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"Tazio (ovvero la notte dei morti viventi)" di Francesco Pasqua

Creato il 09 maggio 2012 da Peterpasquer

Non era mai stato all’altezza di un cazzo, poteva parlare quanto voleva, agitare le mani come ventilatori guasti, lavarsi ogni giorno i capelli e ripetere in continuazione “certo certo”, ma non sarebbe mai stato all’altezza di un cazzo. Scoprì le avventure di Indiana Jones un po’ troppo in ritardo rispetto agli altri suoi coetanei ma la cosa non gli impedì ugualmente di pensare a se stesso come a un archeologo impavido e affascinante, salvo poi ricredersi verso i vent’anni e capire che forse quella del cantautore sarebbe stata la meta più ambiziosa e coraggiosa per uno come lui. Ma non scrisse mai una canzone. Mai. Solo alcune poesie destinate a uno dei tanti scaffali colmi di niente nella propria camera. Più tardi rincorse un corso per periti informatici perché qualcuno gli disse con fare convincente che l’informatica andava – eccome se andava! – quindi fece l’esame attitudinale, passò per colpo di culo e abbandonò tutto alla terza settimana a causa delle troppe ore di studio, dei troppi nasi troppo storti di taluni professori e di una strana allergia che, non seppe come, lo colpì alle ascelle. Scelse così un corso d’inglese per meglio capire i testi dei Pink Floyd e di Leonard Cohen, ma anche lì dovette fare i conti con cose assurde tipo il genitivo sassone e la ‘th’ pronunciata con la lingua in mezzo ai denti. In compenso scoprì l’acconciatura davvero-troppo-carina di Lalla, sua compagna di banco intelligentissima e veramente figa. “Simpatica!” E sebbene fosse la classica tipa 'se vuoi che ti faccia una sega regalami un paio di guanti', lui la trovò davvero giusta e convincente quando, a proposito del corso, gli confidò: “Che palle, io cambio linea.” S’iscrissero di comune accordo a un corso di pattinaggio e lui, tra un abrasione e l’altra, le confidò che stava pensando di fare un viaggio. “Dove?” “Londra.” Che merda, Parigi è più figa. Tutti ormai vogliono andare a Londra per fare gli alternativi. Prima Cuba, ora Londra. Che merda…” “Sì, hai regione. Meglio Parigi.” A Parigi non ci andarono mai. In compenso presero molti tè all’Exit, uno dei locali più democratici di Scarlatti. Solo un particolare. Non avevano in simpatia Almerio, il tipo dietro al bancone. O, almeno, a lui stava simpatico prima, fino al giorno in cui Lalla gli confidò, con tanto di labbro pendente, che proprio non lo digeriva. “Perché?” “Ma non lo vedi?” “Ah, già…” E cominciò a non digerire anche alcune sue vecchie conoscenze, quelli che tra un rum e l’altro cazzeggiavano sul cinema citando a memoria le battute di certi splatter-movie e altrettanti film di serie B sgangherati più delle loro risate. Non che il cinema non gli piacesse (aveva tutta impacchettata l’imperdibile raccolta dvd dei Classici del Cinema) solo che quelli ne parlavano in modo un po’ troppo forte, sempre così convinti, così chiassosi, così competenti. “Che antipatici,” disse Lalla. Già. Solo perché hanno visto tutti quei film che poi, sinceramente, nemmeno mi piacciono.” “Di che film parlavano?” Fuori Orario… L’hai visto?” “No. E tu?” “Nemmeno. Però ce l’ho.” “Hai visto Underground?” “Sì, fantastico.” “Insomma…” “Lo so, non è bellissimo però carino.” “Preferisco il genere Dogma 95.” “Ce l’ho ma ancora non l’ho visto. Dev’essere fantastico. Magari una di queste sere potremmo vederlo, ti va?” “Sì, ma non è un film…” “Certo, certo. Meno male però che abbiamo gli stessi gusti.” “Cosa?” “Dicevo, più o meno abbiamo gli stessi gusti, no?” “…a volte,” sbuffò Lalla. “Certo, certo. A volte…” la tranquillizzò lui. Poi una