Magazine Pari Opportunità

Se per fare la rivoluzione devo ballare con la Rauti. Analisi settimanale di comunicazione “di genere”.

Da Marypinagiuliaalessiafabiana

Prima c’è stato Berlusconi. A Mirano chiedeva a una dipendente dell’azienda Green Power “lei viene? Ma quante volte viene?”, lasciando modo al pubblico di ridere sguaiatamente, applaudire come le scimmie ammaestrate.
“Mi sembra che sia tutto sommato un’offerta conveniente” aggiungeva Berlusconi “si vuole girare ancora un’altra volta?”.
Una fragorosa risata da Bagaglino mentre l’impiegata ammiccava e poi si voltandosi, mostrava le terga all’ex premier e lui poteva così concludere “sì, è un’offerta conveniente”.

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L’impiegata onorata, manipolata, offesa.

Miti e leggende di un’Italia rassegnata al sessismo.
Quello che colpisce è che nonostante negli ultimi anni la questione di genere sembri essere tornata di moda ( e di moda si parla data la frequente banalità dei contenuti ), sembra ancora non possa darsi per scontata la reazione delle donne.
Dire che l’atteggiamento di Berlusconi è sessista, dovrebbe oggi essere un’affermazione banale, lo ripetiamo all’infinito, con l’impressione che a volte non ci sia nessuno ad ascoltare.
Se si ripete così spesso, però, perché una donna invitata a parlare in veste di lavoratrice, quando viene apostrofata così non coglie l’occasione di dire che non è disposta a questo gioco? Perché addirittura quella donna si presta ammiccante e si gira, si volta, gli mostra il culo, quando sa a cosa va incontro?
Sarà mica che è sua complice?

Guardando il filmato avevo la stessa apprensione per lei che per la protagonista dei film dell’orrore che invece di correre via dal serial killer, scende nella cantina buia incontro al rumore sinistro.
Mi dicevo, “ora gli dirà di smetterla”, “ora scenderà dal palco” e invece lei rideva, faceva le faccette goliardiche, poi si è girata e gli ha concesso di guardarle il culo per valutare la qualità della sua proposta.
C’è chi dice che quella fosse l’unica reazione possibile di una donna spiazzata dal sessismo di Berlusconi. Che se avesse reagito diversamente le avrebbero dato della frigida, della femminista ( quale onta! ). Ed è vero, probabilmente. Ma almeno avrebbe avuto ragione.

L’impiegata si è detta manipolata dall’azienda, ha fatto sapere che “in qualità di Donna e Madre” le battute del Cavaliere l’hanno imbarazzata e allora per fortuna anche lei si è guadagnata lo status di vittima del patriarcato.
La donna in questione si dice una vittima, anche non fosse stata davvero contenta o onorata, ha oggettivamente partecipato al gioco.
La costruzione sociale dell’archetipo della vittima è nocivo per tutte, tanto per quelle che lo sono davvero, che per quelle che vogliono liberarsi. Le vittime sono di per sé inermi e remissive. Quelle che vengono colpite dal sistema economico-sociale in atto sono in realtà donne ribelli, quelle che muoiono uccise “per gelosia” dei compagni come le militanti represse e messe a tacere, sono donne che non sono state alle regole del mondo maschile e per questo vengono punite.
La “vittima” in sé, è una costruzione martirizzante da cui è impossibile uscire, perché è santificata in quanto tale dalla cultura di questo Paese, perché ad una vittima si trova sempre il modo di dire che ha partecipato al suo martirio, perché ha messo la minigonna, perché è scesa in piazza, perché ha bevuto.
E allora all’impiegata giocherellona va bene essere chiamata vittima, perché in qualche modo la nobilita, mentre invece sembrava davvero essere complice della costruzione del suo ruolo.
Fermo restando che il sessismo è responsabilità di chi è sessista, non lo è anche di chi si rassegna ad esserne oggetto?

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Il “brillante” comico Neri Marcorè.

Donne più preparate di me in rete mettono a confronto lo spettacolino di Berlusconi con la battuta di Marcorè a Carfagna, quando il comico imitando Gasparri ( e prendendo in prestito l’identità “idiota” del politico come alibi ) ha detto all’ex ministro
“Fortuna che c’è la nostra Carfagna elettorale che… qualcosa tira sempre su”.

Qual è la sostanziale differenza tra le due situazioni?
Carfagna non ha riso. Non è stata al gioco, anzi, ha costretto alle scuse Floris. E Carfagna non è esattamente una femminista, una militante, ha portato istanze retrograde e reazionarie al Ministero delle Pari Opportunità, ma ha capito di cosa si stava parlando.
Di ridicolizzare la presenza femminile sfruttando uno stereotipo per minimizzare la potenza di un qualsiasi intervento.
Non ha avuto bisogno di dirsi vittima, ha voluto fare la ribelle ed è un atteggiamento che paga, tant’è che ci ritroviamo a parlarne pur non condividendo nulla del suo pensiero politico.

