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San Francesco non parlava agli uccellini

Creato il 11 dicembre 2014 da Retrò Online Magazine @retr_online

Si sa, la Storia è scritta dai vincitori. Ma non sempre sono i vincitori a riscrivere gli avvenimenti: a volte sono i potenti di turno che, senza guerre o grandi scontri, modificano ampiamente quello che è stato. La figura che forse più di tutte è stata revisionata e rimaneggiata è quella di San Francesco.

San Francesco nacque ad Assisi il 26 settembre 1182 in una famiglia ricca: il padre era mercante di stoffe e la madre una nobile cittadina. Nato come Giovanni da Pietro Bernardone, con il santo che sarebbe diventato non condivideva neanche il nome: fu il padre, in seguito, a cambiarglielo in Francesco, in ricordo dei suoi commerci in terra franca che lo avevano particolarmente arricchito. Il padre tentò di indirizzarlo verso il medesimo futuro, insegnandogli il suo mestiere nel campo delle stoffe e la vita da aristocratico comunale. È utile cercare di immaginare la sua vita da giovane rampollo assisano: inserito appieno nella comunità del tempo, divisa fra lo stimolo di una società sempre più vivace e basata sui commerci anche a lunghissimo raggio e la voglia di avventura e di onore collegata alla crociata contro gli eretici musulmani. Considerare il passato di San Francesco ci permette di comprendere uno degli aspetti più importanti della sua vita, ovvero la sua laicità e il suo retroterra culturale, a metà fra i commerci e la sete di avventura e di cavalleria. La sete di cavalleria lo portò a combattere prima contro Perugia, subendo l’incarcerazione dopo la sconfitta del 1202; in seguito, nel 1203, tentò di imbarcarsi nelle crociate in Terra Santa, ottenendo però solo una brutta malattia. La malattia lo allontanò, appunto, dal progetto della spedizione in Terra Santa e lo costrinse a letto per qualche tempo, dove fu visitato in sogno da visioni che lo esortavano a seguire il vero Re, il Cristo della Croce, non quello delle crociate. Le visioni ammonitrici, insieme al periodo trascorso nel fondaco del padre in contatto con la natura e al ricordo delle sue avventure precedenti, fecero scattare in lui una scintilla, una voglia che verrà spesso chiamata febbre d’amore; un desiderio di comunanza con il prossimo e con il creato talmente potente e profondo da fargli compiere quell’atto, famosissimo e plateale, della rinuncia ai beni del padre e alla vita che il suo genitore aveva con fatica delineato per lui. Fu una rinuncia particolarmente profonda, che, come ha affermato il medievista Franco Cardini nel corso di un’illuminante conferenza nel 2009, significò per San Francesco la rinuncia al suo essere terreno, per cercare di perseguire un modello superiore, ovvero quello di Cristo. La logica stessa del francescanesimo, continuava Cardini, si legge chiaramente in questo atto di forza: rinuncia completa ai beni materiali, per comunanza ai poveri del mondo e, soprattutto, al Signore dei cristiani e alle sue parole. La predicazione serrata del Vangelo lo portò a lavorare con le proprie mani, avendo come primo obiettivo la sopravvivenza del prossimo, in particolare se povero e malato e quindi inabile al lavoro. Una rinuncia che era straordinaria per l’epoca, nuova (e, dunque, considerata tendenzialmente pericolosa) e slegata alle logiche del cursus honorum della Chiesa Cattolica.

Ma le parole di quest’uomo furono disfatte alla sua morte e distorte, come nel “lavoro di chi, preso un tappeto, lo disfi completamente e ne usi i materiali per tesserne uno nuovo: lane e colori sono gli stessi, ma il disegno è completamente mutato”. Il lavoro di ritessitura cominciò con San Francesco ancora in vita, in maniera semplice e molto efficace, anche se non sufficiente da occultare per sempre la verità storica: il responsabile maggiore di questo scempio storico fu Bonaventura da Bagnoregio, divenuto ministro dell’Ordine nel 1263. Nelle prossime righe saranno portati alcuni esempi di luoghi comuni sul santo, inventati nella biografia composta da Bonaventura, che distorsero considerevolmente le sue parole.

