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π - Il teorema del delirio | Recensione del film

Da Uskebasi @Uskebasiblog
π - Il teorema del delirio | Recensione del filmCimentarsi con il cinema non è cosa facile per uno come me. Ho sempre amato i film, almeno quanto amo la lettura. Sono entrambi modi semplici ma efficaci di evadere dalla realtà quotidiana, un piacevole passatempo dei miei anni da ragazzo come tanti altri. Recensire un film, darne un’opinione però non è per nulla un esercizio agevole. Soprattutto, come detto, per uno come me. Uno senza alcuna conoscenza specifica nel settore, senza studi particolari sul cinema, senza un vocabolario di termini tecnici che sarebbero apprezzati notevolmente di più. Un certo interesse, come quello di tanti altri coetanei, questo si. Ho amato Il Padrino, sono stato rapito dagli spaghetti western di leoniana fattura, ho sofferto con Jack Nicholson nella sua interpretazione di McMurphy in Qualcuno volò sul nido del cuculo. Giusto per citare i film che ho preferito più di tutti. Uskebasi è soltanto un ricco e variegato insieme di opinioni appartenenti ad uno qualunque. Questa è soltanto la recensione di uno qualunque, non di un critico cinematografico. Uno per cui, però, provare qualcosa di nuovo, cimentarsi in un compito che non sembra nelle sue corde, è sempre stata una sfida affascinante. Del resto s’impara anche così.Con questo spirito mi accingo a descrivere, esprimendo la mia umile opinione, un film che forse è anche piuttosto complicato da recensire. L’ennesima pellicola cui mi sono avvicinato per pura curiosità, già sapendo di andare incontro a qualcosa di particolare e inusuale, qualcosa che si discostava da ciò che ero abituato a vedere. Il film in questione si intitola π. Esatto, letto “Pi Greco”, ribattezzato nel titolo italiano Il teorema del delirio.
Π è un film del 1998 di Darren Aronofsky, opera prima del regista che in seguito creerà grandi film come Requiem for a dream, The Wrestler o il più recente Il cigno nero. Vincitore alla regia nel Sundance Film Festival e poi premiato in numerosi altri concorsi, nasce come pellicola indipendente a basso costo, realizzata tramite l’utilizzo di camere a spalla. Una delle caratteristiche principali dell’opera è la sua produzione in 16mm, oltre ai suoi colori. Il film, infatti, è interamente in bianco e nero, con un contrasto molto spinto e una fotografia sgranata. Maximilian Cohen è un matematico brillante, pubblicato a 16 anni, laureato a 20. Vive a New York nel quartiere di Chinatown, rinchiuso in un appartamento affittato che ha trasformato in laboratorio. Disordinato, caotico, invaso da cavi e chip che formano il suo personale computer, quello con cui svolge le ricerche di tutta una vita. Max è un solitario, una persona schiva, disadattatosi in fretta alla società che lo circonda, alle mere esistenze di quell’agglomerato d’umanità che corre attraverso il labirinto chiamato “Grande Mela”. Afflitto da attacchi spaventosi di emicrania, che saranno portanti durante lo svolgimento della vicenda, perché, come racconta lui stesso nota personale: quando ero piccolo mia madre mi diceva che non bisogna mai guardare fisso il sole, ma una volta, a sei anni, l'ho fatto. I dottori non sapevano se i miei occhi sarebbero guariti, io ero terrorizzato, ero solo in mezzo a tutto quel buio. A poco a poco la luce cominciò a farsi strada fra le bende e io riacquistai la vista, ma qualcosa era cambiato dentro di me, e cominciarono le emicranie”.La sua vita sta tutta nella matematica, nei numeri. E non solo la sua. Max è convinto che ogni cosa esistente, la Natura, la Vita, gli indici di borsa, siano riconducibili e spiegabili attraverso schemi, numeri. Da questa considerazione forgia le sue massime sull’esistenza:
  1. La matematica è il linguaggio della natura
  2. Ogni cosa può essere spiegata attraverso i numeri
  3. Ottenendo numeri semplici, scomponendo ogni sistema, si possono ottenere dei modelli
  4. Ovunque in natura esistono questi modelli
