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Sognando Zanzibar

Creato il 19 giugno 2015 da Retrò Online Magazine @retr_online

E’ quasi giorno.  Abbraccio Milano e osservo il grigiore di un’estate che ha dimenticato la propria vocazione e che sembra non voler arrivare. Agli studenti come me sembra quasi fare un favore: studiare è molto più semplice. Ho riposato male, ho dovuto preparare una tazza di caffè piuttosto consistente. Dura ricominciare. Poi mi son fermato. Ho riflettuto su ciò che avevo vissuto qualche ora prima. Metropolitane invisibili, caos in letargo e frenesia in vacanza, strade svuotate di tensioni e clessidre. Ed ancora: spiagge di sabbia bianchissima, incondizionato relax e paesaggi incontaminati. E’ maturata in me la piacevole concezione di voler provare a fermare il tempo e beffardamente, sconfiggerlo. Ho accarezzato la migliore forma di evasione possibile: cultura, socialità e sperimentazione. Ecco cosa mi era successo: avevo sognato Zanzibar.

Dalle spiagge alla storia: Stone Town, la “città di pietra”

Il paradiso tropicale di Zanzibar è prima di tutto, condivisione, nel segno di culture diverse che si sono succedute nel corso della storia. Travagliata, complessa. Fatta non solo di sorrisi e spensieratezza (andare a trovare la gente del posto per credere) ma anche di frustrazioni e contraddittorie soppressioni. Dalla civiltà Swahili, che è testimonianza delle origini di una delle più belle isole al mondo, all’intermezzo legato al dominio portoghese, sino al sultanato. Il Settecento dello sfruttamento della forza lavoro e della tratta degli schiavi.  Per l’economia, per le spezie. Comincia da qui la storia di Stone Town, capitale a partire dal 1840. Dici Zanzibar, dici Stone Town: la “città vecchia” della capitale, patrimonio dell’umanità protetto dall’Unesco (dal 2000), simbolo di riscatto dalla schiavitù e terra nel quale si concretizzerà l’indipendenza raggiunta nel 1964. Patrimonio culturale, dunque. Per le sue bellezze architettoniche e per i suoi incantevoli colori. Sarebbe bene cominciare anche da qui, magari rivivendo l’infanzia di Freddie Mercury (ebbene, nato e cresciuto a Stone Town). Un tuffo nel passato prima di accarezzare la mitezza e la serenità dell’intera “isola delle spezie”.

Prison Island: Nell’isola delle tartarughe

A dieci minuti da Stone Town ci si può rilassare sulle spiagge di Prison Island, altra meta turistica cardine di Zanzibar. Nell’isola delle tartarughe giganti di Aldabra, dal nome dell’isola dalla quale proverrebbero.  Alcune di loro possono raggiungere un peso di 250 kg con esemplari presenti addirittura da circa 200 anni. La schiavitù sembra essere un brutto ricordo: come se il silenzio, i bar, i ristoranti e le spiagge abbiano cancellato i soprusi. Ma nulla può e potrà essere dimenticato, la storia impone ed insegna anche questo. Ecco perché la contemplazione prende il sopravvento e sposa la spensieratezza e la riflessione sulla evidente contraddizione tra la Zanzibar di ieri e quella di oggi. La Zanzibar della capacità di non sapersi disperdere anche dinanzi alle più consistenti difficoltà. Degli occhi dolci dei bimbi e della gente cordiale ed accogliente. Ora sono uno di loro: il mio sogno prosegue. Qualcuno in lontananza sta cantando con gioia, stringendo le proprie mani al petto.

Musica e Zanzibar: L’allegria come ripudio della guerra

Zanzibar = musica. Una sinergia di generi musicali, a cominciare dalla musica Taarab (inizi XX secolo) che recupera le tradizioni della cultura swahili, dall’Africa Orientale sino ad Europa e Medio Oriente. Il termine taarab rimanda ad un significato piuttosto rassicurante: divertirsi con la musica. Con una grande varietà di generi e di strumenti musicali utilizzati anche grazie alle sue orchestre storiche. E che dire di uno dei festival più amati della musica africana, “Sauti Za Busara”? Ogni anno, nel mese di febbraio, a Stone Town si celebra l’ecletticità ed il matrimonio tra i vari generi musicali prodotti dalla tradizione locale. Tutti insieme ad abbracciare il linguaggio universale della musica e dell’amore. A rispettare le diversità ed aiutare il prossimo, anziché delegittimarlo, come spesso invece accade in quei mondi contraddittori che di contraddizioni dovrebbero occuparsi. Che dovrebbero rappresentare le soluzioni alle sperequazioni e alla povertà. “Sauti Za Busara” (tradotto “La voce della saggezza”) congiunge oltre ad artisti della Tanzania, esponenti di paesi africani e non, coinvolgendo anche il resto del mondo. Un forte segnale ed un messaggio di speranza nonostante i conflitti e le difficoltà odierne. Lasciando all’Africa la legittima paternità dei propri sogni. Nel mio invece di sogno, focalizzo l’attenzione sugli sguardi di chi ascolta, canta, mi indica facendomi cenno di avvicinarmi, invitandomi a danzare sino all’alba, come se non ci fosse un domani. “Hakuna Matata” è stata la mia risposta.

Tags:Africa,prison island,stone town,Tanzania,viaggio,Zanzibar

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