Uno dei più famosi aneddoti è la predica agli uccellini, simbolo del San Francesco amante del creato e che predicava a tutti, addirittura agli animali. Basta riflettere un attimo per capire che qualcosa di strano, in questa iconografia, c’è: perché un santo dovrebbe predicare agli animali, creature del Signore e in contatto diretto con esso? Sono gli uomini a essere capaci del Male, mentre gli animali e le piante vivono solo di quello che il Signore dà loro. Se leggiamo con attenzione le fonti ci accorgiamo che, ad esempio in Tommaso da Celano, amico di San Francesco e suo primo biografo, in questo racconto le specie degli uccelli vengono sempre specificate. O vengono addirittura illustrate nei codici miniati e sono sempre le stesse: colombe, monachine, uccelli campestri e uccelli d’acqua, un simbolo potente. Esse non sono semplici animali, ma rappresentano categorie sociali ben precise e specificate nei testi sacri. Sono gli umili, gli emarginati, i poveri che, in opposizione ai rapaci, simbolo dei nobili e degli alti prelati, ascoltano la predica del santo. San Francesco non parlava agli uccellini, parlava agli uomini: a questo alludeva il racconto della predica, il cui significato fu demolito da Bonaventura, semplicemente perché non enumerò le singole specie. Se si analizza la scena della predica nella Basilica, eseguita secondo i canoni imposti dal testo di Bonaventura, San Francesco ha un aria dolce, mite, stucchevole, e i volatili sono anonimi e vuoti di significato. Magnificamente dipinti, ma bugiardi e simbolo di un imbarazzo della Chiesa di Roma nei confronti di un santo che non era “iscritto all’ordine”, non era un chierico ma un laico, quasi un eretico, che predicava contro ogni forma di ricchezza e contro i dettami della chiesa del tempo. La forza del miracolo francescano si spense così nei colori vividi di Giotto.

Un altro esempio di come le parole di San Francesco furono travisate sta nel rapporto con gli infedeli. Senza discutere dell’inverosimile predica in Terra Santa raccontata da Bonaventura, piena di miracoli straordinari inventati di sana pianta (poiché, oltre al necessario atto di fede, manca un qualsiasi riscontro con le fonti precedenti) basta pensare a come cambia il discorso riguardo a questo rapporto fra le due regole dell’Ordine, ovvero fra la seconda scritta, rifiutata dal Papa e dai monaci, e la terza, finalmente accettata. Nella seconda regola, chiamata dagli esperti non bullata, San Francesco scrisse che si doveva cercare un’intesa, evitare lo scontro e tentare di convivere senza litigi, cercando allo stesso tempo di testimoniare il Vangelo quando l’occasione fosse stata propizia. Nella terza regola, quella accettata, la musica cambia: di questo slancio di tolleranza e convivenza non viene fatta menzione e il rapporto con gli infedeli viene regolato dalle disposizioni della Curia romana, al tempo in guerra con l’Islam da già due secoli. Un cambiamento potente, che fece molto riflettere San Francesco sul suo ruolo e contribuì (cosa assolutamente non menzionata, neanche di sfuggita, né da Bonaventura né negli affreschi della Basilica) alle sue dimissioni da responsabile dell’Ordine, con umiltà, come sua abitudine, ma anche con fermezza.

L’ultimo esempio è molto più sottile e dettato dal ragionamento. Un ragionamento fatto da storici di calibro internazionale come la prof.ssa Chiara Frugoni, una delle più eccezionali medieviste ancora attive al mondo. Se consideriamo il rapporto fra uomini e donne nella Chiesa pensiamo subito alla privazione e alla castità: negli atti di San Francesco non doveva essere così, in primo luogo perché lui, non essendo un chierico, non era tenuto al celibato, e in secondo luogo perché non fa menzione di privazioni alcune, ma dalle fonti si vede come vivesse in totale libertà il rapporto uomo-donna. La prova finale di questa libertà sta nei profondi e reiterati divieti imposti alla fondazione dell’Ordine, come a specificare un divieto che prima non c’era fra i suoi discepoli e che si dovette specificare con una forza sconosciuta alla fondazione di vari altri ordini.

San Francesco non parlava agli uccellini. Parlava agli uomini, ma lo hanno zittito, con una forza e un’eleganza degna dei migliori film d’azione: hanno snaturato il messaggio che consegnava ai posteri, regalando alla nostra coscienza comune un hippie ante litteram, tanto dolce e melenso quanto falso e lontano dalla potenza delle sue parole e dalla serenità e dedizione cristiana con cui aveva attraversato il mondo.

A cura di Flavio Domiziano Utzeri

Tags:Assisi,Bonaventura,Chiara Frugoni,Chiesa Cattolica,Francescani,Franco Cardini,san francesco,Tommaso da Celano

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