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Sopravvivere al lavoro non retribuito e alla disoccupazione

Da Fioridilylla @c_venturini
retribuzione in Italia Il lavoro non retribuito è un danno all'essere umano e al nostro Paese. Non di rado è un insulto al professionista. Porta povertà, abbassa i livelli di qualità, disincentiva la responsabilità, disaffeziona il "dipendente" all'azienda, crea disparità di reddito e conflitti aziendali e sociali sempre più accesi, semina psicopatologie, dipendenze e violenza. La richiesta di assumere dipendenti senza poter fornire una regolare retribuzione è, ad oggi, una pratica molto diffusa, spesso camuffata da stage, spesso delineata come unica occasione occupazionale per quelle realtà duramente colpite dai tagli (come nel non profit) e dagli alti costi del lavoro. Siamo tutti naufraghi che cercano un appiglio nel bel mezzo di detriti. L'Italia è piana di lavoro. Quello che non c'è è la possibilità (e la volontà, in molti casi) di pagare la prestazione d'opera. In un'altra epoca, in un'altro Paese, i sindacati avrebbero fatto il loro lavoro, interessandosi agli eserciti dei mai retribuiti. Ad oggi non possiamo contare su di loro. Non possiamo contare neanche sui movimenti politici perché non sono adatti a fornire soluzioni operative di crescita e di sostegno. Siamo soli e abbiamo un'unica certezza: la disoccupazione è in crescita e il 2013 vedrà un aumento di due punti percentuali dei senza lavoro (dal 10,7% al 12,5%). Dobbiamo fare due cose: sopravvivere e crescere professionalmente. 
In questo mese e mezzo ho perso il conto degli appuntamenti per colloqui che ho ricevuto. Mi sono presentata per 3/4 delle volte e, nel restante 1/4, ho evitato nel momento in cui ho compreso la totale assenza di contratto, retribuzione, garanzie minime e progetto professionale interessante. Nonostante questa scrematura, in oltre la metà dei casi si è trattato di lavoro senza retribuzione oppure in cui c'era l'obbligo di aprire la partita I.V.A. oppure ancora l'unica forma di pagamento era in percentuale. Non solo mancava la retribuzione, ma le prospettive di crescita oppure l'idea delle mie mansioni non era chiara e, talvolta, neppure prevista. Un minestrone di bisogni aziendali senza scopo.
Ho sostenuto colloqui di vario genere e tutti mi hanno chiesto grossi sacrifici. Persino degli investimenti economici. Alcuni volevano la mia giornata totale a fronte di una non retribuzione, altri volevano la mia abnegazione a fronte di volontariato presentato come lavoro, altri ancora non avevano niente da proporre e mi hanno semplicemente fatto perdere tempo. In un solo "caso" ho trovato della sostanza nella proposta, benché si tratti sempre di lavoro non retribuito. In questa proposta, la mia esperienza lavorativa si potrebbe ampliare con l'aggiunta di competenze progettuali e professionali in ambito social molto significative. Tutto, dentro di me, si ribella all'idea di svolgere un compito altamente professionale senza il riconoscimento economico dello stesso.  Ma c'è anche una voce che mi dice: "però ti viene dato altro".  E c'è un'altra voce che mi sussurra: "in qualche modo bisogna pur sopravvivere alla disoccupazione, bisogna pur trovare un modo per aggiungere esperienze rilevanti al curriculum".  E un'altra ancora sbraita: "Così continueresti a dipendere dai tuoi genitori! Quando sarai indipendente?" E c'è il mio cuore che dice: "Vorrei questo lavoro perché mi permetterebbe di unire tutto: scrittura, social network, psicologia, studio, progettazione, sviluppo".  E un'altra ancora mi ricorda che dovrei fare ore di viaggi, completamente a mio carico, per poter arrivare in loco. Mi ricorda le spese che dovrei sostenere per poter lavorare. Mi ricorda che, PER FORTUNA, non è un contesto in stile Vogue e quindi non dovrò sostenere ulteriori spese per avere un abbigliamento idoneo al luogo di lavoro. L'ultima, che mi chiede: "Sarai, almeno, riconosciuta nel ruolo di community manager oppure non avrai neanche questo?". Non le so rispondere, anche se sono tentata nel pensare in negativo, viste le precedenti esperienze. 
