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Tema : Siamo tutti allenatori? - di "Mendo" Fabio Mendolicchio - Ed. Carta Canta

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Siamo tutti allenatori è dedicato alle donne, soprattutto alle madri, lo era in partenza e lo è quando poco prima di uscire la mia di madre è mancata.La dedica che apre il libro è il riassunto di ciò che è racchiuso, grazie.…a mia mamma, allenatrice a cui ho sempre pensato di avere tempo per dire grazie
e invece mi ha insegnato in ultimo che il tempo non è mai
abbastanza per sorridere, abbracciare e perdonare,
quel tempo da sempre sfuggevole per un bacio, per una carezza e per ricordarsi che anche la morte è allenatrice, madre e amante

Siamo tutti allenatori?Siamo tutti allenatori !La risposta alla domanda che mi pongo, la prima e fulminea idea che mi balza in mente, è unicamente la domanda stessa nella sua versione affermativa. Nei bar, nei ristoranti, nelle fabbriche, nelle tipografie, nelle rivendite di tabacchi come nelle macellerie, nelle salumerie, nelle panetterie e nei supermercati la voce che sento è calcisticamente univoca.Negli schermi televisivi e nelle onde radio, nelle scuole, nelle piazze e per le strade, nelle parole come nei gesti siamo tutti allenatori, un passatempo che lascia però un vuoto inspiegabile, invisibile. Non riesco a spiegare questa inclinazione, se non come un prurito perpetuo che non mi dà tregua, vero sollievo in una piacevole grattata che quasi scopro essere aspettativa, desiderio e appagamento.
 
