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Da Miwako

"Sei felice di andartene a Bruxelles?""...""Lo sai che se non ti troverai bene potrai sempre tornare, vero?"" Si, mamma, lo so"
Ma mica lo metto in conto. Di tornare, intendo; che non mi trovi bene può succedere. Ma non ho più 18 anni (e mai come in questi giorni corpo&mente si sono coalizzati per ricordarmelo), ed è venuto il tempo in cui io decido quali sono le alternative, non il contesto. Voglio farmi le ossa, imparare il francese, un lavoro che ancora non so fare, mille altre cose. E prima di aver fatto questo io, di lì, non mi muovo. Non mi sto chiudendo, credo solo sia venuto il momennto di dare una certa solidità a quello che voglio fare. Non mi sento di metterci alcun rafforzativo assolutizzante in questa decisione, si sa mai davanti a quali bizzarrie uno si può ritrovare; però posso dire che, in ogni caso, anche il più nefasto, cercherò di far fruttare al meglio e al massimo questa situazione.Ovviamente, un'inguaribile ottimista come me non può che pensare che tutto andrà bene, che quelli che potrebbero essere problemi e ostacoli, potrebbero pure essere sfruttati come stimoli per crescere, come con il parkour.E lo penso sul serio. Non ho paura di quello che troverò, ho una buona capacità di adattamento, non mi spaventa quello che non conosco e vivo il cambiamento come un crescita, sempre e comunque. Ho paura di quello che sto per lasciarmi alle spalle. Paura di chiudere una parentesi lunga sette anni che mi ha vista esplodere di luce come un prisma che trova sè stesso in milioni di facce. Il tutto senza andare in Tibet, non ce n'è stato bisogno.Temo per quelli che amo, per le curve a gomito che, d'ora in poi, potremmo perderci nelle rispettive vite; temo non ci sarà un altro M. che mi porterà in pronto soccorso alle 4 di notte, qualora ne avessi bisogno; temo mi mancherà l'entusiasmo con cui Stè mi tiene sveglia certe notti per parlarmi dei suoi progetti, come mi mancherà uscire di casa e pensare "Ho fretta e sono le sei, il che implica che inciamperò in tutti quelli che conosco", ho paura che una vicina di casa come V. con cui passeggiare insieme al cane di turno parlando d'amore e di stronzate non la troverò nemmeno in capo al mondo; ho paura che mi mancherà perfino l'infimo intecity delle 13.40 che prendo per tornare a casa dei miei, il sapere che l'altra parte della mia vita, quella che mi tiene legata indissolubilmente a queste pianure nebbiose non sarà più a tre orette di treno, prendere atto del fatto che non sarà più così facile vedere le mie amiche (cosa che non è stata poi così semplice).Tutte queste cose, prese singolarmente costituiscono i dettagli di una vita, piccolezze di una quotidianità toscana che mi si è insinuata nelle viscere, di una giovinezza lasciata al nord e che ritrovo puntualmente ogni volta che rimetto piede nel paesino natale; prese in toto, sospetto che siano le granitiche colonne di quella che finora è stata la mia vita. Spesso alcune ne escludevano altre temporaneamente, per ovvi motivi legati alla geografia e all'ubiquità, ma dovunque fossi, ho sempre avuto le mie certezze.Che ne sarà di tutto questo?Si può essere felici quando il bagaglio emotivo che ci si porta appresso non passa nemmeno attraverso lo sportello della stiva dell'aereo?Si. Forse, si può essere felici. Forse posso. Per tutto quello di imperscrutabile che mi aspetta alla fine di questo mese troppo breve.Per tutto quello che c'è prima, che fino a prova contraria è ciò di cui è fatta la mia vita, credo di no. E lo stesso vale per tutte quelle cose in sospeso, tese come panni ancora umidi in una giornata di sole.
"Sei felice di andartene a Bruxelles?" "..."
Sta tutto lì, rinchiuso in tre puntini di sospensione.

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