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Un'amicizia italo-luso-nipponica

Creato il 16 giugno 2013 da Elle_lx
Sono state settimane pesanti, spero siano alle spalle.Ieri un tocco di leggerezza è venuto come una boccata d'aria fresca dalla Festa del Giappone che si organizza in città ormai da qualche anno, proprio nel giardino giapponese non molto lontano da casa mia. Mi ha offerto parecchi spunti e smosso ricordi, perciò sarà un post lunghetto, ma è tanto che non scrivo, imploro pietà!
Quest'anno ricorre il 470º anniversario dell'amicizia tra Portogallo e Giappone. Sbirciando qua e là tra i vari banchetti della festa ho avuto modo di approfondire certe cose sulla storia dei rapporti tra i due Paesi.Dopo la conquista di Goa e Malacca (in India e Malesia) nel 1510, il Portogallo premeva lungo le coste cinesi per stabilire basi commerciali ed insediamenti che consolidassero le presenze portoghesi nelle Indie orientali. Nel 1543 il Portogallo fu il primo Paese europeo a raggiungere il Giappone, pare per caso, in balia delle correnti, per poi ottenere nel giro di qualche decennio la base di Nagasaki. Nel frattempo, formalizzato anche l'insediamento a Macao avallato dalla dinastia Ming nel 1557, il commercio decollava, e floridi erano anche gli scambi culturali.
Apro una breve parentesi. Vorrei ricordare come ad esempio il té (in portoghese chá, che viene dall'assonante parola in mandarino) venne introdotto in Europa proprio dai portoghesi e raggiunse l'Inghilterra tramite la regina Catarina di Braganza che soleva intrattenere le cortigiane con la deliziosa ed esotica bevanda... onde evitare che spendessero quelle ore tutte col re Carlo II, noto dongiovanni.
I rapporti commerciali col Giappone risultarono stretegici: il commercio con la Cina, essenziale per la sopravvivenza dell'arcipelago, era praticamente azzerato dall'embargo decretato ai giapponesi dopo ripetuti episodi di pirateria. I portoghesi arrivarono al momento giusto per proporsi come intermediari commerciali tra Giappone, Cina e Corea, dando inizio al cosiddetto "periodo del commercio Nanban" che andò avanti fino al 1641, anno della promulgazione del sakoku, ossia della chiusura delle frontiere che decretò l'espulsione degli europei dall'arcipelago, soprattutto per cercare di proteggerlo dall'opera di evangelizzazione cominciata proprio dai portoghesi, vista come una minaccia alla stabilità dello shogunato.Nanban vuol dire barbaro meridionale: per i giapponesi i visitatori dovevano apparire davvero poco sofisticati; del resto i resoconti di Fernão Pinto, lo scrittore e viaggiatore portoghese che narrava le sue imprese nelle Indie, parlavano del Giappone come di una nazione ricca di bellezze e risorse naturali, abitata da uomini e donne di bell'aspetto, dai costumi sobri ma eleganti.
Un'amicizia italo-luso-nipponica
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Così ecco spiegato perché, curiosando tra i banchetti dedicati ai dolci (ovvio!), m'imbatto nel Kasutela che è proprio il pão de ló, una specie di pandispagna, che i giapponesi usano mangiare col té.Scopro poi che diverse parole ancora in uso hanno origine lusa, come ad esempio tempura (tempero, condimento), botan (botão, bottone), kappa (capa, impermeabile), koppu (copo, bicchiere). Curiosando invece tra i banchetti dedicati ai manga il mio occhio cade su un libricino e non ho potuto resistere, da oggi è qui con noi, il fumetto numero 7 di Carletto il principe dei mostri (Kaibutsu-kun).
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E mi son venuti in mente Hiroki e Serina, la coppia di Tokyo con cui abbiamo diviso alcuni mesi nella prima casa in quel di Siena. Lui era cantante lirico e si trovava in città per un corso all'Accademia musicale Chigiana, lei casalinga e approfittava della parentesi italiana per fare un corso di lingua.Al loro arrivo ci riempirono di regalini: sottobicchieri di bambù, bacchette per mangiare, e poi durante il soggiorno ci regalarono il loro dvd de Il castello errante di Owl, bicchieri da vino, varie cartelline serigrafate con La grande onda di Hokusai.Ricordo una serata passata insieme a vedere al pc un concerto di Hiroki che si cimentava con O' sole mio ed altre arie, tra l'altro con un'ottima pronuncia, frutto di grande applicazione; ricordo una volta che c'invitarono a cena e lei si struggeva dall'ansia perché temeva il nostro giudizio da italiani sulla cottura degli spaghetti (che per la cronaca, erano perfetti; meglio ancora il maiale cotto alla maniera giapponese che costituiva l'altro piatto). Il frigorifero era pieno di curiosi ed indecifrabili tubetti e bustine colorate, ed il té verde a tavola non mancava mai.Conservo ancora tutto da qualche parte in Italia, nei miei scatoloni da nomade, insieme ai bigliettini in italiano che Serina e noi ci scambiavamo, sprezzanti della tecnologia del duemila, e che lasciavamo sul tavolo del soggiorno.Quando se ne andarono gli regalammo un cesto di prodotti tipici delle nostre terre, -del genere soppressate e melanzane sott'olio- e Serina si trasformò di colpo in una fontana umana, emozionando tutti. 
Non ho mai visto una persona commuoversi così davanti ad un regalo.Chissà se un giorno li rivedremo mai.

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Lisbona, cala la sera


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Dopo la festa, in cui ho dovuto rinunciare ad alcuni deliziosi dolcetti alla ciliegia perché c'era una fila di un'ora, siamo andati ad un arraial, una delle feste di quartiere che impazzano a Giugno (ne avevo parlato qui l'anno scorso).
Fila per la sardina anche lì, gettiamo la spugna e ci rechiamo in un altro quartiere dove abbiamo potuto mangiare le nostre sardine in santa pace.Beh, non proprio. Nel giro di due minuti siamo stati letteralmente assaliti da alcuni bambini del quartiere che ci hanno venduto di tutto.E così anche quest'anno abbiamo il nostro manjerico, dopo che il primo anno m'era miseramente seccato il giorno dopo per averlo toccato (la leggenda vuole che non si debbano toccarne le foglioline). 

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Facciata adorna


Oggi il basilichino è ancora bello verde e arzillo, promette bene.

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