Il bar sotto casa è il quartier generale per il mio consueto risveglio a base di caffeina, il giorno in questione è uno come tanti altri ma nello stesso tempo segna per me tappe d’arrivo e di partenza, pillole quotidiane di domande e risposte.
Pillole di gennaio01.01. Tutto comincia come dovrebbe cominciare, a piccoli passi, uno dietro l’altro fino a raggiungere un punto alto, tra le montagne alpine, un metro dopo l’altro fino a quota 2500. L’anno inizia strizzando l’occhio al passato e mi rendo conto che ci vorrebbe un po’ d’allenamento in più, perché frequentemente a corto di fiato mi fermo a imprecare o anche solo a riposare. Cerco di prendere tempo ma so che devo ripartire.
L’idea dell’allenamento mi rapisce e mi porta a pensare che ogni cosa al mondo richiede allenamento, richiede l’azione di praticare molto affinché col tempo s’impari e si divenga esperti nel fare qualcosa. Osservo quelli che camminano, quelli che praticano regolarmente, che duramente e con fatica possiedono un passo da far invidia, veloce e continuativo ma pazientemente un passo d’insistenza. Quanto lavoro per imparare.
Oggi per l’ennesima volta mi scopro incantato di fronte alle prodezze di un bambino che avrà circa due anni. Guanti piccolissimi che gli penzolano dalle mani mentre prova a tirare la sua slitta giocattolo, cade e si alza, ricade e si rialza, barcolla e insistente tira quel peso che scivola mentre appare sul suo volto un sorriso divertito, camuffato da chili di lana che lo coprono. Buffo nel suo muoversi solo lui sa quanti sforzi sta facendo, non è nei suoi interessi sapere quanto tempo ci vorrà per imparare a camminare nella neve, è talmente preso da ciò che fa, che l’unico suo interesse è mettere tutto sé stesso per stare in piedi e a quel punto tirare la slittino.
17.02. L’ascolto. Urla e voci strazianti dei venditori delle migliori merci, una per una, nelle loro singolarità promettono di essere meglio delle altre. Colori e odori si mescolano in abbinamenti che sfuggono, per poi ritornare in uno scambio di ruoli e di posizioni.
È dentro il mercato, quello fatto di bancarelle che riempiono la piazza, che percepisco l’importanza del coordinamento dei sensi.
È un vociare di centinaia di persone, una sull’altra nel gioco della prevaricazione, una musica di toni forti su quelli suonati piano, di colori intensi accostati a quelli tenui, di contatti a spintoni su quelli delicati e timorosi, di sapori immediati su quelli immaginati. Uno scontro di odori che stuzzicano il palato in una esplosione di note armoniose.
Avanti e indietro a consumare la gomma delle scarpe, tenacia e un po’ di volontà nel prendere in considerazione tutto, ogni piccolo rumore e suono, ogni tinta pastello e vernice violenta, ogni sgradevole odore e profumo, ogni assaggio e ogni rovistio dei tessuti che trovano armonia in piacevolezza e disgusto. 
Registro i prezzi di ogni frutto, formaggio o indumento, i prezzi di ogni bancarella, i prezzi di ogni colore, di tutti gli odori e di tutte le voci. Tocco con mano la qualità.
Quando arrivo al fondo del mercato, torno indietro e comparo il costo delle varie merci per poi scegliere e comprare il meglio. Torno a casa con le borse piene di voci, pesanti e taglienti per il palmo delle mani. Le merci scelte e comprate sono voci dal profumo dolce e un po’ selvatico, voci dal sapore fruttato e leggermente acidulo, di sfumature che vanno dal giallo al verde, e al rosso, ma di consistenza matura al punto giusto. Un paio di pantaloni rientra tra gli acquisti della giornata, di un bel rosso caldo, in morbido cotone con un profumo gradevole, quasi succulento. 
Mi piace districarmi tra le difficoltà della percezione, imparare a coordinare e controllare le diverse sensibilità, acquisire padronanza e consapevolezza, integrità.The question Leonardo stava incollato al finestrino, con il naso schiacciato al vetro. Era attratto dal mondo in movimento, quel mondo che appariva così veloce da dentro la macchina. E così, cullato dal rollio della macchina, Leonardo amava ascoltare le parole di nonno Nando.
N
ando amava viaggiare in macchina, e ancora di più viaggiare di notte perché nel buio riusciva a godersi il panorama interiore. Ma soprattutto amava viaggiare con suo nipote che contraccambiava trovando nella sua compagnia un’atmosfera più serena rispetto all’aria ansiosa che respirava a casa con i genitori.
Nonno Nando guidava in modo rassicurante e dosava le parole. Quando erano in viaggio e pioveva, Nando esordiva sempre dicendo: «Leonardo, le parole sono come gocce d’acqua per una pianta assetata», poi dopo una breve pausa raccoglieva fiato e continuava: «Una alla volta si assorbono senza sprechi ma tutte insieme e in flusso continuo vengono sciupate e perse, lasciando solo l’illusione di levar la sete».
Era il momento nel quale il nonno offriva a suo nipote uno spunto di riflessione, ogni viaggio si traduceva per Leonardo in un piacere enorme.
In uno dei tanti viaggi Leonardo imparò a guardare la pioggia, una cosa stupida diceva suo padre, talmente stupida da rivelarsi enormemente magica.
«Muovi la testa dall’alto verso terra» diceva il nonno a Leonardo «e segui le gocce che cadono, una per una.»
Leonardo guardava fuori dal finestrino dell’auto, mentre il nonno guidava e con movimenti a scatti, da sinistra verso destra, fotografava le immagini di una inquadratura sfocata dalla velocità. In quel gioco, prendevano importanza i dettagli, in ogni foto estrapolata nel fulmineo film venivano impressi fiori, mucche, fili d’erba, case, piante, carcasse d’auto accatastate e cartelli stradali.
Nando sorrideva, sapeva che l’impulso dato avrebbe prodotto un susseguirsi di svariate sfaccettature, tanti altri piccoli stimoli, innumerevoli spunti e colorazioni che combinandosi avrebbero contribuito a rendere originale suo nipote. Leonardo era campo fertile, il nonno sapeva, sapeva che suo nipote soffriva l’ambiente familiare, sapeva che Leonardo era carico di tensioni, d’inquietudine e agitazione.
Erano fermi nel piazzale dell’autogrill. Intorno a loro c’erano persone con l’ombrello, per ripararsi da leggerissime gocce di pioggia. Nando guardava suo nipote che continuava a seguire le gocce d’acqua che gli annaffiavano il viso esterrefatto, sorridente e stupito. Leonardo era preso da quella meraviglia sorprendente, con il viso bagnato a seguire quelle lacrime divine che gli illuminavano il viso di quiete. «Guarda nonno,» diceva Leonardo schivando le gocce una a una «guarda, non mi prendono.»
Nando ridendo a pieni polmoni acchiappò il nipote come un sacco di patate e mettendoselo sulla spalla entrò nel bar.
I due, in piedi alla cassa, si guardarono e si scambiarono un segno d’intesa col capo.
«Allora come sempre?» chiese il nonno.
«Come sempre nonno» disse Leonardo.
La signora che li precedeva ordinò due caffè, tre croissant e una spremuta d’arancia. «Nooo, la spremuta, no!» esclamò Leonardo.
La signora si girò e con una faccia sdegnosa guardò il bimbo, infastidita, poi lentamente spostò lo sguardo verso il nonno che stava ridacchiando.
Nando inarcando le sopracciglia fece un segno d’espressione alla donna, come a dirle che non dipendeva da lui e si voltò verso il bambino: «Ora che non puoi prendere la spremuta cosa prenderai» chiese sottovoce. Leonardo con voce divertita, puntò il dito contro la vetrinetta del bar e con fermezza disse: «Questa volta prendo un succo di frutta, alla pera».
Nando si rivolse alla cassiera e ordinò: «Un succo di pera e un cappuccino» anche se
aveva voglia di caffè. Ma le regole nel gioco sono regole. Si poteva ordinare qualsiasi cosa purché fosse diversa.  Dedica dell' autoreAll'allenatrice per definizione, la maestra, figura necessaria a indicare la direzione.
 "Mendo" Fabio Mendolicchio Avvertenza:  In questo contesto sono stati estrapolati solo alcuni frammenti del saggio narrativo con struttura da diario, i cui racconti sono tutti legati tra di loro

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