sera, all’Exit, entrò un gruppo di ragazze. Una di queste lo riconobbe. “Ciao Tazio. Da quanto tempo.” “Ciao. Come stai? Tutto bene?” “Sì, grazie. Tu?” “Io bene, sì.” “Che stai facendo di bello?” “Dici qui a Scarlatti?” “Sì, in genere…” “Niente di nuovo, sto rincorrendo alcune idee e ne ragionavo proprio con lei. Scusa non vi ho presentate. Lei è Lalla…” “Piacere Claudia. Quindi?” “E quindi niente, vorremmo aprire un negozietto per vendere oggettini, piccole cose di cuoio, roba artigianale insomma, anche borse, tazze e cose di questo tipo.” “Bello. Hai fatto domanda?” “No, infatti parlavamo di questo.” Ti conviene sbrigarti. Te lo dico perché io ho ottenuto solo ora i finanziamenti per il mio laboratorio di ceramiche. Una faticata che non immagini durata un anno e passa; tra riunioni assurde, personaggi schizzati, documenti da fare, moduli da compilare e scartoffie varie. Adesso però ho tutto in regola e tra un mese forse aprirò, proprio qui vicino. Speriamo bene… Ma, scusa, tu non volevi fare il giornalista?” Il giornalista? Ah, sì ricordo… Minchia, ma è proprio tanto che non ci vediamo. Sì, solo che poi sono successe delle cose e allora ho pensato che fosse meglio cambiare rotta. Comunque sentiamoci se apri il negozio, mi piacerebbe darti una mano, ultimamente ho decorato a mio modo alcune tazze. Se vuoi potrei fartele vedere, anche Lalla è brava.” Così Lalla si alzò per prendere la sciarpa e la giacca. “Ve ne state già andando?” “No,” fece Tazio. “Sì,” disse Lalla. “Ah già vero,” confermò Tazio. E sparirono. Il mese dopo Claudia, riuscì finalmente ad aprire il suo negozio di ceramiche artigianali dipinte a mano. Sperò in una visita dei due ma non li vide né entrare né passare. Dove erano finiti? La domanda le tornò in mente durante una sera trascorsa all’Exit, assieme ad alcuni amici. S’avvicinò ad Almerio, il banconista. “Scusa, ma Tazio non è più passato?” “Tazio? Ho saputo da qualcuno, non mi ricordo chi, che adesso lavora in una tipografia.” Sorrise. “E quella Lalla?” “Lalla chi?” “Quella che stava con lui, quella un po’ strana che…” “Ah, sì. Si è messa con uno. Adesso è partita per Londra, mi pare.” A Claudia piaceva Tazio. Sapeva bene che non sarebbe mai e poi mai stato all’altezza di un cazzo ma in qualche modo le piaceva. Amava convincersi che prima o poi l’avrebbe trovato cambiato, perlomeno migliore rispetto al loro ultimo incontro. Era una speranza cagionevole, fioca quanto lontana, ma lei non desisteva. Di certo non si può dire che fosse proprio innamorata, ma che nutrisse nei suoi confronti un amorevole sentimento che potremmo chiamare d’interesse, questo sì, credo sia lecito sospettarlo. Lo conobbe per caso durante una festa in cui lui, per non essere tagliato fuori da un discorso piuttosto contorto sul cinema horror e dintorni, dovette fingere la conoscenza di almeno tre titoli tra i quasi trenta citati. Finché non gli rivolsero la domanda diretta “Qual è il tuo regista horror preferito?” e lui, senza battere ciglio, rispose “I nomi dei registi non me li ricordo. Ho visto qualche film, così perché è capitato ma io amo un altro genere di…” e un bastardo da dietro, “E il tuo film horror preferito?” e Tazio ancora “…forse quello in cui c’era la…” e qualcuno rise. “Mi dispiace ma non ricordo il titolo.” “Non ti ricordi il tuo horror preferito?” “Ragazzi scusate, ma non è il mio genere.” “Ma se è da un’ora e mezza che parliamo di horror e che fai sì con la testa.” “Sì perché qualcuno ce l’ho a casa. Solo che ancora non l’ho visto…” “Ma vaffanculo. Dillo che non hai mai visto un cazzo.” Dario Argento,” disse automaticamente Tazio, nemmeno fosse un robot programmato per rispondere a tutti i costi. Ne seguì un coro di