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Scrivere è inseguire la preda

Da Marcofre

La parola cambia la persona che decide di aprire la porta di casa per lasciarla entrare. Dopo che questo è avvenuto, non sarà più possibile buttarla fuori e fare finta di niente. Ci si può provare, e per circa cinque anni io l’ho fatto, ma non ci sono riuscito. Pesto i tasti senza speranza, eppure mi va bene così.

Si specializza, in un certo senso.

Quello che per alcuni è un evento, per lui è un possibile congegno narrativo. Una frase, oppure un gesto, scatenano in lui delle riflessioni.

Oppure, un’immagine lo colpisce, come un’imboscata, e ci lavora. Tutte attività che prima, lo avrebbero lasciato abbastanza indifferente.

Però non si tratta del modo consueto quindi comune che un po’ tutti hanno di guardare agli avvenimenti quotidiani.

Perché prima di tutto, lo scrittore osserva. Ma questo non è sufficiente.

Ci vuole qualcosa di diverso. Forse si chiama talento, ma è quella faccenda che spinge a concentrarsi sulla realtà, a esplorarla per sapere. In pochi hanno queste aspirazioni, e preferiscono restare alle apparenze. Scrivono, certo.

Per alcuni scrivere è sempre e solo lasciar andare la mano dove vuole: un’ottima pratica all’inizio della storia. Si butta giù, senza ordine, e al diavolo refusi ed errori.

Però la mano è leggermente stupida e non sa dove andare a parare. Per questa ragione sul collo c’è quell’affare chiamato cervello, che pochi usano. Una scrittura sganciata dalla riflessione, dal pensiero, conduce lontano, in classifica.

Ma non permette di scoprire che cosa si nasconde dietro le apparenze. Autori come Carver, avevano la capacità di inseguire la preda.

Ti attraversa la strada, ma pochi si prendono il disturbo di mollare tutto e correre al suo inseguimento. Nessuno può dire dove condurrà, nemmeno l’inseguitore. Nemmeno i lettori, dopo.

È questo che rende la faccenda della scrittura difficile, necessaria e anche affascinante.


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