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Verso l'infinito, ma non oltre.

Creato il 02 aprile 2014 da Valentina Orsini @Valent1naOrs1n1

Verso l'infinito, ma non oltre.
InfinitoCiò che è inesauribile e immisurabile, senza limite o termine.
Ricordo come se fosse oggi, l'attimo esatto in cui lasciai quell'aula. Era piccola, ma credo sia entrato e uscito un po' di tutto, da lì. Sedie in legno, di quelle che si chiudono senza fare mai spazio a sufficienza. Era febbraio di tre anni fa. Ricordo l'ora, il giorno della settimana e se volessi ricorderei perfino il tasso di umidità e le previsioni viste la mattina, prima di uscire di casa. Non è un disturbo compulsivo il mio, giuro! La verità è che quello fu il mio ultimo esame prima della laurea. Storia del teatro contemporaneo e della regia teatrale
Sento ancora tra le dita il tappo della penna, costretto ad andare su e giù, accettando me e le mie ansie. Sento il rumore della carta per la "brutta" e rivedo il foglio pulito, quello con il timbro dell'Università degli studi di Roma, La Sapienza. Le domande in neretto, erano quattro, e poi ricordo la mia borsa tra le gambe, alla quale riservavo lo stesso trattamento della penna. Panico, paure di ogni tipo, la sensazione di scivolare sull'ultimo scalino prima del traguardo tanto atteso, mai stato così vicino. I commenti sottovoce dei colleghi universitari, e io convinta di essere la protagonista di un noir ambientato tutto in una vecchia aula di musica. "La povera ragazza cercava di liberarsi da quella presenza ingombrante, la cui ombra oscurava perfino tutte le idee. Un pianoforte, e l'aria, ovunque cercasse di respirarla, sempre più pesante. Finché una melodia gregoriana non la fece cadere in un interminabile sonno".
La verità è che in quell'aula, quel giorno, trattavamo di Teatro. C'era Il giardino dei ciliegi di Anton Čechov, c'era Brecht e qualcosa sull'evoluzione dello spazio scenico. L'ultima domanda riguardava il lavoro dell'attore, la ricordo bene perché non appena conclusi con l'ultimo punto della mia carriera universitaria, finì la prima storia importante della mia vita. Una storia d'amore e di odio, di speranze che nascevano oggi e morivano domani. La storia della mia persona che da piccola, si è fatta grande. Che c'entra l'infinito? Beh, l'infinito era davanti a me e io nemmeno me ne accorgevo. Non sapevo dove guardare, perché ero troppo presa a consumarmi nelle attese e nella disperata ricerca di un piano di studi che fosse perfetto. Porte che si aprivano e si chiudevano, domande facili e domande impossibili. Il conto dei crediti (CFU) appuntato ovunque, perfino sulla pelle pur di non sbagliare mai una mossa. Le pratiche umane e quelle burocratiche, il fumo delle sigarette e i passi svelti sulle scale antincendio. 
Il giorno della discussione della tesi (31 marzo 2011) rimane come una nuvola perfettamente intatta nel mio stomaco. E' lì che al massimo si sposta da destra a sinistra, ma non se ne va. Dentro quella nuvola ci sono io che stringo la mano al mio relatore; dietro di me, gli sguardi e i sorrisi di mia madre e mio padre, amici più cari. Fino ad arrivare al più piccolo degli spettatori, mio figlio Luca. Lui nemmeno capiva "sta laura" che cosa volesse dalla mamma, però era lì ed era felice insieme a me, per me. Come tutte le cose che non hanno limite, anche in me quel giorno si vedeva l'infinito. Con la pancia che si affacciava al mondo, nell'attesa di raddoppiare l'amore materno, e la paura di non poter andare lontano, di non farcela. La paura di aver lottato per un pezzo di carta che poi sarebbe stato soltanto deriso e sminuito, dall'ignoranza della gente, da chi pensa di capirti e volerti bene e ti sussurra: "cambia strada". Ed è così che si passa il confine, basta un attimo e l'infinito rimane indietro, è passato. 
