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Stefania Bianchini, la Million Dollar baby italiana

Creato il 10 settembre 2013 da Tipitosti @cinziaficco1

Agli inizi temeva di rompersi il naso. Poi, di fare una brutta figura. Oggi Stefania Bianchini, nata a Milano nel ’70, è una vera regina della boxe.

Ad aprile scorso l’editore Limina ha pubblicato Autoritratto di una donna sul ring, scritto a quattro amni con Antonio Voceri.

Stefania inizia con gli sport da combattimento quasi per caso, superati i vent’anni, dopo una lunga parentesi dedicata alla ginnastica artistica.

“Sono anni di grandi cambiamenti, sia per Milano – sempre più multietnica – sia per lei – si legge nel libro – alla ricerca continua di un percorso adatto alla sua indole curiosa, sempre sospinta dal desiderio di mettersi alla prova. L’Isef e qualche lavoro saltuario sono ben poca cosa”. Stefana cerca una vera indipendenza e nuove esperienze.

Stefania Bianchini, la Million Dollar baby italiana
Ecco allora che l’incontro con Claudio Alberton – maestro di karate e di svariate discipline da combattimento – diventa uno spartiacque decisivo. Stefania scopre il suo vero talento, la sua più profonda natura. Una rivelazione assolutamente fortuita, dalla quale scaturiranno, negli anni a venire: due titoli italiani (shoot boxe e pugilato); due titoli europei (pugilato); cinque titoli mondiali (quattro di kick-boxing e uno di boxe). Tutte cinture pesanti e preziose  difese più volte, ad ogni latitudine e contro avversarie di tutto il mondo, per una carriera che non è retorico definire eccezionale e che solo in un Paese “calciocentrico” come l’Italia è potuta trascorrere quasi inosservata. Da qui l’idea di fissare tutto in una autobiografia-romanzo. Una sorta di Milion Dollar baby, senza milioni, ma con lieto fine.

Come è nata la passione per questo sport così violento?

Intanto non credo sia uno sport violento. Almeno: violento non è un termine adatto a descriverlo. Naturalmente il contatto fisico è portato all’estremo, su questo non ci piove, ma tutto è subordinato a tecnica, strategia, tempismo, allenamento e regole condivise. Non c’è mai animosità nei confronti dell’avversaria, semmai rispetto. In altre parole è una disciplina sportiva, nobile e con tanti campioni di altissimo livello nella sua storia. Aggiungo che il motociclismo o la discesa libera sono di gran lunga più pericolosi. Detto questo, il mio inizio è stato casuale. Non ero appassionata di fighting, né di karate né di altre discipline da combattimento. La mia è stata la scoperta improvvisa, quasi inaspettata, di un talento sul quale ho poi lavorato duro negli anni. A mano a mano è cresciuta anche la passione.

Sì, ma perché il desiderio di prenderle e darle con il rischio di farsi davvero male?

Le discipline di combattimento sono solo incidentalmente cruente. Può succedere di farsi male, ma non è lo scopo. Il fine è superare il tuo avversario, come nel tennis o negli scacchi.  Io ho iniziato con il karate, uno sport che tantissimi ragazzi e ragazze praticano, compresi i bambini. Solo successivamente mi sono avvicinata ad altre discipline, come la kick-boxing. Quindi non c’entrano né una fantomatica aggressività repressa né qualsiasi altro genere di disagio, almeno per me. Si tratta solo di sport, peraltro anche disciplina olimpica.

Stefania Bianchini, la Million Dollar baby italiana

Ma i suoi genitori hanno faticato ad accettare questa scelta?

Erano preoccupati, ovviamente. Ma hanno rispettato la mia scelta e mi hanno sempre seguita durante la carriera.  E’ vero, invece, che mia madre non è mai riuscita a vedere con i suoi occhi un mio match. Si faceva fare la radiocronaca da mio padre. Cuore di mamma.

Non c’entra, quindi, il classico scontro madre-figlia nella sua scelta di combattere?

Per niente.

E’ vero che sua madre diceva: “Non le ha mai prese da piccola da noi e ora che è grande le prende da altri?”.

Lo ha detto nel film 11th round di Stefano Moro, che racconta la mia storia fino al 2005. Però, credo di averne date di più io (sorride, ndr)”.

Cosa le ha dato questo sport?

Ho provato a descriverlo nel libro e credo di esserci riuscita. Le emozioni, le sensazioni, le vibrazioni che lo sport ad alto livello è in grado di procurare sono quasi irripetibili in ogni altro ambito della vita. Ho detto quasi.

Cosa ha imparato in tanti anni?

Disciplina, impegno, dedizione, serietà. Mi ha reso migliore, più forte. E poi ho scoperto che si impara di più da una sconfitta che da una vittoria. Anche se, tutto sommato, è molto meglio vincere

Ci sfati un mito sulla donna pugile.

