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sicurezza partecipata

Creato il 30 dicembre 2010 da Ivy

panterapolice

La nota d’inizio a questo post è la lettera di un poliziotto, Maurizio Cudicio, apparsa poco prima di Natale su molti quotidiani

(Il Sole 24 ore, Il secolo xix, repubblica,  il corriere romano, ma anche qui, qui, anche qui e poi ancora qui e potrei continuare a lungo) . Non entro nell’argomento dei cortei studenteschi (manifestare è un diritto) a cui la lettera fa riferimento, ma la prendo da esempio per rispondere a quanto trovato scritto in quei giorni di corteo sui blog a proposito della polizia.

“Italia come uno Stato di polizia, poliziotti pronti a promulgare il coprifuoco, cittadini che appena provano a protestare per rivendicare i propri diritti vengono caricati dalle forze di polizia, forze dell’ordine serve del potere e sempre disponibili a manganellare ragazzini, ecc.”

Chiariamo, la divisa non salva dalla corruzione e un poliziotto marcio puzza il doppio proprio perché in divisa, ma respingo l’opinione di chi considera la polizia come il nemico contro cui combattere.

Il concetto cardine è quello della sicurezza. Sicurezzacome premessa per le garanzie di libertà di uno stato democratico a cui gli stessi cittadini fanno riferimento. Come condizione primaria, principio non negoziabile, bisogno base della piramide di Maslow: sicurezza fisica, morale, lavorativa, familiare, di salute, di proprietà, a scuola, nel tempo libero, sicurezza di poter usufruire dei propri diritti di cittadino.

E, il compito di rispondere alle domande di sicurezza dei cittadini, almeno per quanto riguarda la criminalità urbana e i reati di microcriminalità (perché sono questi ad incidere sulla paura quotidiana; non i furti d’arte o la criminalità economica ma dello scippo sull’autobus), spetta in primis alla polizia.

Protezione del singolo e tutela del bene pubblico ma non certamente instaurando uno stato di polizia, con più poliziotti e mezzi per militarizzare il territorio.

Bene pubblico che, in quanto pubblico ha in sé il concetto di partecipazione della collettività. Ed ecco, il concetto di sicurezza partecipata che la polizia sta promuovendo come la nuova cultura della sicurezza. L’idea di fondo è che il cittadino, oltre che fruitore della sicurezza, ha anche il dovere civico di avere un ruolo attivo, poiché ciò che compromette la sicurezza non è solo la minaccia del fatto di reato ma tutto ciò che può cambiare in peggio la qualità della vita, compresi gli atti di inciviltà dei cittadini.

Molta della nostra insicurezza deriva, in fondo, dal fatto che, consci della mentalità imperante del “non sono affari miei, non mi intrometto, ho già i miei problemi per caricarmi quelli degli altri”, riteniamo che in caso di aggressione nessuno dei passanti verrebbe in nostro aiuto

Ciò che allora la polizia oggi propone come arma di sicurezza efficace è, alla fin fine, un rimando ai concetti di virtù civica e capitale sociale. Con la sicurezza partecipata si chiede collaborazione fra polizia e cittadini.

Metto a fuoco i termini di prevenzione e repressione. Repressione intesa come interruzione di qualcosa di aggressivo e negativo e prevenzione come impedimento che il fatto si vada a creare. Spesso un piano di intervento repressivo è il seguito di un fallimento di un’attività di prevenzione. Cioè, i controlli preventivi servono al fine di non arrivare ad interventi di repressione che sono sempre esempi di mancata e sbagliata politica sociale di intervento. Questo perché, in molti casi, chi dovrebbe non attua una vera pianificazione politica dei problemi ma semplicemente rimette alle forze di polizia il dovere di risolverli. Polizia che ora però, ha deciso di impostare un nuovo modus operandi per la sicurezza del cittadino.

