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Vulcano 3 – Philip K. Dick

Creato il 10 settembre 2015 da Maxscorda @MaxScorda

10 settembre 2015 Lascia un commento

Vulcano 3
Ogni anno mi piace ripeterlo: per me estate fa rima con Philip K. Dick. Da molto tempo ormai, l’appuntamento al mare col grande scrittore di fantascienza scomparso, e’ divenuta tradizione, una certezza che inseguo e coltivo con molto piacere.
Ne approfitto per leggere e rileggere, forte anche della sterminata lista di romanzi che Dick ci ha lasciato malgrado la prematura scomparsa. Quest’anno ho recuperato "Vulcano 3", romanzo del 1960 mutuato da un racconto breve di qualche anno prima. Siamo nel 2030, dopo l’immancabile guerra atomica, il mondo e’ compatto e unito, governato da un’unica entita’ politica, sottomessa per scelta a Vulcano 3, un gigantesco computer senziente che comanda e dirige. Non mancano ovviamente i ribelli, una setta chiamata i "Guaritori" e sara’ a causa loro che uno dei dirigenti verra’ ucciso e un suo collega cerchera’ di capire cosa gli e’ accaduto e soprattutto cosa sta accadendo in cima alla piramide di comando.
Alla fine sara’ guerra ma le fazioni in campo non saranno quelle che ci aspettiamo.
Libro come detto del 1960, periodo spartiacque per Dick che sta focalizzando le tematiche che maggiormente andranno a definire il suo stile. C’e’ il potere incontrollato, nascosto eppure dominante, subdolo e strisciante verso il quale non resta che lo scontro frontale o la totale sottomissione. C’e’ pero’ l’eletto, il ribelle, quello che comprende la situazione, che vede dove altri non vedono e capisce cose che altri non capiscono. Ci sono le macchine tanto lontane dall’uomo, machina ex deus verrebbe da parafrasare, potere del potere, spesso il potere che sovrasta il potere. Poi le guerre atomiche, le terre radioattive, il tutto condito con la grande salsa della paranoia.
C’e’ tutto questo ma e’ appena abbozzato, un crescendo ancora da stabilizzarsi e definirsi, percio’ alla fine si resta indifferenti ad una storia non brutta ma sottotono. A questo proposito faccio notare l’incredibile introduzione di Carlo Pagetti che gia’ dalle prime righe non fa altro che ribadire quanto sia brutto il romanzo, per poi salvarlo sul finale e comunque anticipa trama, annessi e connessi. Non e’ la prima volta che Fanucci usa pessime introduzioni ma questa e’ talmente grottesca che vince. Certo e’ che resta un libro da leggersi per il solo bisogno filologico pur restando marcato Dick percio’ sempre degno di attenzione


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