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Shine di Scott Hicks. Remember who?

Creato il 12 novembre 2011 da Spaceoddity
Shine, quando uscì al cinema (1996), fece parlare moltissimo di sé e riesumò presso il grande pubblico un pianista semidimenticato come David Helfgott, nonché un compositore come Sergej Rachmaninov. Questi era allora poco popolare sia per l'indecente incultura  musicale del nostro paese, sia per i palati di musicofili agguerriti e spesso prontissimi a denigrarlo in favore dei compatrioti Prokofiev e Stravinsky o addirittura il meno moderno Skrjabin. A distanza di quindici anni dall'uscita di Shine, l'eco di questo recupero si è forse dissolta, assorbita da altri sensazionali riscoperte. Viene da chiedersi quale peso possa mai avere avuto l'operazione capeggiata dal regista Scott Hicks, a sua volta riprecipitato nell'oblio, nonostante una filmografia tutt'altro che esigua e collaborazioni lusinghiere. Cos'è l'aver conosciuto, senza il ricordare?
Shine di Scott Hicks. Remember who?Per fortuna non è sparito il grandissimo Geoffrey Rush, consacrato da un ruolo di quelli che fanno storia. Sulla lunga scia di celebri situazioni di disadattamento sentimentale e cognitivo (come Dustin Hoffman in Rain Man o Tom Hanks in Forrest Gump), sembra che anche il suo David Helfgott si caratterizzi per la toccante fragilità del personaggio più che per i meriti personali che lo fanno grande.
La musica, infatti, sembra entrarci poco: il padre severo e, ai nostri occhi, irrazionale, un ateismo ebraico vissuto come un fondamentalismo della ragione e della famiglia, un appiattimento sulla figura paterna e sulle sue scelte, nonché sul suo amore: tutto questo fa di Shine un film come un altro su un uomo che sembra non farcela ma che, nonostante tutto, per le misteriose vie della terra e del cielo e per doni fatali, arriva a emergere dalla propria condizione di difetto.
Ma dov'è il Rach 3? Quel magnifico concerto, quell'intersecarsi di melodie in lotta, quella necessità di padroneggiare il pianoforte e la musica purtroppo si riducono a colonna sonora di una storia, interessante e bella, di un uomo che a lungo soccombe agli interessi di scelte e sentimenti incomprensibili. Ciò che, però, mi sembra peggio è che quest'uomo resuscita, in un mix commerciale di amore e musica a dir poco imbarazzante, degno della satira velenosa di Tim Burton in Mars Attack. Se poi anche l'invito a scrutare le stelle (Ask the stars) smette di essere il pensoso e dolcissimo, ansioso e colmo di speranze, toccante chiedere al cielo, ma diventa lo scientismo di secondo o terzo livello dell'astrologia, si toccano i bassifondi di un'emotività per me intollerabile.
E mi spiace: mi spiace che il terzo concerto per pianoforte di Sergej Rachmaninov si sia visto affibbiare etichette ripetute a destra e a sinistra con la competenza di fini musicologi da persone che di musica ne sanno anche meno di me (e vi assicuro che ce ne vuole parecchio); mi dispiace che un regista dotato e non stupido si sia abbandonato a tale ruffianeria ben confezionata, mi spiace aver rivisto Shine di Scott Hicks dopo quindici anni e aver cancellato il ricordo di un'emozione e di un successo contro le mie resistenze e ogni mia personale debolezza.

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