Magazine Diario personale

Ti spiego perché portiamo i nostri figli al museo

Da Romina @CodicediHodgkin

Domenica sono andata alle Scuderie del Quirinale per godermi la mostra di Frida Kahlo. E non da sola, eravamo un bel team di sei adulti e tre bambini di età compresa tra i sei e gli undici mesi. Appena entrati nella prima sala, il Bimbo Alfa del Trio Pampers ha avuto l’ardire di lasciarsi scappare un “BUHA”. Un singolo, semplice “BUHA”. Non lo ha detto sotto voce, ma sicuramente non lo ha urlato, e comunque, ripeto, è stato un unico “BUHA”. Una tizia che stava assistendo ad una visita guidata (che oggi si fanno con lo stesso apparecchietto delle audioguide: la guida parla nel suo microfono e tutti la ascoltano tramite la loro cornetta, proprio per facilitare l’ascolto a tutti i partecipanti), si è rivoltata come una biscia dicendo, cito testuali parole: “Vorrei sapere che li fate a fare i figli se poi ve li dovete portare dietro ovunque, anche in questi posti. Ho pagato il biglietto, io!”. La mia amica le ha fatto notare che il bambino non stava urlando da mezzora e che comunque il biglietto lo aveva pagato anche lei, pertanto aveva il suo stesso diritto di godersi la mostra. Questa donna, fulgido esempio di quello che a Roma prende il nome di “SORCIO RIPULITO”, non sapendo bene cosa controbattere – tanto più che molte altre persone che non facevano parte del nostro gruppo le stavano dando dell’acida e dell’intollerante – ha additato il bimbo e ha detto “Ah, lui avrebbe pagato il biglietto?!”. Come a dire che non avendo lui pagato, la madre doveva lasciarlo giù al guardaroba. Ora, quando ho sentito quelle frasi, io ho fatto una serie di pensieri che non ho fatto a tempo ad articolare perché Maschio Alfa (che, e forse ha ragione, è per ignorare questi soggetti) mi ha allontanata:

1)   Infilati l’audioguida su per il naso, almeno la voce rimbomba nel vuoto cosmico della tua scatola cranica e sei sicura di sentire bene;

2)   tromba di più;

3)   ora ti do una sberla che t’appiccico al muro accanto a qualche tela

4)   “che li fate a fare i figli?”, tu chiedi. Per pagare la pensione a te, stronza.

Ora, vorrei spiegare qualcosa alla signora…

Gentilissima Signora,

lei mi chiede cosa li facciamo a fare i figli se poi dobbiamo portarceli sempre appresso, anche in posti simili. Mi creda, la risposta è molto, molto complessa. I motivi sono tanti e io, che sono sempre così ferma nelle mie idee, capisco perfettamente chi decide, al contrario, di lasciarli a casa ed evitargli certi luoghi almeno per i primi anni. Tanto per cominciare, come linea generale, i figli, io e le altre mamme – tutte, a prescindere se portiamo o no i figli alle mostre – li facciamo proprio per questo: per portarli sempre con noi. Per condividere esperienze insieme. Se devo fare un figlio e poi non condividere niente con lui è inutile. Questo come principio generale.

