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Tracce

Creato il 06 febbraio 2010 da Mapo
Oggi pomeriggio me ne stavo in silenzio a guardare la neve che cadeva, sotto il portico di una cittadina qualsiasi della bassa bergamasca. E pensavo...
Pensavo che un sacco di cose, piccole e all'apparenza insignificanti, ci scavano dentro delle tracce indelebili che, qualche volta, si fanno risentire.Forse rimangono piccole e insignificanti, o forse ci condizionano più di quanto crediamo nella vita di tutti i giorni.In un testo di psicologia che mi era toccato digerire per un esame universitario un paio di anni fa, ricordo, situazioni come questa erano definite "tracce mnesiche". Tracce, impronte.
Quando ero molto piccolo, in una vacanza in famiglia a Minorca ricordo distintamente questa scena: caldo torrido smorzato solo in parte dal vento, sole a picco sulle nostre teste coperte da cappellini da baseball ormai in disuso, macchina a noleggio parcheggiata al principio di una strada sterrata. Scendiamo e vediamo il cartello: "Playa - 2km". Qualcuno deve aver detto qualcosa come "ci vorrà almeno un'ora". Non ricordo se quel tragitto, ai tempi, mi sia sembrato relativamente breve o infinito, e quanto la brevità delle mie gambe di bambino avesse condizionato la fatica. So solo che, da allora, ogni volta che sento dire "2 km" penso ad una distanza incolmabile.
E' solo un esempio, come lo sono il proverbio "avere la testa tra le nuvole" o la parola "contemporaneamente". Ricordi che affondano le loro radici nell'ormai lontano anno della mia prima elementare. Il primo è il primo "modo di dire" che ho imparato tra i banchi; ogni volta che lo risento faccio il mio ingresso in un piccolo e caldo amarcord, dal sapore stranissimo, non saprei dire se buono, rivestito da immagini di giovinezza, volti di maestre che credevo dimenticati, il sapore della merendina alla ricreazione e gli starnuti primaverili quando si giocava nel giardino della scuola. E quanto sembrava grande, quel giardino. Lo stesso che, adesso, fiancheggiandolo in macchina, appare poco più di un parchetto. "Contemporaneamente", invece, è quanto risposi una volta, in classe, quando la maestra chiese di fare un esempio di parola lunga. Tutt'oggi, per quanto ho in buona misura preso confidenza con il concetto che essa esprime e credo di conoscere dozzine di termini con più sillabe, mi sembra una parola infinita e misteriosa.
E, mentre so per certo che provo una naturale diffidenza verso i medici da quando, a 12 anni, con il polso rotto, mio padre mi portò all'ospedale di Treviglio dicendomi "non ti faranno male" (e l'ortopedico mi fece strillare di dolore a più non posso riducendo la frattura), ancora mi chiedo:
Come mai odio così tanto i multisala?

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