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Versi di poeti russi dedicati a Roma

Da Paolo Statuti

Evghenij Baratynskij (1800-1844)

Roma

Eri tu, o altera Roma, la conquistatrice indefessa?

Eri tu, o libera Roma?

Alle tue mute rovine

L’ospite straniero triste s’appressa.

Perché hai perso la grandezza degli antichi miti?

Perché, possente Roma, t’hanno obliata gli dei?

Dove sono ora le tue sale sfarzose?

Dove i tuoi uomini forti, o patria di arditi?

Il potente genio del trionfo ti ha tradita?

Tu al crocevia dei secoli

Stai nel disonore delle stirpi,

Come sontuoso sepolcro di una progenie finita?

Chi minacci ancora dai tuoi sette colli?

Del fato di tutti i sovrani torva messaggera?

Oppure, come ombra-accusatrice,

Con aria afflitta i tuoi figli accogli?

1821

Fjodor Tjutčev (1803-1873)

Roma di notte

Nella notte azzurra Roma s’è addormentata.

E’ sorta la luna e l’ha conquistata,

E la città dormente deserta – maestosa,

Ha colmato della sua gloria silenziosa…

Com’è dolce per Roma nei suoi raggi riposare!

Come ad essa le rovine di Roma son care!…

Come se il mondo lunare e la città che fu –

Fossero lo stesso magico mondo, che non c’è più!…

1850

Vjačeslav Ivanov (1866-1949)

Sonetti romani

1.

Di nuovo fedele pellegrino dei vetusti archi,

Ti saluto, come volta della casa paterna,

Nella mia tarda ora col serale «Ave, Roma»,

O rifugio degli erranti, o Roma eterna.

Noi Troia alla fiamma degli avi doniamo;

Si spezzano gli assi dei carri fra il tuono

E le furie dell’ippodromo mondiale:

Tu, regina delle strade, guardi noi nel fuoco.

Anche tu ardevi e dalla cenere risuscitavi,

E l’azzurro dei tuoi cieli profondi

Che rammenta, non accecava.

E ricorda, nella carezza di un’estasi dorata,

Il tuo custode cipresso, come Troia rinvigoriva,

Come Troia giaceva incendiata.

1924

Michail Kuzmin (1872-1936)

Enea

La gioventù nuda con lo specchio in mano

Le verdi lagune riflette,

Con la fedele lancia colpisce il serpente

Un biondo cavaliere lontano.

E sprigionano rame le leggi romane

Nei fumi d’addio dell’ardente Didone.

Quali approdi, o Enea, troverai,

Col tuo sguardo attento e zelante?

Con quale compagno, tenero errante,

Renderai torbido l’azzurro dei mari?

Dimenticherai la tua Troia in fiamme

E dirai: “Una città costruirò sul sangue”.

La difesa è il sangue, la libertà – una belva.

Tu sei il sovrano, tieni le briglie in serbo,

Sarai guidato dalla stella del ferro,

Ma confida sempre nella tua stella.

Guarda come i volti sono semplici e quadrati, -

Dalla tua lupa sui monti allevati.

E, avvinto a un immutabile fato,

La visione dei raminghi – un’oca familiare

(Quando, o miei cari, da voi potrò tornare?),

Protegge il Campidoglio rinato.

La stretta d’una mano dalla lotta forgiata

E’ più forte di ogni garanzia firmata.

La colonna vertebrale s’è indebolita

Sulla massa dell’altrui abbondanza, -

Il ricordo dell’antica fratellanza

Negli occhi dei tiranni e dei papi.

E nell’oro dissipato della nebbia montana

Risuona con la tromba lucente: “Pax Romana”.

1920

Valerij Brjusov (1873-1924)

Nel foro

Non come estraneo nel foro romano

Io entravo – nel paese dei sepolcri,

Ma come nel mondo con cui un tempo

Vivevo come un’anima sola.

