fanno perdere il lume della ragione, scelte che segneranno indelebilmente vite umane, ossessioni in bilico tra buio e luce, solitudine che neanche una stanza piena di persone saprà curare. Lo straordinario mondo di Ava Lavender è un romanzo duro, che non ha intenzione di far sconti, ma che si rifiuta di cedere alla malinconia e al baratro, che fa della positività e della speranza i suoi cardini anche nelle situazioni più drammaticamente reali e attuali e che, piuttosto, attraverso questi eventi, purifica e migliora le vite delle persone coinvolte, rendendole degne di essere vissute appieno. E di essere lette, perché non ve ne pentirete neanche per un secondo. Lasciate perdere la mia recensione, non so cosa sto dicendo e mi sento in colpa nel non essere in grado di render giustizia a quest’autrice e alla sua meravigliosa opera, ma voi fatevi spezzare il cuore mentre sorridete per ciò che ha da dirvi.

«A volte, quando mi sento particolarmente giù, quando mi manca la nonna, ricordo a me stessa che l’amore può assumere qualsiasi forma.» Indicò il locale intorno a lei. «Ho trovato questo posto. Che diamine, Emilienne, ho trovato te.»
Si avvicinò e posò una mano sulla guancia dell’amica. «Il fatto che l’amore non sia come te lo aspetti non significa che tu non ce l’abbia.»

Voto: ❤❤❤❤❤


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