Più che su una donna pugile, sul pugilato: il cinema tende sempre a raccontare la boxe utilizzando lo stratagemma narrativo del buono contro il cattivo. E’ una balla colossale, anche abbastanza stucchevole. Ci sono due atleti che tentano di superarsi, punto. In quanto alle donne, in palestra le pugili sono molto rispettate e non sono considerate affatto di serie B. Non è sempre questo l’atteggiamento dei media.

Siete tante in italia? E all’estero?

Io ed altre atlete, negli anni ‘90 e nei primi anni del 2000, siamo state delle pioniere, soprattutto in Italia. Nel mondo, specie a Oriente e nel Nord Europa, le fighters erano già tante e agguerrite: parlo di muay-thai, savate e kick-boxing in particolare. In Olanda e Giappone c’erano atlete strepitose, ma anche negli Stati Uniti, in Francia, in Germania, nei Paesi anglosassoni in generale, così come a Est: Ungheria, Polonia. Poi hanno preso piede un po’ ovunque. In Italia è stato tutto più lento: la boxe femminile è stata autorizzata nel 2001 e il caschetto protettivo è stato tolto nel 2005. In palestra, intanto, eravamo sempre più numerose: Maria Rosa Tabbuso, Sabina Ritter, Laura Tavecchio, Simona Galassi si sono portate a casa un bel po’ di cinture”.

Stefania Bianchini, la Million Dollar baby italiana

E’ aggressiva sul ring, ma anche nella vita privata? La sua vera “tostaggine” qual è?

 Non sono una persona aggressiva, per niente. Sono, semmai, combattiva e c’è una differenza sostanziale. La mia vera tostaggine sta nell’impegno. Sono una persona puntigliosa: se faccio una cosa la voglio fare al massimo delle mie capacità, possibilmente migliorandole.

Da bambina com’era?

Ero una bambina che esplorava, e ho continuato da grande.

Qual è il requisito fondamentale per fare questo sport?

Per quel che mi riguarda, le cose che ho detto in precedenza: testardaggine, capacità di impegnarsi a fondo e di soffrire. Certo, un minimo di coraggio e di sopportazione del dolore non guastano. E poi ci sono le capacità condizionali: forza, velocità. Sono tante le tessere del mosaico che devono andare al loro posto. Su tutte, però, direi la dedizione.

Qual è stato lo scontro e quindi l’avversaria che non dimenticherà mai?

Virginie Ducros, a Parigi, primo titolo mondiale della mia vita. Match incredibile. Ilonka Elmont, a Milano, il combattimento più duro e doloroso che abbia mai sostenuto e altro titolo mondiale. Poi Cathy Brown, inglese, prima cintura mondiale di pugilato. Ma sono tante: la giapponese Aya Mitsui, la tedesca Regina Halmich e l’italiana Simona Galassi. Nel bene e nel male sono da ricordare tutte.

Cosa le faceva più paura quando ha iniziato? 

Di rompermi il naso, cosa che fortunatamente non è mai successa. Ma col tempo la paura maggiore era di fare brutta figura.

E oggi nella vita?

Niente in particolare, se non le paure di ogni genitore

Com’è con sua figlia e cosa le insegna?

Sono una mamma normale, come tante altre, con i miei pregi e i miei difetti. Tuttavia, non nego che la ferrea disciplina sportiva che mi sono imposta possa condizionare in qualche misura anche il mio modo di essere mamma. Tutto sommato, non credo sia un male. Anzi.

Come sono gli uomini della sua vita, dolci o aggressivi?

Sono stati diversi, per soddisfare la curiosità potreste acquistare il libro (sorride, ndr)

Perché un libro sulla sua esperienza?

Inizialmente non lo volevo fare e ho declinato l’invito. Poi l’editore (Lìmina, ndr) ha insistito e ho capito che c’era un forte interesse. Non tanto verso il mio nome, sconosciuto al grande pubblico, quanto alla mia storia. Ho riflettuto quindi sugli aspetti positivi che la mia vicenda poteva suggerire e ho accettato. Alla fine posso dire di essere molto contenta. Presa da tutte le mie attività, non ho mai riflettuto sul fatto che la mia storia potesse somigliare a un romanzo, invece”.

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Stefania Bianchini, la Million Dollar baby italiana

Combatte ogni giorno contro il femminicidio. E’ così? Cosa servirebbe, un corso da pugile per tutte?

Quello, in assoluto, non guasta. Consideriamo che la fit-boxe è anche un modo divertente e liberatorio per mantenersi in forma. Nello specifico, nei miei corsi di difesa personale affronto il problema a valle. Bisogna che la società nel suo complesso e il legislatore lo affrontino a monte. In attesa che tutto ciò avvenga – anche se l’attuale governo non è stato inerte su questo tema – un calcio nelle zone cruciali può essere un buon deterrente.

Il suo sogno?

La famiglia, oggi, ne racchiude molti. Dal punto di vista personale, ho avviato da poco la mia palestra a Milano – Your Personal Coach – e farla andare bene, mettendo a disposizione dei clienti la mia esperienza, la mia laurea in Scienze Motorie e i miei master, mi farebbe molto piacere. Di più, è il mio piccolo-grande sogno di oggi.

                                                                                                                           Cinzia Ficco


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