pernacchie e risate che gli bruciò sulle labbra quell’accenno di sorriso idiota pensato apposta per rendersi simpatico. Non era un coglione anche se a volte poteva darlo a sembrare, era intelligente e anche più colto rispetto alla media dei ragazzi di Scarlatti, solo che metteva quel sapere al servizio di una personalità atrofizzata. Voleva bene a tutti e quindi a nessuno, sovraccarico com’era di formalismi e buonismi da buon chierichetto di provincia. Insomma, una bella frase in un romanzo inutile. Claudia in quell’occasione lo avvicinò davanti al tavolo degli alcolici. Lui aveva in mano un bicchiere con del whisky, o almeno così credeva prima che lei lo avvisasse che si trattava di cognac. “Cognac?” “Scusa, non l’hai assaggiato?” “Sì, certo, certo…” “E allora come fai a dire che è whisky?” “Non lo so, pensavo che fosse whisky e allora mi sono autoconvinto,” e provò a riderci su tentando una goffa imitazione di Edward Norton. Hai sempre riso così?” chiese incuriosita, e Tazio, pensando di possedere la stessa verve di Bob Hope o di Groucho Marx, ribatté prontamente “No. Solo dall’ultimo…”, ma gli mancava sempre la battuta finale. La stoccata vincente. Si bloccò e mandò giù un sorso. “Buono però ‘sto cognac…” “Studi?” Adesso non più, però ho alcune idee, alcuni progetti che sto cercando di mettere nero su bianco per creare un gruppo di lavoro capace di autopubblicarsi. Conosci Marco?” “No.” “Marco è il ragazzo col quale collaboro. Scrive cose, così come me.” “Che scrivi?” “No, io non scrivo, cioè sì vorrei fare il giornalista però solo piccole cose.” “Hai già collaborato con qualche giornale?” “No, questo no. Prima o poi credo che dovrò.” “Beh, il giornalista è molto più attivo e dinamico, meno sedentario rispetto a uno scrittore, mi pare.” Infatti, infatti…” E qui si chiuse la prima parte della loro prima chiacchierata. A Claudia bastò poco per capire che tipo di persona fosse Tazio. La scosse quel suo modo di camminare, sempre attento a non disturbare troppo, a non intralciare troppo, a non spaziare troppo, così quel suo vizio di fissare per circa un quarto d’ora il dettaglio di un mobile qualsiasi assumendone l’espressione. Lo trovò carino, di bell’aspetto, gradevole sui primi due minuti di interazione ma assolutamente nullo allo scadere di quel lasso di tempo. Addirittura irritante per quella sua abitudine di ripetere continuamente lo stesso concetto almeno cinque volte prima di cambiare totalmente argomento. Pareva sapesse sempre tutto e citava sempre qualcun altro per non dover sopportare il peso di un’opinione tutta sua. Se gli chiedevi di un dipinto o di un libro lui era capace di spararti il nome dell’autore prima ancora di farti arrivare al punto interrogativo e a volte, francamente, nemmeno gli interessava comprendere se ci fosse o no quel punto interrogativo. La sua personalissima missione era informarti che anche lui, come pochi altri, era al corrente di quella data cosa, salvo rari ma eclatanti episodi in cui – sospinto dall’impeto orgasmico della risposta – confondeva gli espressionisti con gli impressionisti o, parlando di cinema, Spike Lee con Bruce Lee. …ma a Claudia piaceva comunque. Quella sera, alla festa, parlarono per un po’ sul balcone. Lei sporta verso il vuoto di sotto e lui poggiato con le spalle alla ringhiera, rivolto al caos e alle risate della casa. Per riflesso, a volte, rideva anche lui. “Hai mai visto L’attimo fuggente?” gli chiese ad un certo punto Claudia. “No. Ma ce l’ho,” rispose fulmineo lui. Vedilo. È molto interessante, io ho quasi pianto mentre…” ma lo sorprese con lo sguardo spento su una zona impossibile del vaso di cactus alla loro destra. “Ci sei?” gli domandò. Sì, scusa ero