Secondo di poi, perché io ed altre facinorose disturbatrici della quiete decidiamo di portare con noi i nostri bambini anche in posti come le fiere, le mostre e i musei? Perché un figlio non è una malattia invalidante. Con i bambini, per quanto piccoli, mia cara, si può fare tutto, se lo si vuole. Basta avere un po’di organizzazione e sufficiente fortuna. Fortuna di avere un bambino di indole un minimo adattabile e poco tendente agli strepiti. E un pizzico di furbizia nell’abituarli sin da piccolissimi a contesti molto diversi: luoghi più o meno chiassosi, aria aperta o al chiuso, silenzio e rumore, tanta gente e pochissima compagnia. Io con mia figlia non vado solo al parco. Sono andata a fiere del libro e dell’artigianato, a sentire concerti in piazza, al ristorante (la prima volta aveva appena quattro giorni),  al centro commerciale, a casa di amici e persino dalla parrucchiera. E non ho mai avuto problemi. Non ha mai pianto, anzi, in giro si distrae ed è adorabile. Ripeto, con i bambini si può fare tutto, mia cara, purché ci si muova nei limiti del rispetto che dobbiamo loro in quanto esseri umani: se io so che la bambina alle 22:00 va a dormire (la mia fuori casa, può reggere senza colpo ferire fino alle 23:30) non posso prenotare il tavolo in pizzeria per le 21:00 come facevo prima. Se la costringessi ad una cosa del genere, non è difficile prevedere come andrebbe a finire: urla di stanchezza sue, pizza di traverso a me e orecchie sanguinanti a tutto il ristorante. D’altra parte, se avessi sonno e venissi costretta a stare fuori casa ben oltre a quello che è il mio orario di ritirata, mi incazzerei come una biscia. Non per questo non esco più. Semplicemente, faccio praticamente le stesse cose ma in orari diversi. E Claudia è sempre stata serena, anzi, tiene banco ovunque vada perché ha l’indole del giullare di corte e ride a tutti. Prima di avere lei, alla mostra sarei andata nel tardo pomeriggio per poi uscire a cena fuori. Ora ci sono andata la mattina e siamo usciti in tempo per la pappa degli gnomi. Certo, io mi rendo conto che sono fortunata, che Claudia è una bambina che dove la metti, sta. Con molti bambini non sarebbe così facile. Il solo merito che mi prendo è quello di aver incentivato la sua natura socievole e di averla abituata ad ambienti molto diversi tra loro. Che poi non è sempre così facile. Per diverse settimane non sono potuta andare da mia sorella perché i Nipotonzoli la agitavano troppo e finiva con il disperarsi. Non potevo mica imporre ad una bambina che all’epoca aveva quattro mesi di andare per forza in un ambiente che la innervosiva. Passato questo periodo, il problema non si è più posto.

Inoltre, cara signora, la porto con me per altri motivi. Tanto per cominciare, rifiuto l’idea tutta italiana della totale abnegazione della madre. Io non voglio, io mi rifiuto, di rinunciare ai miei interessi perché ho una bambina. Sono una donna curiosa, mi interesso di molte cose ed ho il diritto ed il dovere nei confronti di me stessa di mantenerli anche dopo la maternità. Io sono ancora Romina. Non sono solo la mamma di Claudia. Sono egoista? Forse, ma nel momento in cui non le faccio del male (anzi, se riesco a portare avanti l’educazione che spero di darle potrà solo che giovarle) non vedo il problema. Inoltre, ho la fortuna di avere una bambina tranquilla che posso portare ovunque e adoro stare fuori casa con lei. Mi prendo l’unico merito di aver accentuato il lato socievole e vagabondo di Claudia. Poi ci sta che se dovessi avere un altro figlio potrei non cavarmela così con poco perché avrà un carattere diverso. Nel 2014 io non sopporto l’idea del non potere più uscire di casa per andare in posti che non siano le giostre con i propri figli. Mi rifiuto anche solo di pensarlo. Mia madre era così. Non mi portava nemmeno al supermercato perché era dell’idea che i bambini devono stare a casa. Ho cominciato ad andare con lei a fare la spesa quando ho avuto l’età per dirle “oh, dai, andiamo che ti offro pure il caffè”. Du’palle, la mia infanzia.

