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Sull’Ethos del Lucioperca

Creato il 27 ottobre 2010 da Gadilu

Sull’Ethos del Lucioperca

Sull’Ethos del Lucioperca. Invito all’essenza dell’indefinito.

(Dedicato a – e ringraziando – Gabriele Di Luca)

di Chiara Mosti e Valentino Liberto


«IO MI DOMANDO: come può diventare commestibile un’immagine di un sottobosco dopo una nevicata o una meditazione di un’opera jazz? Come possono essere tradotti in piatti e concetti culinari? Joseph Beuys è stato uno dei più grandi artisti del XX secolo. Beuys diceva: “Nell’istante in cui l’estetica coincide con l’uomo, in quell’istante, ogni uomo è un artista. Si tratta semplicemente della descrizione della natura umana”. La mia cucina non è un ricettario, un elenco di ingredienti, una dimostrazione di conoscenze tecniche. E’ un modo di approfondire il mio territorio. Beuys sosteneva: “La natura della mia scultura non è mai fissa né finita, ma il processo naturale continua: reazioni chimiche, fermentazioni, cambi di colore, essiccamento e la decomposizione…tutto è in uno stato di cambiamento.”» (Massimo Bottura, chef e patron dell’Osteria Francescana, Modena).

«Definire è limitare.» (Oscar Wilde)

Il lucioperca (Stizostedion lucioperca) è un grosso e vorace pesce. Ha corpo allungato, di colore variabile da grigio-argenteo a verde, coronato da due pinne dorsali e coperto da squame ctenoidi, cioè ruvide, con margine dentellato. Il capo è slanciato e la bocca è dotata di una consistente dentatura, con singoli denti, i cosiddetti “denti canini”, di notevole dimensioni. Considerato un pesce pregiato per la squisitezza delle sue carni, è diffuso nelle acque dolci.

Misterioso pesce eppure prelibata pietanza, da assaporare in religioso silenzio, intervallato solo da brevi (ed enfatiche) note d’approvazione. Sconosciuto ai più, il lucioperca racchiude in sé la delizia del mistero, intrinseca al suono stesso del termine. La sinfonia di sapori è dunque racchiusa dentro le cose che ci circondano, nella natura stessa degli elementi di terra o di mare, incastonata nelle carni come nelle fibre vegetali plasmate da abili mani in cucina; un’anima tangibile raggiungibile nel viaggio introspettivo del palato. Le più buone sensazioni gustative sono spesso quelle più difficilmente raggiungibili, perché rare o poco ricercate. Un’esperienza per noi imprescindibile con l’indefinita estetica del gusto – dalla forma non formale, così intima e personale, rinomata ma tradizionale – che parte da un bisogno primario (sfamarsi) e si trasforma in un’arte della lenta degustazione percettiva, da condividere possibilmente con chi possiede una gastronomica-mente. Mente priva di definizioni preconcette, senza conservanti conservatori, creativa e aperta, volta all’incontro e alla mescolanza.

Ma chi è il lucioperca? E come vive o sopravvive? La prima lezione che apprende un lucioperca è eraclitea. Tutto scorre. L’acqua lo avvolge, è un turbinio di momenti che si divertono, sovrapponendosi e separandosi. La corrente lo culla, lo cresce, lo trascina, mai del tutto. Il lucioperca sa che si tratta tutt’al più d’acqua, tra mille altre dolci. Il non poterne fare a meno è solo una questione di branchie. Tuttavia nuota, due pinne dorsali ed una certa sicurezza. Lascia che le sue acque giochino a rincorrere il tempo e non sopporta che si disturbi il suo, di tempo. E’ per questo che è così restio a presentarsi sulle nostre tavole. Se e quando lo fa, si presenta sotto forma di tortino, affiancato da un bicchiere di saporita salsa di porcini. Cosa leghi un lucioperca ad un bicchiere di salsa di porcini è materia che ci pare del tutto oscura. E’ forse questa incognita dei fiumi a prediligerne la compagnia? O forse, è impossibile non subire il fascino del lucioperca? Potrebbe venirci in mente una terza ipotesi. Che siano i rispettivi ethos, di ombra e silenzio, a incontrarsi in una zolla di cielo così similmente discreta?



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