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Sul perché la sessualità femminile è stata ignorata per secoli - antologia della clitoride, parte VI

Da Marypinagiuliaalessiafabiana

 

Si ritiene che le origini della relegazione della sessualità femminile a ruolo secondario rispetto a quella maschile vadano ricercate nei comportamenti dei primati superiori. Per milioni di anni, infatti, il primate superiore di sesso maschile ha dominato in campo riproduttivo, imponendo il proprio volere alle femmine del branco, pronte a sacrificare la loro prole nella speranza che, dando figli al maschio alpha, avrebbero ottenuto in cambio cibo e protezione per sé e per la progenie.

Sul perché la sessualità femminile è stata ignorata per secoli - antologia della clitoride, parte VIL’Homo Sapiens si è gradualmente allontanato da tali comportamenti, ma ha continuato ad affermare la propria supremazia in campo riproduttivo obbligando con ogni mezzo la propria donna alla sottomissione e a una fedeltà non necessariamente ricambiata. Dal punto di vista antropologico, una delle caratteristiche che differenziano il genere Homo dai primati è che le femmine di questa specie sono disponibili al rapporto sessuale durante tutto il proprio ciclo mestruale e non solo durante il periodo fertile. Questa peculiarità ha permesso nel corso dei secoli lo sviluppo di una sessualità non strettamente rivolta alla riproduzione, definita ricreativa. L’attività sessuale svincolata dalle necessità riproduttive ha favorito la tendenza alla ricerca di un partner stabile, con la formazione di coppie monogamiche: l’assunto è che se il maschio del genere Homo ha a disposizione una donna accessibile dal punto di vista sessuale ogni giorno dell’anno, l’impulso a cercare altre donne per prestazioni sessuali non può che farsi meno impellente. Il rovescio della medaglia di questa “accessibilità sessuale” delle femmine del genere Homo ha tuttavia messo il maschio nella condizione di doverla difende da altri maschi.
Un esempio di coercizione femminile alla fedeltà al partner ci viene dalle cinture di castità, aneddoticamente imposte a una moltitudine di consorti di cavalieri in partenza per il Santo Sepolcro durante il periodo delle Crociate, il cui uso si diffuse in Italia tra il XIV e il XV secolo nell’ambiente dell’alta aristocrazia fiorentina . Se le cinture di castità rappresentano un retaggio storico apprezzato solamente dagli appassionati di BDSM, in numerosi paesi africani e mediorientali, la verginità e la fedeltà delle donne sono ancora considerate un “bene” da difendere e tutelare, se necessario anche mediante le mai abbastanza aborrite pratiche di mutilazione genitale femminile, ben descritte da Mary qui e qui.

Proprio per questi motivi, l’attenzione dell’uomo nel corso dei secoli si è focalizzata prevalentemente sulla sessualità maschile e sui modi per correggerla e all’occorrenza incrementarla, mentre scarsissimi sono stati gli studi sulla sessualità femminile, dato il suo potenziale di distruzione del sistema di valori della società patriarcale. L’opinione comune, creata a uso e consumo di tale società, era che le donne avessero scarse se non inesistenti reazioni sessuali e che fossero inferiori agli uomini sia intellettualmente che fisicamente, e tale sentire è stato corroborato persino da scienziati evoluzionisti del calibro di Charles Darwin (!).

Anche la chiesa, storicamente ostile alle donne a causa del mito di Eva tentatrice, ha fatto la sua parte nel reprimere la sessualità e la creatività femminili, in parte mediante le pratiche di caccia alle streghe, che coinvolsero donne di ogni estrazione sociale (dalle guaritrici, alle intellettuali, alle prostitute, giusto per citarne qualcuna), in parte mediante la diffusione di credenze quali la presunta “non purezza” delle donne durante il periodo mestruale, che costringeva le poverette a limitare i contatti sociali e lavorativi durante i giorni del ciclo, nel timore di “contaminazioni”.
Il peso delle ingerenze della chiesa sulla sfera sessuale femminile è stato tale che nel 1878 l’illustre rivista British Medical Journal ha pubblicato una serie di lettere di medici che cercavano di dimostrare che se una donna mestruata toccava del prosciutto questo si guastava.

L’interesse verso la sessualità femminile da parte della comunità scientifica internazionale ha iniziato timidamente a manifestarsi con gli studi sull’isteria di Jean Marie Charcot all’istituto Salpetriere di Parigi ed è stato in parte proseguito da Freud.

Sul perché la sessualità femminile è stata ignorata per secoli - antologia della clitoride, parte VI

Alfred Kinsey

 

È tuttavia solo nel secondo dopoguerra, con gli studi del sessuologo statunitense Alfred Kinsey, che la sfera sessuale femminile è diventata oggetto di attenzione e ricerca. I lavori di Kinsey, raccolti nei volumi ‘il comportamento sessuale dell’uomo’ e ‘il comportamento sessuale della donna’, si basano su interviste condotte su 12000 individui di tutti gli strati sociali e sono una miniera di preziose informazioni sul rapporto con la sessualità dei cittadini americani del periodo. Tale rapporto, per quel che riguarda le donne, può essere sfortunatamente sintetizzato nella frase di Albert Hellis:”se vi piace non dovete farlo, se è un dovere fatelo”.

Sul perché la sessualità femminile è stata ignorata per secoli - antologia della clitoride, parte VI

William Masters e Virginia Johnson

 

Gli anni ’60, con l’avvento dei moderni sistemi di contraccezione, che hanno definitivamente svincolato anche per le donne la sessualità riproduttiva da quella ricreativa, sono stati il terreno di studi di altri due famosi sessuologi, Masters e Johnson, che hanno osservato oltre 10000 episodi di attività sessuale in 382 donne e 312 donne, sviluppando importanti ricerche sull’anatomia e sulla fisiologia femminile. Sia Kinsey che Masters e Johnson sono stati duramente criticati alla pubblicazione dei loro lavori, tuttavia è grazie ai questo studi pionieristici che la sessualità femminile ha acquisito dignità e rilevanza a livello scientifico e interpersonale.

Da quanto detto si evince come gli studi sulla sessualità femminile siano oggetto di studio da poco meno di una sessantina d’anni (ecco perché la diatriba sull’esistenza o meno del punto G sia tuttora in corso), e necessitino pertanto di ulteriori approfondimenti.

UPDATE: in realtà gli studi antropologici più recenti hanno evidenziato il ruolo determinante delle donne nell’acquisizione della postura bipede. La gestione della prole, unita alla necessità di ricerca del cibo (non dimentichiamo che i primi uomini erano raccoglitori) avrebbe portato le donne ad assumere gradualmente la statura eretta, in modo da tenere il piccolo con una mano e avere l’altra libera di raccogliere il cibo. Alle donne spetta anche il merito di aver sviluppato i primi utensili per la raccolta e il trasporto del cibo, favorendo ulteriormente l’adozione dell’andatura bipede e permettendo l’affinamento delle abilità manuali.

Grazie a P. Mazzei per le precisazioni 

 


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