Innanzi tutto fare sicurezza non basandosi solo sulla repressione, ma abbassando le opportunità che favoriscono i comportamenti devianti. Poi, soprattutto, si propone di far in modo che i cittadini possano riacquistare la fiducia persa, non sempre a torto in questi anni, nei confronti di un apparato di polizia che lavora per garantire la loro sicurezza nel quotidiano.

Cittadini che finora si son rivolti alla polizia perlopiù solo in modo opportunistico, andando a denunciare il furto perché si è assicurati, a rifare il passaporto per la vacanza… convinti che ciò che è bene pubblico non attiene a loro ma “riguarda solo la polizia”.

Le forze di polizia sono sicuramente necessarie ma non possono essere le sole chiamate ad assicurare la sicurezza. E ora chiedono la responsabilità di ognuno a concorrere al processo di sicurezza.

La sicurezza pubblica e la sicurezza urbana hanno a che fare con la qualità della vita di tutti. Richiedono corresponsabili fra stato, polizia, enti locali ma anche singoli cittadini. La sicurezza cioè, come un prodotto di squadra, nel rispetto ciascuno dei suoi ruoli.

Ciò che la polizia si propone è un salto culturale.

Questa nuova filosofia inquadra le forze di polizia non tanto come una forza d’ordine ma come una forza di servizio dove il poliziotto non è un semplice tutore della legge ma soprattutto un cittadino fra i cittadini. La polizia vuole impostare la propria azione in carattere di prossimità con il cittadino, di fiducia.

La sicurezza partecipata è la sicurezza civica che si realizza attraverso la partecipazione del cittadino allo svolgersi della vita sociale e che ha come obiettivo la tranquillità sociale.

La sicurezza partecipata, che vede scendere in campo per affrontare le problematiche, al fianco delle forze dell’ordine, una serie di soggetti pubblici e privati, impegnati in maniera interdisciplinare ognuno nei propri ruoli e nelle rispettive competenze ma con azione sinergica. Sicurezza partecipata come un valore e un bene di tutti, un plus valore sociale. Partecipazione come senso di responsabilità.

Ecco la ripresa di un concetto come quello di capitale sociale, che richiama le virtù civiche e consente ai cittadini di risolvere problemi la cui soluzione è spesso bloccata dalla mentalità “non faccio io perché ci penserà qualcun altro”. Capitale sociale come “l’insieme di quegli elementi dell’organizzazione sociale, come la fiducia, le norme condivise, le reti sociali – che possono migliorare l’efficienza della società nel suo insieme, nella misura in cui facilitano l’azione coordinata degli individui” (R. Putnam).

Ciò si cui si propone la polizia è lavorare per costruire la cultura del sociale, del bene comune che non riguarda la persona presa nella sua singolarità ma in quanto è in relazione con altre persone. Il bene comune è dunque il bene per tutti coloro che vi partecipano.

Virtù civiche, sicurezza partecipata, capitale sociale, bene comune sono belle idee. Ma abbisognano di strategie educative ispirate alla formazione del carattere, del senso di responsabilità personale e sociale, di senso critico.

Purtroppo è indubbio che oggi c’è una concezione utilitaristica del sapere e dell’educazione (apprendo solo ciò che mi serve).

La polizia è convinta che la stabilità di una società dipenda dal buon funzionamento delle istituzioni, dall’onestà della classe dirigente, dalla capacità di emanare leggi giuste, ma anche dalle virtù civiche dei cittadini.

Per quanto approvi questa linea di azione, ho più di qualche perplessità sulla costituzione morale delle persone, e sulla loro struttura motivazionale interna. La questione di fondo è: ma le persone la vogliono questa educazione al bene comune? Perché gli individui dovrebbero scegliere di investire sul capitale sociale se ciò che interessa loro è solo il perseguimento del proprio interesse personale?

E visto che le divise sono a nostro servizio, segnalerò prossimamente (finiti i brindisi di questi giorni) questo post all’autore della lettera così apprezzata dai quotidiani, per la schiettezza e per l’amore verso il suo lavoro da poliziotto che comunicava. Chissà che come poliziotto non intervenga nel blog a spiegare meglio.

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