1.Il vedere è in sé
un atto creativo (Rudolph Arnheim)
Durante il corso di una normale giornata, noi riceviamo
attraverso gli occhi migliaia di immagini: in effetti, la retina funziona un
po’ come certe telecamere di videosorveglianza, registrando continuamente tutto
ciò che passa davanti il loro campo visivo. Questa attività si chiama guardare. Guardare e vedere, però, sono
due attività ben distinte. Infatti, delle migliaia di immagini che la retina
registra, noi ne ricordiamo una piccolissima parte: solo quelle a cui prestiamo
attenzione. In altre parole, occorre che il nostro cervello si attivi e dica “ehi, guarda che bello scorcio!” (o anche
“che bella ragazza!” o “che bell’uomo”!). A quel punto
l’immagine viene registrata, quasi come se decidessimo di premere il pulsante
di scatto della memoria. Perciò, se il vedere
è un’attività puramente meccanica e inevitabile se non chiudiamo gli occhi, il guardare è invece qualcosa che scegliamo di fare. Ecco perché nel
momento in cui vediamo un soggetto, in qualche modo “l’opera d’arte” è già
nata: abbiamo trovato il nostro soggetto, la situazione che ci chiama, che ci
ispira. A quel punto occorre solo metterla su pellicola o sul sensore, per
dargli una consistenza concreta. Sempre sperando di avere con noi una fotocamera,
ovviamente. Ma secondo molte scuole di pensiero, l’artista crea nel momento in
cui vede l’opera, in cui ne ha una piena percezione. Tirare fuori la scultura
dal blocco di marmo, far emergere il paesaggio dalla tela con i colori o
fissare i raggi di luce su un supporto sensibile sono a quel punto un atto
accessorio, necessario principalmente a comunicare agli altri la nostra
creazione. Ma, insomma, per i nostri scopi è importante soprattutto comprendere
che per realizzare delle belle fotografie non basta scandagliare l’ambiente
circostante in modo più o meno casuale: occorre avere concentrazione, essere
dei “predatori” pronti a ghermire la preda, prestare attenzione a ciò che
avviene, alle nostre emozioni, alla luce, al mutare delle condizioni, e così
via. E fare tutto questo in modo quasi automatico, senza star troppo a pensarci
su. E’ questa la vera “via dell’artista” (e, nel caso specifico, del fotografo)
che distingue un comune “schiacciabottoni”,
magari talentuoso ma puramente tecnico, dal fotografo-artista o, se vogliamo,
dal “maestro”...
Magazine Fotografia
1.Il vedere è in sé
un atto creativo (Rudolph Arnheim)
Durante il corso di una normale giornata, noi riceviamo
attraverso gli occhi migliaia di immagini: in effetti, la retina funziona un
po’ come certe telecamere di videosorveglianza, registrando continuamente tutto
ciò che passa davanti il loro campo visivo. Questa attività si chiama guardare. Guardare e vedere, però, sono
due attività ben distinte. Infatti, delle migliaia di immagini che la retina
registra, noi ne ricordiamo una piccolissima parte: solo quelle a cui prestiamo
attenzione. In altre parole, occorre che il nostro cervello si attivi e dica “ehi, guarda che bello scorcio!” (o anche
“che bella ragazza!” o “che bell’uomo”!). A quel punto
l’immagine viene registrata, quasi come se decidessimo di premere il pulsante
di scatto della memoria. Perciò, se il vedere
è un’attività puramente meccanica e inevitabile se non chiudiamo gli occhi, il guardare è invece qualcosa che scegliamo di fare. Ecco perché nel
momento in cui vediamo un soggetto, in qualche modo “l’opera d’arte” è già
nata: abbiamo trovato il nostro soggetto, la situazione che ci chiama, che ci
ispira. A quel punto occorre solo metterla su pellicola o sul sensore, per
dargli una consistenza concreta. Sempre sperando di avere con noi una fotocamera,
ovviamente. Ma secondo molte scuole di pensiero, l’artista crea nel momento in
cui vede l’opera, in cui ne ha una piena percezione. Tirare fuori la scultura
dal blocco di marmo, far emergere il paesaggio dalla tela con i colori o
fissare i raggi di luce su un supporto sensibile sono a quel punto un atto
accessorio, necessario principalmente a comunicare agli altri la nostra
creazione. Ma, insomma, per i nostri scopi è importante soprattutto comprendere
che per realizzare delle belle fotografie non basta scandagliare l’ambiente
circostante in modo più o meno casuale: occorre avere concentrazione, essere
dei “predatori” pronti a ghermire la preda, prestare attenzione a ciò che
avviene, alle nostre emozioni, alla luce, al mutare delle condizioni, e così
via. E fare tutto questo in modo quasi automatico, senza star troppo a pensarci
su. E’ questa la vera “via dell’artista” (e, nel caso specifico, del fotografo)
che distingue un comune “schiacciabottoni”,
magari talentuoso ma puramente tecnico, dal fotografo-artista o, se vogliamo,
dal “maestro”...
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