E, come in sogno le amate ombre,

Incontravo con lieta nostalgia

I gradini delle basiliche crollate

E le lastre delle antiche vie.

E sopra di me come un fastigio

Dei grandi secoli passati,

Gli archi di Costantino

Coronavano templi e corti sparite.

Prodigioso artefice di strade,

Popolo di Traiano! Il tuo lascito

Pacato, severo e tenace

Di granito e di marmo è qui vestito.

Ogni pietra delle tue rovine

Mi rammenta – di condurre

Alla meta, un giorno indicata,

In mezzo ai deserti –  il mio cammino.

1908

Nikolaj Gumiljov (1886-1921)

Roma

Lupa con le fauci sanguinose

Sulla bianca, bianca colonna,

Ave, eterna lode a te,

Incoronata dalla gloria.

Con te, con le bocche tese ai seni,

I due fratelli bambini.

Non uomini, ma piccoli lupi,

Vestiti di mantelli ferini.

Allo stesso modo tu li amavi,

Da piccoli e da grandi, è vero? -

Quando bruciavano le città,

Ruggendo d’impeto guerriero.

Quando nel regno della quiete

Essi entrarono, come un soffio,

Tu, terribilmente ululando,

Per voi tre scavasti la fossa.

O lupa la tua città gloriosa

E’ la stessa del veloce fiume.

Il marmo delle alte logge,

Delle sue colonne le volute,

E il dolce volto delle Madonne,

E la basilica vaticana,

Saranno qui per sempre,

Finché esisterà la tua tana,

Finché le ruvide erbacce

Cresceranno tra pietre millenarie,

E la luna guarderà sanguigna

Il ferro delle notti romane?!

E la città dei divi cesari,

Dei grandi papi e dei santi,

E’ forte dell’orma delle zampe –

Irsute, ferine, invitanti.

1912

I fondatori

Romolo e Remo salirono sul monte,

Dinanzi a loro un aspro e muto colle.

Romolo disse: “Qui sorgerà la città”.

Rispose Remo: “Bella come il sole”.

Romolo disse: “Per volere degli astri

Il nostro onore abbiamo ritrovato”.

Remo replicò: “Guarderemo avanti,

Dimenticando il passato”.

“Qui sorgerà il circo, – affermò Romolo, -

Qui la nostra casa, aperta a tutti”.

Rispose Remo: “E ci saranno accanto

Le cripte dei nostri defunti”.

1908

Manlio

Manlio buttato giù. La gloria di Roma,

Il potere – sempre quello che era,

E nei secoli incrollabile,

Come la rupe Tarpea.

Roma, come il mare, si agitava,

Le urla solcavano la ressa,

Ma tranquillo sorrideva

Chi veniva gettato ad essa.

Per cosa da una nube a mezzodì,

Da un raggio illuminato,

Appare il cupo Mario

Col brando insanguinato?

1908

Osip Mandel’stam (1891-1938)

*  *  *

Parliamo di Roma, città-sorpresa!

Essa la vittoria alle cupole deve.

Ascoltiamo l’apostolico credo:

Si alza la polvere, e l’iride è sospesa.

L’Aventino aspetta sempre l’imperatore –

Le vigilie delle dodici feste annuali, -

E le lune rigorosamente canoniche –

Del calendario di lui i dodici servitori.

Sul Foro la luna enorme guarda

La valle del mondo di nuvole scura,

E la mia testa è umilmente nuda –

Oh, freddo della cattolica tonsura!

1914

*  *  *

La natura – è Roma e si riflette in essa.

Noi vediamo le immagini della sua potenza civile

Nell’aria diafana, come in un circo azzurro,

In un foro di campi e nelle colonne d’un boschetto.

La natura – è Roma e, sembra, di nuovo

Inutile per noi turbare invano gli dei –

Ci sono le viscere sacrificali, per predire la guerra,

Gli schiavi per tacere, e le pietre per costruire!

1914

(C) by Paolo Statuti



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