E non è passato perché io abbia cambiato strada, no. La mia vita e la mia corsa rimangono sugli stessi binari, solo non c'è più il disincanto, l'idea sempre più forte di quella che ti propina il mondo. Oggi poi rispetto a ieri, vivo la mia vita a fasi alterne. Mentre scrivo penso a bassa, bassissima voce: "ma chi cavolo me l'ha fatto fare a me? Laurearmi in Lettere. Perché devo amare un film o un libro, oppure odiarlo e sentire il bisogno di condividere quel sentimento tanto forte? Il pallino per la scrittura e la comunicazione, povera illusa! Ma non potevo farmi venire la fissa per i cocci cinesi?". - Per dirne una.
Verso l'infinito, ma non oltre.
Io mi definisco oggi una "ex" aspirante giornalista più o meno serena (non è vero, sono ancora parecchio incazzata!). Un carissimo amico mi fa:"Vale perché ex?". La risposta credo sia qui: Il giornalismo è roba da accattoni. C'è un passaggio significativo nell'articolo di Matteo Marani
"Da un po’ di tempo a chi mi chiede consigli per fare il giornalista, ho quasi smesso di lasciare speranze. E dico cambia, non farlo, sapendo che uccido la loro esuberanza e la loro voglia di prendersi il mondo. A vent’anni non avrei mai accettato di sentirmelo dire, infatti facevo finta di nulla quando toccava a me ascoltarlo. Ma oggi è tutto peggiore di prima, ancora più complicato. L’unica possibilità è quella di inventarsi un mestiere che renda. Intendo ex novo. Il lavoro dovete crearlo voi da soli e renderlo remunerativo. È la lezione che già vent’anni fa ascoltai in bocca a Umberto Eco e mi pareva una follia, invece era solo la perfetta profezia di un genio.È passato il principio che la comunicazione è gratis. Che non servono persone pagate per raccogliere informazioni, capirle e restituirle filtrate. Per questo si fanno libri gratis, si presentano conferenze gratis, si scrivono articoli gratis".
Qui praticamente c'è un giornalista professionista, sportivo, che dice agli aspiranti giornalisti: "lasciate perdere!", che ancora ci credete? Sì, perché nonostante tutto, qualcuno che ancora crede, c'è. Questo articolo prende una consapevolezza che è tipica del "mestierante", ne fa saggezza e poi la mescola a quel grammo di rabbia personale che è micidiale. Perché lo sapete che succede, quando si tenta a tutti i costi di essere professionali e poi si dà retta a ciò che grida la pancia? Finisce male. Perché Marani secondo me dice tutte cose vere e incontrastabili. Capirai, io ho fatto la giornalista sportiva per otto mesi, conosco bene l'ambiente ed è da quell'esperienza che ho imparato di più. Anzi, è lì che diventai una "ex"!
Però Marani commette giusto un piccolo errore, fa della sua esperienza, un motivo per distruggere i sogni di tutti quei poveri disgraziati che stanno sputando anima e bile sui libri. Credendo in ogni singolo passo che li porterà a un traguardo, credendoci davvero. Che ci arrivino o meno, quello è un altro discorso. Ma chi siamo noi, chi sono io e chi sei tu per uccidere qualcuno servendoti del tuo rancore, delle pugnalate prese e di cui porti ancora le ferite? Non credo sia giusto. Dire: "oggi non è possibile" è come dare a tutti, indistintamente, grandi e piccoli, le misure e le leggi del mondo scritte e illustrate. Non gli dai più la possibilità di lottare e sperare, gli togli la mancanza della consapevolezza e quel senso dell'orientamento che non c'è, in chi sogna e guarda avanti. Un mondo confezionato e fatto apposta per non esser contraddetto, da prendere così com'è. 
Verso l'infinito, ma non oltre.
Quel giorno, in quell'aula di musica io vincevo sul mondo che rideva di me e della mia laurea. Quello stesso giorno, una famiglia russa perdeva la propria casa perché la debolezza culturale già l'aveva corrotta. L'indifferenza e la tendenza a rinunciare alle sfide più significative ci sta annientando. Ci dicono di stare fermi e buoni, ci dicono di non andare più in là del nostro naso e noi non ci muoviamo. Da quell'aula a oggi la ragazzina ne ha fatta un po' di strada, continua a guardare avanti, a cercare l'infinito perché sa che esiste e lo ha sfiorato più volte. Ma sa che non bisogna mai sperare di oltrepassarlo. Gli alberi continuano a cadere, la gente perde ciò che ama, e io mi chiedo quale sia il mio "oltre". Dove devo andare, e se davvero devo smetterla, reinventarmi ex novo.

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