un attimo… Stavo pensando che quando ho comprato quel film, all’edicola sotto casa mia, ero uscito anche per fare il regalo di compleanno a mio padre. Volevo comprargli un accendisigari ma l’amico che stava con me, così per assurdo, tirò fuori un discorso sui Testimoni di Geova e sul fatto che loro non avrebbero mai comprato né un accendisigari né niente da regalare, nemmeno a un loro caro. La sapevi questa? Pazzesco! E proprio in quell’istante, mentre ridevamo su questa bestialità, ci imbattiamo in due Testimoni di Geova che ci fermano per raccontarci cose assurde tipo: il mondo non può essere comandato dagli uomini, il regno di Dio è più vicino di quanto crediate e cazzate del genere. Pazzesco.” “Sì, ma che c’entra con quello che stavo dicendo?” “No, siccome c’era il film di mezzo allora… Non c’entra niente hai ragione, perdonami.” “Va bene, lasciamo stare…” “No, scusa, dài, mi dispiace, solo che improvvisamente ho pensato che c’era qualcosa che potesse collegarsi con… Dài, scusa, non…” “D’accordo. Sarà che anch’io sono un po’ stancante.” “No, davvero, siccome il tuo ragionamento era… Dài, non fare l’offesa. Scusa.” “Tranquillo, non è successo niente.” Ma ce ne volle perché Claudia non gli sferrasse un gran calcio sulle palle. Si voltò dall’altra parte e respirò. Lui le si avvicinò come un cucciolo. “Stai bene?” “Sì. Mi dispiace ma sono in un momento tragico della mia vita.” “Siamo sulla stessa barca…” “Ma tu almeno hai le idee più chiare. Decidere di fare il giornalista è già qualcosa.” “Sì, ma ancora è prematuro. Per esempio mi piacerebbe anche insegnare…” “Insegnare?” “Sì, mi piacerebbe. Però devo iscrivermi all’università.” “E cosa vorresti ins…” Non lo so. Sono indeciso tra teologia o sociologia, una ragazza che conosco dice che…” “Beni culturali no?” aggiunse ironicamente lei. Sì, anche Beni culturali non sarebbe male. Ho dei libri interessanti a casa. Sai, quelli sui misteri delle piramidi in Egitto? Ti rendi conto che ancora non hanno capito come…” e Claudia sperò in un aiuto qualsiasi, anche l’occhiata distratta di un conoscente sarebbe bastata, una canzone, una risata, uno starnuto che potesse fungere da scusa per andare di là e occuparsi di qualcos’altro che non fosse quel maledetto gruppo elettrogeno impazzito. Nessuna clemenza. Tenne a bada i nervi finché decise, complice uno sbadiglio, che si era fatto tardi e che sarebbe stato più saggio tornare a casa. “Scusami Tazio, mi dispiace interromperti, ma devo andare. Domani mattina dovrei…” “Figurati, niente,” disse lui. E si accomiatò con una pacca sulla spalla. Come se tutta quella colata di parole sulla Sfinge, sulla Torre di Babele e sulle Linee di Nazca fosse in realtà soltanto un numero di repertorio che non aveva mai avuto intenzione di portare a compimento. Puro e semplice intrattenimento. Claudia quella notte, sotto le coperte, cercò di figurarsi il genere di ragazza che, in qualche modo, avrebbe potuto legarsi a uno come Tazio. L’unica ipotesi accettabile era Cindy Lauper in un film di Frank Capra. Per questo, quando quella sera all’Exit lo sorprese in compagnia di Lalla, storse la bocca. Perché se da un lato avrebbe potuto associare la tipa – in quanto a discrezione nel look e modo di masticare la chewing-gum a certo tipo di pop-star anni ‘80, dall’altro stentava a trovare una connessione tra quel suo pesante modo di fare e le brillanti commedie del famoso regista siculo-americano (del quale al massimo le ricordava il solo cognome.) E adesso la notizia delle notizie: lui che lavora in tipografia e lei che parte a Londra col fidanzato. “Ma allora stavano insieme o no?” “Chi?” domandò Almerio mentre preparava l’ennesima bionda alla spina. “Tazio e