di Iannozzi Giuseppe
Si rimane attaccati alla vita come a un suicidio bell’e consumato… Ma il piacere migliore è quello di guardare la quarta di copertina dei libri, dove in un angolo è scritto – non troppo in chiaro – il prezzo, l’unica cosa che merita d’esser letta per intero… Tutto ha un prezzo, anche la carta… l’arte poi ha un prezzo di copertura… o di copertina… Comunque sia, alla fine il vero genio è solo colui che riesce a trapanarsi le cervella con una pallottola… restando in piedi… uguale a una Barbie sottoposta a lobotomia… L’arte è morta, è da parecchi secoli che lo slogan viene masticato… di bocca in bocca passa… ha ali di farfalla… ha la faccia d’una bandiera al vento… C’è del vero in questa morte che viene masticata e sventolata: non serve alla vita, non serve all’arte, non serve a nessuno, nemmeno ai pappagalli… però è bello ripetere che l’arte è di morte, fa bene, come al condannato sulla forca che porgendo il collo alla corda azzarda fra le labbra una melodia… sperando sempre in una pallottola vagante che lo tolga dall’imbarazzo, quello di fischiettare… sperando di rimanere in piedi col cervello trapanato. O lobotomizzato…
L’ho rivista ieri, dopo tanto tempo… ne ho subito ricevuto una brutta impressione… non pensavo fosse invecchiata, non così tanto…
“Come stai…?”, ma non ce l’ho fatta ad aprire bocca, e sono rimasto in silenzio a fissarla… lei ha fatto lo stesso… C’è voluto davvero poco perché m’adattassi alla sua vecchiaia. Ci si abitua a tutto. Lei non m’ha riconosciuto, poco ma sicuro: l’ultima volta che mi vide ero povero in canna… mentre oggi sono diverso, molto diverso… Nonostante la vecchiaia, lei non è cambiata: è sempre la stessa, ha la solita luce negli occhi – un’eterna fitta di dolore di vertigine di poesia…
Dunque è vero che si rimane attaccati alla vita, alla vita… sempre… come un destino bell’e consumato, ma necessario anche se lontano assai dal poter esser detto bello…