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Verba volant / Piazza

Creato il 24 maggio 2014 da Margheritapugliese

Piazza, sost. f.

In latino platea, con la e breve, significa letteralmente via larga, piazza, e deriva dal greco plateia, una forma femminile dell’aggettivo platus, largo. In latino c’è anche la stessa parola, ma con la e lunga, per indicare lo spazio centrale del teatro, da cui appunto l’italiano platea.

Una piazza può essere importante per gli edifici che le stanno intorno e la circondano oppure per i monumenti che le stanno al centro – pensate ad esempio a piazza del Nettuno – mentre in altri casi una piazza diventa fondamentale in sé, proprio come spazio fisico della città.

Il caso di piazza Maggiore a Bologna è emblematico: pur essendo circondata di edifici storici di grande interesse artistico e architettonico, è essa stessa un monumento, una testimonianza viva della storia della città. Anzi i palazzi e la cattedrale nascono dopo e acquistano senso e funzione proprio per il fatto che si affacciano su quella piazza.

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La vasta area che adesso conosciamo con questo nome si è sviluppata nel corso del XIII secolo, quando i bolognesi sentirono l’esigenza di avere uno spazio sufficientemente ampio in cui riunirsi, in cui poterci stare tutti, o quasi.

In quegli anni Bologna con i suoi circa 60.000 abitanti era la quinta città europea per popolazione e quindi la piazza doveva essere molto grande. Proprio perché servivano dimensioni tali non è stato scelto il centro della città romana, il punto d’incontro del decumano e del cardo più importanti – più o meno l’incrocio tra le odierne vie Indipendenza e Ugo Bassi – ma una area leggermente più a sud, dove sorgevano molti edifici popolari che furono acquistati dal Comune e successivamente abbattuti. C’è quindi un’idea politica nella costruzione di quella piazza che segna inevitabilmente la storia di Bologna: nella piazza ci devono stare tutti, perché la città è di tutti.

E non è un caso che uno dei primi grandi appuntamenti si svolse il 25 agosto 1256, quando i cittadini bolognesi furono chiamati in piazza per ascoltare l’annuncio della liberazione dei servi. Furono riscattati dal Comune con il pagamento di 10 e di 8 lire bolognesi rispettivamente per quelli che avevano più e meno di 14 anni, senza distinzione fra maschi e femmine. Per liberare 5.855 servi furono pagate 54.014 lire.

Bologna fu la prima città in Europa a rendere liberi i servi della gleba. L’anno successivo fu pubblicato un libro, il Liber Paradisus, in cui era contenuto il testo della legge e l’elenco dei servi liberati e dei loro ex padroni. Il libro si chiama così perché Paradisus è la prima parola del testo.

Paradisum voluptatis plantavit dominus Deus omnipotens a principio, in quo posuit hominem, quem formaverat, et ipsius corpus ornavit veste candenti, sibi donans perfectissimam et perpetuam libertatem.

Ecco la traduzione.

In principio il Signore piantò un paradiso di delizie, nel quale pose l’uomo che aveva formato, e aveva ornato il suo stesso corpo di una veste candeggiante, donandogli perfettissima e perpetua libertà.

Lunedì 19 maggio sono tornato in piazza Maggiore per una manifestazione politica dopo moltissimi anni di assenza. C’era la conclusione della campagna elettorale della lista L’Altra Europa con Tsipras e l’occasione di vedere e sentire dal vivo il compagno Alexis era troppo ghiotta, tanto da convincermi di lasciare il mio buen retiro salsese.

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Per molti anni ho avuto l’opportunità di partecipare all’organizzazione delle manifestazioni del centrosinistra, in quella splendida piazza, ho ricordi molto belli di alcuni di quegli appuntamenti. Ricordo la tensione della prima volta che tornammo in piazza dopo la batosta alle comunali del ’99 e la gioia della sera in cui festeggiammo la vittoria di Cofferati. Ricordo l’impegno e la passione delle compagne e dei compagni che lavoravano per la riuscita di quelle manifestazioni. La piazza mi mancava.

La politica è anche comunità, la bellezza di stare insieme, di salutare compagne e compagni che magari non vedi da anni, ma con cui sai di avere qualcosa in comune: ecco perché per me – come per molti altri “esodati della sinistra” – è stato importante partecipare a quella manifestazione, vedere sventolare le bandiere - rosse, finalmente – cantare con gli altri Bella ciao. La politica – ce lo dimentichiamo troppo spesso, o meglio ci costringono a dimenticarlo – è anche emozione, passione, è qualcosa di appagante. Chi ha partecipato al lavoro di una Festa dell’Unità credo sappia bene a cosa mi riferisco.

La politica parla alla testa, ma anche al cuore.


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