Nella mente dei bambini, signora, c’è spazio per molto, molto più di quella cavolo di Rapunzel e Peppa Pig. Servono anche loro, li conoscerà, li guarderemo insieme ma ai bambini si possono dare un’infinità di input. Io non voglio una bambina che si rincoglionisce con le principesse Disney. Un bambino può assorbire molto più di questo. Alcuni anni fa andai alla mostra di Van Gogh. Assistetti ad una scena bellissima: una bambina tedesca in vacanza con i genitori, armata di album e pastelli, sceglieva in ogni sala il quadro che preferiva e lo riproduceva. Poi lo faceva vedere a mamma e papà. Rimasi incantata. La bambina avrà avuto quattro o cinque anni. Non seppi trattenermi e feci i complimenti alla mamma. Lei non capiva il perché del mio stupore e, giustamente, disse che non potevo certo aspettarmi che lei e il marito smettessero di andare ai musei perché avevano una bimba piccola. E poi così lei imparava. Piuttosto, mi disse, non capiva perché non ci fossero bambini italiani. In effetti, gli italiani più giovani presenti erano due adolescenti sbuffanti che seguivano con espressione patibolare i genitori commentando continuamente con frasi come “Aho, ma avemo finito? Quanno se n’annamo? Ammazza che palle, ‘sti quadri”. Quella donna aveva ragione da vendere. Cara la mia signora, l’altro giorno ero al mercato e sa chi ho incontrato? Una scolaresca in gita. Al mercato di quartiere. E la maestra non sapeva nemmeno che dire. “A destra il baccalà, a sinistra la bancarella dei vestiti”. Poveraccia, era in imbarazzo. Che gita è? Le bimbe della scolaresca hanno visto Claudia e se ne sono innamorate, così la gita ha avuto una svolta: lezione di puericultura improvvisata. “Che fa una bambina di sei mesi?” “Cosa mangia?” “E’uscita dalla pancia?” più una serie di altre domande delle quali ignoravo le risposte. La maestra mi ha spiegato che li hanno portato lì tanto per fare una gita, perché non avevano i soldi per niente di meglio. Ecco, capisce, signora cara, lei con la sua giacca firmata, il suo viso lampadato e la sua espressione da chi ha appena mangiato un limone? Se non siamo noi genitori ad occuparci della formazione dei nostri figli, la scuola non è più in grado di provvedere come dovrebbe. Lei obietterà dicendo che mia figlia, a sei mesi e mezzo, non capisce un accidenti di quello che vede. E’vero. Ma intanto la abituo ai luoghi chiusi e con tante persone. Poi, quando sarà più grande, le potrò iniziare a dire “Guarda, sul quel quadro ci sono i fiori! Guarda, lì c’è disegnata una scimmietta! Questo quadro è blu!”.  Quando sarà più grande, potrò farle notare altre cose ancora. Mia figlia non sa nemmeno cosa sia un libro, eppure ne ha sempre uno in mano. Voglio che impari a familiarizzare con l’oggetto. La tengo seduta sulle mie ginocchia e, tenendo il libro davanti a lei, leggo. E lei mi ascolta. Buona e ferma. Ovvio che non capisce un’acca di quello che dico, ma ascolta. Sta ferma e ascolta. Intanto ci accontentiamo di capire il legame tra quell’oggetto e la mamma che parla. E ha tanti libri per bambini piccoli che può sfogliare, che spesso suonano, che sono colorati e che può mettere in bocca. Io questo intendo per “abituare i bambini sin da piccoli a qualcosa”. Ha presente quando molti genitori dicono che non vogliono che ai figli si regalino armi giocattolo? E’ per il motivo uguale e contrario che io voglio che lei abbia tanti libri.

Inoltre, brutta cretina che non è altro…ma lei ha delle teorie ben strane circa quello che è fastidioso o meno. Non so se lo ha notato o se quel pericoloso mix di stitichezza umana e diarrea verbale le ha completamente ottenebrato la mente ma…ha sentito il continuo, sfiancante BIIIIIIIIIIP che ha accompagnato tutti quanti durante la visita? A terra c’era la linea gialla che delimitava il limite oltre il quale non avvicinarsi ai quadri. Se superata, quella riga fa scattare il sensore e parte il segnale acustico. Non serve una scienza per capire il legame. Eppure, il 75% dei suoi amatissimi adulti presenti alla mostra facevano scattare l’allarme. Non ho capito se non sapevano che erano loro a farlo suonare o se lo sapevano ma se ne fregavano. Onestamente, ritengo sia molto più fastidioso questo BIIIIIIIP senza sosta piuttosto che due secondi di versetto di un neonato. Vede, io mia figlia al museo la porto anche per questo: perché da grande sia in grado di frequentare questi posti senza far scattare l’allarme.