Lalla.” “Forse. Non so sai? Magari no.” E le consegnò un dubbio tra le mani. Gli amici intanto si alzarono dal tavolino in fondo al locale e s’avvicinarono alla cassa per pagare. Claudia mandò giù l’ultimo sorso di birra e raggiunse la giacca di lana appoggiata nel wine-bar lì vicino. Si sistemò il colletto e guardò fuori dalla porta d’ingresso. Qualcuno pagò per tutti e la sospinse in strada in modo talmente brusco che non ebbe nemmeno il tempo di salutare Almerio. Ridevano tutti tranne lei. “Ragazzi, io taglio di qua. Passo dal negozio.” “A quest’ora?” “Sì, ho dimenticato le chiavi di casa nel laboratorio…” “Vuoi che veniamo con te?” “No, tranquilli. Ci vediamo domani sera?” “Sì, a domani. Buonanotte.” “Ciao e grazie per le birre.” “Di niente. Ciao.” Le chiavi di casa le aveva in tasca. Semplicemente voleva passeggiare un po’ per i fatti suoi, rimuginare su quel diavolo di dubbio, arrivare fino al porto e tornare a casa stanca per addormentarsi subito, senza pensare a nulla. Non ci riuscì. Non ci riuscì perché, poco prima di svoltare verso la marina, vide in lontananza una sagoma nera accasciata sulla strada e due persone accanto, chinate come per prestare soccorso. Magari un barbone, pensò avvicinandosi. Con enorme sorpresa s’accorse che il modo di gesticolare di uno dei due corrispondeva a quello spasmodico di Tazio. “Ciao Tazio, che è successo?” “Ehi, ciao Claudia. Bell’occasione per rivederci dopo tanto tempo… Lei è Berny.” “Ciao,” fece Berny. Quindi? Mi vuoi dire cos’è accaduto?” disse Claudia mentre cercava di capire se l’uomo per terra fosse ancora vivo. “No, niente. Avevamo un appuntamento lì all’angolo con degli amici che, tra l’altro, sono in ritardo, e ci siamo accorti di questo barbone qui. Ci siamo avvicinati e non sapevamo che fare.” “Avete chiamato un’ambulanza, la polizia, qualcuno?” chiese Claudia con tono severo. Eh no, non sapevamo che fare perché eravamo un po’ scossi da…” rispose quasi balbettando Tazio. “Perché, che vuoi fare? L’ospedale se ne fotte,” aggiunse filosoficamente Berny “…la polizia di Scarlatti poi, lasciamo stare.” Claudia li squadrò con orrore; sembravano i protagonisti di uno slogan sull’indifferenza. “D’accordo, capisco,” e accortasi che l’uomo faticava a respirare si decise a girarlo a faccia insù. Non era in buono stato, puzzava di birra e merda. Berny e Tazio fecero un balzo di almeno due metri. “Dài, non lo toccare. Chiamiamo qualcuno… Tazio chiama qualcuno.” E Tazio tirò fuori dal giubbotto il cellulare. “Cazzo, non ho credito. Ti ricordi stasera, quando ti dovevo chiamare per dirti del cinema e t’è sembrato che t’avessi chiuso il cellulare? Era perché non avevo soldi.” “Pazzesco,” esclamò Berny. Infatti,” aggiunse lui. E Claudia nel frattempo era riuscita a mettere a sedere l’uomo. “Che vuoi fare?” chiese Tazio. “Aiutami a portarlo in macchina. È parcheggiata accanto al mio negozio.” “Il tuo negozio, già vero…” e stava quasi afferrando il braccio del barbone, quando lo sguardo di Berny lo gelò. “Scusa Claudia, è che io m’impressiono un po’.” “Dài non fare lo stronzo Tazio, aiutami.” “Ma chiama l’ambulanza col tuo cellulare, no?” squittì Berny. “Facciamo prima noi. Questo ci muore.” Che serata di merda,” esclamò Berny, “ma non puoi portare la tua macchina qui?” “La strada è a senso unico, mi toccherebbe fare tutto il giro. Mi aiutate o no?” fece Claudia impaziente. Nel frattempo una comitiva allegra e chiassosa passò di lì. “Ma dove cazzo siete stati?” disse uno di loro. “Niente, qui è successo un guaio. Mi dispiace ragazzi…” “Scusate, potete aiutarmi a portarlo in macchina?” intervenne Claudia. Il più sveglio, si chinò, afferrò l’altro braccio del moribondo e aiutò Claudia a