I modelli sono schemi, creazioni riconducibili a numeri o a serie di questi. Il pi greco, la sezione aurea, Max intravede modelli matematici tutt’attorno a lui. Come dice il protagonista "Con la sezione aurea è possibile costruire una spirale che è la forma più antica, ravvisabile in geometrie seminascoste, alle galassie, alle conchiglie, alla forma del corpo umano". Sulla base dei suoi principi Max è alla ricerca di un codice che lo aiuti a prevedere le quotazioni in borsa. Questa sua ricerca però lo porterà ad essere appetito da alcuni emissari di un azienda, oltre che da un gruppo di ebrei ortodossi, studiosi della Torah e dei numeri, alla ricerca di un fantomatico numero di 216 cifre all’interno del loro libro sacro.π - Il teorema del delirio | Recensione del filmEvitiamo subito malintesi. Π Non è un film sulla matematica. Aronofsky non usa un film per parlare di matematica. Usa la matematica per fare un film. Se siete appassionati di numeri e cercate teorie perfette o formule geniali non le troverete. Anzi forse, guardando attentamente il film, noterete anche un banale errore negli appunti del protagonista, che confonde la proporzione corretta A:B = (A+B):A con l’errata formulazione A:B = A (A+B) (come mostrato nell’immagine a lato). Detto questo, che era giusto sottolineare ai fanatici della matematica che potrebbero approcciarsi alla visione, la pellicola possiede molti elementi per poter essere considerato di ottimo livello, e alcune caratteristiche che ne fanno un vero cult. Dal punto di vista stilistico, come già detto domina il forte contrasto di bianco e nero, una scelta precisa, ricercata. Il montaggio è ipercinetico, con scene rapide e veloci, stranianti, stordenti, che fanno da sfondo alla voce fuori campo, quella del protagonista in prima persona. Una caratteristica che sarà propria di tutto il film. Il ritmo è mozzafiato, la colonna sonora elettrizzante ed angosciante, perfettamente adatta agli scopi che si prefigge e alle sensazioni che vuole suscitare in chi prende visione della pellicola. Esempio perfetto sono gli attacchi di emicrania di cui soffre il protagonista, rappresentati magistralmente da una serie di effetti sonori dalle tonalità fastidiose, come fischi, strepitii, cigolii, che penetrano nella testa non solo di Max ma anche, in parte, dello stesso spettatore. Queste sonorità e le improvvise accelerazioni di ritmo contribuiscono a esprimere al meglio le sensazioni provate dal matematico, creando un’atmosfera claustrofobica, spasmodica, paranoica, surreale. E surreali sono le visioni che colpiscono Max, tra numeri, strane figure di uomini sanguinanti, brandelli di cervello, che riconducono agli stili di registi come Cronenberg e Lynch, dalle forti componenti surrealiste e oniriche. Splendida la metafora creata con la tavola del goban (nell’immagine sotto), una sorta di scacchiera giapponese, con cui il maestro e mentore del protagonista prova a convincerlo dell’infondatezza delle sue teorie sulla prevedibilità degli avvenimenti e della natura tramite formule matematiche. Si riteneva, infatti, che in un simile gioco non fossero mai possibili due partite identiche. La tavola vuota indica quindi l’equilibrio ma, con l’andare avanti della partita e il posizionamento delle tessere, è sempre più simile al nostro mondo, con tutti i suoi fattori imprevedibili e incalcolabili, caotici.π - Il teorema del delirio | Recensione del filmIl filo del racconto sembra essere tessuto in modo solido, concendendo al film tutti gli elementi portanti del thriller, nonostante la trama ruoti, per un ora e venti, totalmente su un’unica idea. Un finale geniale e solo parzialmente aperto all’interpretazione, dona alla ricerca di quel numero di 216 cifre una nuova dimensione. Sovrumana, simbolo dell’ossessione antropica di una continua rincorsa alla conoscenza. Alcune risposte, però, sono probabilmente inesistenti o non adatte per essere comprese appieno dalla razionalità umana, che può soltanto finire sconvolta, fino alla follia. Il tema filosofico e metafisico affrontato poteva però, con una cura maggiore, portare a riflessioni più profonde e articolate, che avrebbero reso questa pellicola, dall’idea di base molto intrigante, un vero capolavoro. Un film certamente particolare, in special modo dal punto di vista stilistico, e che si potrebbe definire sensoriale, perché è questo continuo pungolare i sensi dello spettatore a rendere al meglio la tensione di una trama non perfettamente elaborata e riuscita. Nonostante qualche pecca a livello di plot insomma, π è un film DA VEDERE, non soltanto perché prima creazione di un regista come Aronofsky.

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