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The Limits of Control

Creato il 03 luglio 2013 da Eraserhead
The Limits of ControlCome hai fatto ad entrare?
Molto ambizioso questo film di Jim Jarmusch datato 2009, opera aldilà della maturità che è lì a dire: io faccio quello che mi pare, voi pensatene ciò che volete. Immobilizzato da una morsa teorica che esaspererà i meno pazienti, The Limits of Control è cinema, come suggerisce il titolo, interessato alle delimitazioni, ai recinti che, innanzitutto, costituiscono il genere di riferimento (un po’ è il thriller, un po’ è il noir, ammesso che vi sia differenza), sicché l’occhio di bue viene deviato dal baricentro (il perché di tutto questo errare da parte del protagonista) al margine, o ai margini, della messa in scena, a ciò che solitamente non viene rappresentato (tutti i momenti “vuoti” nella stanza d’albergo, o quelli al tavolino dei bar). Che tale operazione possa far scemare il livello partecipativo dello spettatore è un’idea condivisibile, tutto sommato la sua articolata realizzazione riesce comunque ad esercitare un persistente fascino, anche perché la pellicola non è soltanto un semplice susseguirsi di sequenze morte, c’è dell’altro e vediamo subito cos’è.
Il film è integralmente settato per ripetere uno spartito uguale fin dal primo dialogo all’interno dell’aeroporto, è chiaramente una facezia, per non dire provocazione, di Jarmusch che applica una struttura scientifica alla storia (attenzione ai dettagli reiteranti!) laddove tutti gli incontri che il sicario fa con i vari anelli della cricca hanno medesima impostazione, le uniche variabili riguardano il testo, ciò di cui si discetta previa parola d’ordine: “tu non parli spagnolo, vero?”. Gli strambi soliloqui a cui assiste uno sfingeo Lone Man non hanno in apparenza alcun filo logico, e la cosa per quanto mi riguarda sarebbe potuta andare bene anche così, ma il regista di Daunbailò (1986) si impegna comunque a dare qualche coordinata per potere (provare a) chiudere il cerchio: con il blitz all’interno del bunker l’uomo d’affari si rivela sia il bersaglio che l’antitesi: “voi non ne sapete un cazzo di come funziona il mondo”), e pronta la risposta: “io capisco soggettivamente”. Lo snodo cruciale è tutto in questa affermazione, nell’arbitrarietà di comprendere, di sentire, di ascoltare, di vedere, anche un film, e di afferrare l’irregolarità in una perfetta catena di montaggio, ne consegue che The Limits of Control è un film sui limiti della rappresentazione, del catturare una sequenza, di riproporla allo sfinimento, di incastrare tutto in un ordine che però deve scontrarsi col Singolo, e lo spettatore viene avvertito fin dall’inizio: “usate la vostra immaginazione e le vostre capacità. Tutto è soggettivo.”Tutto è soggettivo, come nel cinema.
Ho usato la mia immaginazione.

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