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Scherma, la pietra filosofale italiana

Creato il 05 ottobre 2012 da Olimpiazzurra Federicomilitello @olimpiazzurra

 

Scherma, la pietra filosofale italiana

La gallina dalle uova d’oro dello sport italiano. D’oro, d’argento o di bronzo. La scherma ha portato il tricolore su un podio olimpico la bellezza di 121 volte. Inutile dire che è la disciplina che più gioie ha dato al Paese, oltre il doppio delle medaglie dell’atletica (60). Superfluo dire anche che gli schermidori Azzurri sono i più titolati al mondo (il sorpasso alla Francia è avvenuto proprio a Londra 2012).

Qual è il segreto? Se esistesse probabilmente sarebbe già stato esportato ad altri sport, ma non è così. La scherma vince per il fatto stesso di vincere. Una macchina capace di autoalimentarsi, un fuoco che non si spegne mai perché è allo stesso tempo benzina. La tradizione, è quello che fa la differenza. Una tradizione fatta prima di tutto di grandi maestri, che prendono i bambini e li crescono finché diventano adulti.

Nella scherma non si finisce mai di imparare. I fondamentali tecnici sono tutto. Valentina Vezzali, dopo nove medaglie olimpiche in carriera, fa ancora lezione, non semplici allenamenti. Eppure sa come si para di quarta o di terza, come si porta un affondo o si chiude la misura all’avversario.

Gli atleti sono il secondo segreto del successo. Per i giovani che emergono potersi allenare nei collegiali tirando coi migliori al mondo è un vantaggio. Si cresce prima e meglio. Inoltre le vittorie avvicinano i bambini a uno sport che, comunque, in Italia resta ancora di nicchia. Lo è perché costa tanto e perché, probabilmente, a livello amministrativo si potrebbe fare di meglio. Ancora una volta il paragone va fatto con la Francia: lì i tesserati sono poco meno di 60 mila, in Italia si sfiorano i 20 mila. Una bella differenza che, per fortuna, non si riflette nei risultati ottenuti.

E non dovrebbe riflettersi nemmeno in futuro, perché dietro ai grandi campioni stanno crescendo giovani di sicuro avvenire. Arianna Errigo (’88), Giorgio Avola (’89) e Valerio Aspromonte (’87) hanno già conquistato medaglie importanti ai Mondiali e alle Olimpiadi. Andrea Cassarà avrà 32 anni a Rio de Janeiro, ma sul collo già due ori e un bronzo a Cinque cerchi, Andrea Baldini è un anno più giovane. Luigi Samele (1987) deve raccogliere l’eredità di Gigi Tarantino per affiancare degnamente Aldo Montano (che al netto degli infortuni è lo sciabolatore più forte al mondo, o giù di lì) e Diego Occhiuzzi. Dietro di loro crescono i campioni del domani, come Camilla Mancini (’94) dominatrice dell’ultima Coppa del Mondo juniores di fioretto.

Lì dove le armi sono più giovani, l’Italia soffre di più. Spada e sciabola femminile, ultime due specialità a essere state introdotte (rispettivamente ad Atlanta 96 e a Atene 2004) abbattendo definitivamente una barriera tra i due sessi che era andata avanti troppo a lungo, rappresentano le due lacune più evidenti della scherma Azzurra. Non che le soddisfazioni non siano arrivate o che manchi il talento, ma si è trattato di episodi più sporadici e meno sistematici.
La sciabolatrice 23enne Irene Vecchi, o la spadista Rossella Fiamingo, che di anni ne ha 21, sono un ottimo materiale umano da cui partire.
Su questo la federazione dovrebbe puntare per crescere, senza perdere di vista il fioretto, e prendendo decisioni coraggiose. Gli errori del passato (gli addii ai tecnici Bauer, demiurgo francese capace di forgiare Montano, e Angelo Mazzoni) non possono essere ripetuti. Perché nella scherma non si finisce mai di imparare, e i maestri fanno ancora la differenza.

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OA | Gabriele Lippi


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