Vede, brutta maleducata, io capisco il suo punto di vista, con un po’di buona volontà. Un museo è un museo. Ci sta che le regole di base si abbia piacere a vederle rispettate. Non è detto che tutti siano tenuti a tollerare il frignare di un neonato. Ma le faccio notare che non c’era alcun cartello che vietava ai bambini di entrare, fuori. Quindi avevamo diritto quanto lei di essere lì. Non si permetta mai più di dire “cosa li fate a fare i figli?!”. Non li stavamo maltrattando. Li stavamo portando con noi e stavano una crema. La mia, muta come un pesce, era in braccio a me ed elargiva sorrisi a tutti, beccando complimenti in almeno 4 lingue. L’altra, molto saggiamente, ha deciso che un pisolino era la soluzione migliore. Il maschietto, il disturbatore della quiete, se ne stava buono e pacioso. Un bambino di 11 mesi che ha voglia di fare mille cose e provare a camminare che fa tutto questo in silenzio e senza dar noia a nessuno (anzi, erano gli adulti che non davano tregua a lui perché non si poteva evitare di fargli complimenti da quanto è adorabile) è da lodare. Io, poveraccio, invece che criticare avrei dato un Plasmon d’oro a lui e una medaglia alla mamma. Lei, signora, è una maleducata. Anzi, anche un’acida, come le ha fatto notare più di una persona. Se lei, invece che rivoltarsi come una vipera sbraitando, avesse detto che, per favore, faticava a sentire l’audioguida, se potevamo cortesemente spostarci col bambino, a quest’ora non sarei nemmeno qui a scrivere. Al di là di tutto, signora cara, lei è un’intollerante, lei si è inacidita al primo (ed unico) suono emesso dal bambino. E’evidente che lei ce l’abbia a priori con i bambini. Non mi interessano i motivi ma li risolva con un bravo perché quando una propria antipatia sfocia nella maleducazione e nell’acidità è grave. Tra parentesi, ha usato un tono molto più alto lei mentre sbraitava di quello che non abbia usato il bambino. Almeno lei dovrebbe essere in grado di modulare la voce a seconda dei contesti. Impari il significato della parola “tolleranza”, Miss Simpatia. Viviamo in un Paese dove un tesoro come Pompei crolla a pezzi nell’indifferenza generale. Dovrebbe essere felice di vedere che le nuove leve provano (e magari falliranno, ma provano) a sviluppare sensibilità rispetto all’arte.

Comunque, cara lei, sappia che abbiamo ricevuto un sacco di complimenti. Dei signori anziani, scherzando, ci hanno detto, appena siamo entrati “ma dove li portate, questi piccoli?! I bambini devono stare a casa a guardare la televisione, non alle mostre!”. Teoria, questa, peraltro condivisa da un ex maestro elementare che incontrai alla fiera del libro di Roma e che disse a me e ad Alfa: “un neonato in mezzo ai libri?! Siete dei pericolosi sovversivi, se insegnerete ai vostri figli a pensare avrete vita difficile!”. Molte persone si sono stupite del fatto che li avessimo portati e ci hanno fatto i complimenti, incitandoci a farlo ancora, e ancora.

So che, andando avanti, uscite come questa (che forse al livello logistico saranno più facili perché non dovrò portarmi dietro i pannolini o le pappe) diventeranno più complesse perché Claudia crescerà e si annoierà più facilmente, ma farò del mio meglio per interessarla. Uno dei miei 7.768.597.890.252.457 doveri di genitore è quello di fare di mia figlia una persona migliore di me, o quanto meno di darle la possibilità (che poi, crescendo, sarà lei a decidere se cogliere o meno) di interessarsi di quante più cose possibili e di non farle dire a priori “è noioso”.

Comunque, cara la mia Signorina Tumistufi, io la avverto: tra due settimane ho in programma di andare a vedere la mostra di Andy Warhol. Anima e coscienza sua. Anzi, le do un breve calendario dei miei impegni nel prossimo futuro:

Sabato prossimo sarò al corso della Croce Rossa per la disostruzione delle vie aeree, E INVITO TUTTI A PARTECIPARE, e sappia che ci porto anche la gnoma. E’ una cosa talmente importante che quasi quasi tollererei persino la sua presenza. Avere le nozioni di basi per la disostruzione è fondamentale e può salvare la vita ai nostri figli e non solo. La cronaca, disgraziatamente, racconta spesso delle conseguenze di una disostruzione sbagliata o che non si è saputo affrontare.

manovre

A Pasqua saremo fuori Roma e vengo armata di figlia, tre Nipotonzoli, un Nipotonzolo acquisito e altri due nanerottoli.

Dal 31 maggio al 2 giugno, invece, sarò qui, e pensi che manco ce l’ho il cane…però mia sorella sì, e io mi aggrego. Perché mi piace il connubio bambini-cani e avrei piacere che mia figlia imparasse a conoscere gli animali e il rispetto e la simpatia per le forme di vita diverse. Perché ho paura dei cani (e tanta) ma per amore di mia figlia ne sto frequentando tanti per evitare che lei sviluppi la mia stessa, stupida fobia. Perché non sono mai stata a Gubbio. Anche qui, invito tutti i coinquilini di cani a partecipare.

cani

 

Io, più di così, signora cara, non posso fare.

 


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