Magazine Diario personale

Sciur padrun da li béli braghi bianchi, fora li palanchi ch’anduma a cà

Creato il 24 settembre 2014 da Iomemestessa

Lettera aperta a Giorgio Squinzi

Egregio Sig. Squinzi,

la chiamo signore, e non dottore, o commendatore, o sailcielochealtro, non per mancanza di rispetto, ma proprio per rispetto. Che essere signori, è qualcosa che vale assai più di un titolo di studio o di un’onorificenza. E sarà forse per quello che io, il mio, non lo uso mai.

Lei ha, suppergiù, l’età che avrebbe il mio papà, e lui non ha mai avuto difficoltà a confrontarsi con me e con i miei coetanei alla pari. D’altronde, a quarant’anni, non si è più giovani. Te lo dice la stanchezza, dopo le nottate di lavoro (la stessa stanchezza che a trent’anni scivolava via leggera), te lo dicono gli obblighi (familiari, economici), te lo dice il buon senso. Gli unici a non dirlo sono i tg, che continuano ostinatamente a chiamarci giovani, forse per non dover ammettere che abbiamo qualcosa da dire.

Lei, sig. Squinzi, sta occupando, in Confindustria, un ruolo che per parecchi decenni è stato identificabile con la FIAT. Da Agnelli in poi (Pininfarina, Lucchini, Montezemolo) il denominatore è stato chiaro. D’altronde, il metro, in questo Paese, è sempre stato che se va bene per la Fiat, va bene per Torino e va bene per l’Italia.

Ecco, forse non andava così bene, e magari, se ci si fosse pensato allora, oggi non saremmo qui, ma piangere sul latte versato a che serve ormai? Forse varrebbe la pena di iniziare a spazzare il pavimento.

Preso dagli strali, da lanciare contro tutti, lei, ed i suoi degni colleghi di API (che dovrebbero tutelare la piccola e media impresa), avete guardato le pagliuzze negli occhi di tutti, tralasciando le travi conficcate nei vostri.

Eh, già, perchè, se il Paese è in crisi, la colpa è di tutti. Dei sindacati, che proteggono i fancazzisti e non vogliono mai cambiare le cose (non si agiti, la signora Camusso, ha già dato, su queste pagine), sul governo, immobile, sulle tasse, che son troppe, sulle infrastrutture, che non ci sono. Manca solo il meteo, ma a quello pensano i suoi colleghi di Confagricoltura (altre bella gente, sia detto en passant), non abbia timore.

Signor Squinzi, ma un po’ di autocritica, voi, mai? Dov’erano i capitani di industria quando, prima della crisi, l’export (ma anche il mercato interno, suvvia) tirava alla grande?

Come li utilizzava gli utili? Facendo i riparti tra soci e comprandosi la barca, da ormeggiare a Monte-Carlo, che son tutti lupi di mare, finchè stanno alla fonda? Dice di no? Io dico di sì, invece.

Sa, signor Squinzi, le nobili schiatte degli imprenditori, in questo Paese che decade ogni giorno un poco, son finite da anni. Nel bresciano, nel bergamasco, nel nord-est che produce, quegli indefessi lavoratori che andavano in fabbrica anche il sabato e la domenica, che bevevano un’ombra coi dipendenti più anziani a fine giornata, che mandavano la moglie a spazzare il pavimento dell’officina (e a volte, l’officina, come la chiamavano loro, dava da lavorare a quaranta, cinquanta persone), non ci sono più.

Io, che non son vecchia, ma, ahimé, neppur più giovane, ne ho conosciuti alcuni. Anche lei, lo so. E’ solo che fa finta di no. La capisco. Meglio non pensare, che a pensare, si vede meglio quel che c’è, e la malinconia aumenta.

Eh già, perchè, quelli, son morti. E ci han lasciato in eredità i figlioli. Che insomma, o non se ne erano accorti, o han fatto finta di nulla per non vedere, ma a forza di lavorare quei padri, i figlioli, son venuti su come son venuti su. Non benissimo, per usare un eufemismo.

Perchè sa, Sig. Squinzi, pure educare i figli è un lavoro, creda. Invece i nostri pionieri, storditi dalla fabbrichetta, dal fatturato che si impenna, dalla sindrome di Perego (e se non sa chi è, si legga Com’é bello il Nord di Albanese, è illuminante, perfino), si son scordati che i virgulti crescevano, senza nessuno che li tenesse a bada. E questi son cresciuti, spesso ignoranti come zappe, che si sa, ‘la cultura non si mangia’ come sosteneva il vate di molti di loro, se lo ricorda quel tal Tremonti, il commercialista di Varese con la fissa della finanza creativa? Ecco, proprio lui.

Però dell’ultima BMW, dell’ultima biondona, della barca e delle vacanze esotiche, eh, di quello i virgulti sapevano tutto. E avrebbero avuto anche i soldi per mantenersele quelle cose, ma appiopparne i costi alla fabbrichetta faceva risparmiare. E pazienza se poi i costi lievitavano, e gli utili si assottigliavano, e la ricerca e sviluppo, quella sconosciuta, spariva dall’orizzonte.

E poi, tutto quel vostro vociare sui clientelismi nella P.A. Vogliam dimenticare quanti amici, amici degli amici, e figli di amici degli amici avete assunto, negli anni, a suon di raccomandazioni? Che pareva di stare ad Amici della DeFilippi, che tra l’altro, spesso, pure il livello era quello? E di quei direttori del personale, specie nelle PMI, che altro non erano che dei ragionieri esperti in paghe e contributi, e che la formazione la classificavano alla voce ‘perdita di tempo’? Oppure se la Provincia (Regione, Stato) obbligava, un bel corso a pioggia per tutti, e pazienza se il contabile faceva inglese ma poi fatturava creativamente gli incoterms.

E poi, scusi ancora, ma invecchiando ci si fa noiosi, se le ricorda tutte le vostre lacrime e recriminazioni sulla mancanza di infrastrutture, sulle troppe tasse, sull’eccesso di burocrazia. Mai sentito uno di voi dire, che le tasse son sì troppe, ma ci son pure troppi furbi che non le pagano, e (patetico a dirsi) spendono, in commercialisti furbetti, più di quel che riescono a fregare allo Stato. E si sentono tanto intelligenti, perchè loro, lo Stato, lo fregano. E mai l’illuminazione di ricordarsi che lo Stato siamo noi, tutti noi, pure loro. Anche se se lo ricordano benissimo, quando è ora di farsi dare l’accompagnatoria per la vecchia nonna, proprio loro che si sfiondano in macchina l’equivalente di cinque anni di stipendio della badante, e te la fan vedere, tutti orgogliosi (macchina e badante, qualche volta).

Loro che con quel che si son intascati di nero in questo Paese dovremmo essere tutti miliardari, e l’unica consolazione (magra, anzi, anoressica) è che se anche li avessero versati la nostra ineffabile classe politica sarebbe riuscita a mangiarsi pure quelli.

Sig. Squinzi, mi creda, noi stiam messi male, ma voi, che ormai non avete più progettualità, visione e senso della realtà, peggio. Perchè noi, una sera di queste, prenderemo infine atto che non c’è speranza di redenzione per questo pollaio e ce ne andremo, altrove, a far con dignità quel che abbiamo sempre fatto, perchè un mestiere, alla fin fine, ce l’abbiamo. Ma molti dei suoi accoliti, finiranno per mangiarsi anche le mutande che indossano. E, quel che è peggio, stanno ballando sulla tolda del Titanic senza darsene minimamente conto.


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