sollevarlo. Provarono pure a svegliarlo con degli schiaffi nemmeno tanto leggeri. Giusto un rantolo catarroso. Arrivarono alla macchina senza troppo faticare. Alla fine il giovane si offrì di accompagnarla fino al Pronto Soccorso. “Grazie, se per te non è un problema…” Nessun problema,” e lo sistemarono sul sedile posteriore. Claudia percorse tutta Via del Castello a velocità sostenuta e a colpi di clacson. Una comitiva, ferma a parlare in mezzo alla strada, la costrinse a fermarsi. Ancora loro?” esclamò Claudia. Tazio si staccò dal gruppo e raggiunse il finestrino. “Tutto bene Claudia?” “Cazzo, Tazio lasciatemi passare.” “Sì scusa, volevo solo dirvi se poi passavate comunque all’Exit per…” “Ma porca puttana Tazio, forse abbiamo un morto e tu…” Perché è peggiorato?” e a quella domanda Claudia sfrecciò via, fregandosene dei quattro stronzi lì davanti. Il giovane seduto accanto a lei rise. “Che c’è da ridere?” “Bel carattere…” “Grazie.” Al Pronto Soccorso due infermieri dissero di non preoccuparsi, che quella non era la prima volta che affrontavano un caso del genere. Claudia avrebbe voluto sentirselo dire da un medico ma alla fine si fidò. “Magari lui avrebbe voluto morire, e noi gli abbiamo guastato la festa…” si lasciò scappare Claudia. “Può darsi. Lo riportiamo là dove l’abbiamo preso?” “Senti, vuoi che ti riaccompagni all’Exit?” “No, portami a casa. È meglio.” “Scusami. T’ho rovinato la serata…” “Fa niente.” “Dove abiti?” “Sotto casa di Tazio. Sai dov’è?” “No.” “Ti indico la strada,” e in poco meno di dieci minuti furono davanti al suo portone. “Eccoci qui. Grazie per il passaggio.” “No, grazie a te. Grazie di tutto,” quando si rese conto di non conoscere ancora il suo nome. “Marco comunque…” “Claudia.” Gli tese la mano e un pensiero la punzecchiò. “Scusa, ma tu per caso scrivi?” “Sì, ma come fai a…” Sorrise. “Ho capito. Tazio?” “Una volta mi accennò qualcosa riguardo un certo Marco. Tempo fa, molto tempo fa…” “Sì, diciamo che scrivo da un po',” disse sperando di trovare altre parole utili da spendere. “Giornalista col sogno di scrittore,” aggiunse. “In bocca al lupo, allora.” “Crepi,” disse Marco. “Allora alla prossima...” Sperando che sia meno tragica. Tu invece di che ti occupi?” “Ho un negozio di ceramiche vicino Via del Castello. Hai presente quel…” “Ho capito. Sei quella con cui doveva collaborare Tazio...” Scoppiò a ridere. “Sì, credo di sì.” E gli consegnò un biglietto da visita con l’indirizzo del negozio, “…quando vuoi passa a trovarmi.” “Domani. Senz’altro domani. Ciao, buonanotte.” “Notte,” e schizzò via, rossa e tremante, con un groppo di contentezza in gola che attendeva da almeno un secolo. Svoltò l’angolo con gli occhi ancora fissi sul retrovisore, sull’immagine di Marco ora cancellata dalla curva. Lo amo,” esagerò per la gioia e non fece in tempo ad accorgersi di Tazio, lì da solo e di ritorno a casa. Lo prese in pieno senza nemmeno avere la possibilità di frenare. Fece un volo di due metri per poi arrivare a terra, a faccia ingiù. Quando camminava, Tazio era solito tenere le mani in tasca e infatti là gli rimasero costrette. Aveva il naso completamente polverizzato, il ginocchio piegato in modo anomalo. E puzzava, puzzava proprio forte. Le viscere gli si erano aperte controvoglia, come un rubinetto. Rivoltante. Le gambe gli presero a tremare e Claudia, con le mani a tappare naso e bocca, non seppe che fare. Stava per vomitare, così indietreggiò. Lo sentì mugugnare qualcosa, qualcosa di completamente fuori luogo. Qualcosa su un film che possedeva ma che non aveva ancora visto. E fu lì che decise. Saltò in macchina, mise in moto e non ci pensò più.

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