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Siamo tutti crociati? Il fondamentalismo islamico e l’identità perduta

Creato il 23 marzo 2015 da Pietro Acquistapace
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Le crociate secondo un manoscritto medievale

La “lotta al terrore” sta assumendo contorni sempre più grotteschi, si stanno acculumando contraddizioni su contraddizioni e sembra che proprio in queste sia una delle chiavi per capire cosa succede. Purtroppo non si può ragionare in termini del tutto lucidi e distaccati quando di mezzo ci sono vittime innocenti. Tuttavia il fondamentalismo islamico queste vittime non le ritiene per nulla innocenti, come dimostra una foto apparsa su Twitter dove una delle persone morte a Tunisi viene etichettata come crociato “schiacciato dai leonei del monoteismo”., rallegrandosi ovviamente della sua morte. Ma cosa c’entra con le crociate un pensionato novarese, davvero allo Stato Islamico importa della sua morte?

Quella che si sta combattendo è una guerra di simboli, quello che avviene non è uno scontro di civiltà, come qualcuno con interessi elettorali vorrebbe far credere, ma uno scontro per il monopolio della rappresentazione della civiltà. In questo l’ISIS, che non rappresenta tutta la galassia fondamentalista, ha ben appreso la lezione occidentale sul controllo dell’immaginario. Non si spiega altrimenti l’uso sfrenato dei social network da parte di chi, teoricamente, combatte contro la modernità. Sarebbe comunque da discutere cosa significhi modernità, troppo spesso confusa con lo stile di vita occidentale. A ben guardare l’ISIS sta in qualche modo portando nell’Islam un forte vento di modernità.

Lo Stato Islamico ha forissimi interessi economici: petrolio, tratta di essere umani, traffico d’opere d’arte e molto altro. Come ogni azienda che si rispetti quando si fanno affari le persone diventano altro. Per le aziende di casa nostra diventano forza lavoro, spesso in eccedenza trasformandosi in costi da tagliare, per i fondamentalisti crociati, vale a dire simboli. Sarebbe da andare a ripassare qualche buon libro di storia per ricordare come le Crociate non siano state proprio un’impresa eroica di intrepidi cavalieri senza macchia, molti dei comandanti cristiani erano assetati solo di bottino e potere. Ma che cosa c’entriamo noi ed i morti di Tunisi con questa storia?

C’entriamo per il fatto che volenti o nolenti siamo parte dell’Occidente, c’entriamo per il fatto che la nostra abitudine a delegare in cambio della sicurezza di una vita tranquilla ha contruibito nell’arrivare a questo punto. Senza andare a scomodare l’imperialismo dei secoli passati, senza inoltre voler fare un mea culpa che sa tanto di masochismo, dobbiamo tuttavia accettare il fatto che abbiamo permesso, spesso con disinteresse, ai nostri governanti di trattare il resto del mondo come qualcosa che gli appartenesse. Siamo parte dell’Occidente, forse è ora di iniziare a riflettere su cosa significhi. Delle basi del sistema che ci ha permesso il nostro stile di vita non ci è mai importato molto. Ora è necessario (ri)trovare un’identità.

Di fronte alla minaccia del terrorismo islamico possiamo reagire con comprensibile rabbia, farebbe comodo a tutti e qualcuno lo spera, oppure ragionare sul perché siamo visti come crociati. Perché ci vogliono uccidere, o meglio che cosa vogliono colpire in noi. Questa la vera domanda. Il fatto che molti occidentali, anche non di tradizione islamica, partano per raggiungere le file dei “nemici” dovrebbe farci capire che i conti non tornano. Non possiamo nemmeno barricarci in una fortezza da cui guardare le orde di barbari arrivare. La guerra mediatica non ha barriere. Il fatto che ormai internet sia uno strumento usato ludicamente non deve far dimenticare come sia nato in ambito militare.

Gli attentati devono far riflettere, far capire cosa c’è di sbagliato in noi e correggerlo. Non si tratta di diventare musulmani ma di tornare a ragionare in prima persona e riprendere in mano le redini della nostra vita, in un mondo più giusto per tutti.

Fonte iconografca: The telegraph


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