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Uno dei manifesti del One Billion Rising. Forse la Goodman quando diceva “Se non si balla non è la mia rivoluzione”, intendeva qualcos altro.

Magari in questa riscoperta ribellista, la Carfagna sarà andata pure al One Billion Rising, il flashmob organizzato da Eve Ensler ( autrice dei “Monologhi della Vagina” ) a cui hanno aderito migliaia di donne in tutto il mondo.
A Roma, l’evento è stato organizzato, tra gli altri, da Isabella Rauti, seconda firmataria della proposta di Legge Tarzia nella Regione Lazio sotto la giunta Polverini uscente, quella dello smantellamento dei consultori pubblici, quella dei cortei fondamentalisti cattolici, quella della criminalizzazione dell’aborto.
E questo era già un valido motivo per non andarci.

Un balletto allevierà il dolore delle donne che hanno subito violenza, ma legittimerà altre donne ( vedi Rauti ) a fare “questione di genere” pur osteggiando la reale emancipazione femminile. Pur essendo donna fascista, politicante fascista, figlia di fascista, moglie di fascista, madre di fascista.

Prendo spunto dall’opinione di Natalie Gyte per evidenziare altri due aspetti contraddittori di OBR.

Per prima cosa, che genere di flashmob?
Stella Creasy, una delle sostenitrici di OBR, la settimana scorsa parlava dell’evento auspicandosi una cospicua partecipazione maschile perché “la violenza non è una questione di genere; questa colpisce la società in toto”. Molte remore insomma ad ammettere che invece la violenza è assolutamente “di genere”, che la vera radice dello sfruttamento femminile è il sistema patriarcale.

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Un “flashmob” di poliziotti per dire addio ai diritti delle donne.
Ecco come Rauti, Tarzia e Polverini hanno accolto le donne che difendevano i consultori alla Regione Lazio.

Prima di OBR, già molte altre campagne hanno sfruttato questa strategia: per includere gli uomini, si rifiuta di nominare la causa di una violenza basata sul genere.
La deriva qualunquista è alle porte.

Un altra domanda che dovremmo porci è: che genere di mondo balla al OBR?

Essendo un evento che fa leva principalmente sulla potenziale globalità dell’azione, ha sollevato reazioni in tutto il mondo.
In Congo, ad esempio, dove è stato stimato che ci siano circa 48 stupri ogni ora, alcune donne si sono scagliate contro l’adesione a OBR, perchè “offensivo” e “neo colonialista”.
Per queste donne, immaginare che una donna statunitense, bianca, colta e borghese proponesse loro di ballare tutte insieme per dire alle sopravvissute alle violenze di “rise”, di sorgere e lottare è sembrato quanto meno lesivo della drammaticità della loro condizione. Dice una di loroImmaginate che lo proponessero ai sopravvisuti dell’olocausto“.
Tutti i reduci di Auschwitz a fare un flashmob per dire no al nazismo. Solleverebbe qualche perplessità.

Altro contributo viene da una donna iraniana, femminista degli anni ’70 che ha vissuto sulla sua pelle tutta la repressione di quei luoghi.
Si chiede “Come può qualcuno venire da un altro Paese nel mio e pretendere di aiutarmi dicendo di “rise”, di innalzarmi sopra le esperienze che ho avuto?!”. Considerando la pretesa di superiorità con cui le femministe occidentali guardano alle donne dei paesi islamici ( la donna rievoca varie occasioni di confronto fallito ) non c’è da stupirsi che il tentativo di ballare tutte insieme non sia colto esattamente come un accesso paritario a una questione comune.

Dunque il fattore unificante della comunicazione di genere dell’ultima settimana sembra essere una squalifica della molteplicità femminile e l’impossibilità delle donne di reagire, riflettere, decostruire le proposte sessiste come quelle che sembrano “di genere” e magari sono ancora più contraddittorie.
Forse per colpa delle strumentalizzazioni politiche e banalizzanti delle questioni di genere, forse perchè in tante sono ormai capaci di rivendicare dei diritti, ma non sanno ancora analizzare come ottenerli, come comunicare, reagire, in molte sembrano ancora incapaci di poter davvero rispondere, innalzarsi e dire: voglio questo, lo voglio adesso.

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Voglio che tu stia zitto, perchè mi stai insultando con le tue battute sessiste. Voglio che non sia solo un’ex ministro reazionario ad essere capace di dire: rispettatemi. Voglio che tu non possa squalificarmi da un dibattito per come sono esteticamente.
Voglio sapere di cosa stiamo parlando, prima di aderire a facili eventi mediatici. Voglio ballare, ma senza Isabella Rauti vicino.
Voglio che la violenza sulle donne sia una questione di genere.
Voglio che le donne iraniane mi insegnino il femminismo. Voglio che quelle congolesi smettano di essere colonizzate.
Voglio azioni internazionali, non globalizzate.


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