Tutto questo dialogo interiore vuole delineare dei punti critici che tutti i disoccupati in cerca di occupazione affrontano. Ponderare l'offerta, valutare i pro e i contro, capire quanto un lavoro potrebbe gravare su se stessi e sulla propria famiglia, sentire il bisogno di riconoscimento almeno professionale, se non è possibile quello economico, affrontare la sfiducia, chiedersi costantemente: "Perché non mi vuoi pagare? Cos'ho che non va? Perché non merito di essere retribuito? Quanto vale il mio lavoro? Quanto valgo come persona? Ho ancora un valore e una dignità?". 
Sapete. Tanti "adulti" sostengono che i giovani non sono più in grado di fare sacrifici. Guardo i miei coetanei e vedo persone disperate. Magari con l'Iphone o l'Ipad. Ma sempre in bilico verso una garanzia di futuro che non arriva mai. A noi, come generazione, sono chiesti sacrifici che nulla hanno a che fare con gli aggeggi tecnologici. Ci sono posti di lavoro dove non sei considerato nessuno se non hai un Ipad. Non credono alla tua professionalità. Sei non sei Apple, non sei nessuno. In alcuni casi sei obbligato ad avere certi giochini. E non sono vizi. Ma investimenti. E l'immagine non è un costrutto di vanità quanto uno dei tanti modi da sviluppare per tentare di raggiungere uno straccio di collaborazione.... spesso non retribuita. 
Mi chiedo se il lavoro non retribuito possa essere considerato come opzione accettabile contro l'isolamento in casa, contro l'ignoranza di ritorno che fa capolino dopo tanto tempo che non puoi sfruttare le tue conoscenze. Mi chiedo se, in alcuni casi, questi sacrifici imposti non siano accettabili, anche se a tempo determinato, per coltivare il proprio curriculum e cercare di diventare appetibili per le aziende. Mi chiedo anche quanto reggeranno le famiglie di pensionati nel sostenere figli che non riescono a trovare uno straccio di lavoro pagato, foss'anche in nero. Mi domando che cosa farei se avessi un figlio a carico e non riuscissi a trovare un lavoro pagato. O se dovessi scappare da una situazione di violenza domestica e volessi ricominciare la mia vita da un'altra parte o nella stessa città.  O se non volessi più avere a che fare con tutte quelle situazioni di dipendenza e volessi essere libera da manipolazioni, ricatti o sentimenti di debito. Questo è comune a tanti.
Il lavoro è necessario per lo sviluppo delle persone e per la loro salvezza, per poter scegliere e crescere. Come persona singola, senza contare l'aiuto economico dei miei genitori e del mio compagno, sono in una situazione di povertà perché non ho nessuna entrata. Sono riuscita ad iscrivermi di nuovo all'università solo dopo anni di risparmio e di negazione di acquisti. Non ho l'Iphone o l'Ipad. Ho la cedolina d'iscrizione alla prima metà dell'anno in psicologia. Ogni volta che penso a questo, riesco solo a piangere. Posso farmi coraggio in tutte le lingue del mondo, ma è molto difficile, in giornate come queste, riuscire a stare serena. 
La disoccupazione è in aumento e il lavoro non retribuito è all'ordine del giorno. La Riforma Fornero non ha scalfito nulla nei contratti e non ha dato alcuna boccata d'aria alle assunzioni reali. Non ci sono controlli verso gli stage non retribuiti e senza nemmeno un rimborso spese. Fino a quando potremmo reggere, come Paese, con schiere di persone senza una lira in tasca, in debito nei confronti di banche o genitori? Come potremmo sperare in uno sviluppo o in una primavera italiana quando non viene data nemmeno l'opportunità di mostrare il proprio valore perché le selezioni per ogni posto vacante sono prese d'assalto da bastimenti di disperati in cerca di uno straccio di lavoro?
In conclusione, a fronte di una situazione d'emergenza, pari al primo dopoguerra, bisogna ingegnarsi e trovare soluzioni praticabili. C'è solo un motivo per cui il lavoro non retribuito, a fronte di un progetto interessante, può essere considerato una scelta praticabile: l'aggiunta di esperienze capaci di traghettare le persone fuori dalla burrasca demoniaca di questi anni nefasti e dannosi. 

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