Magazine Diario personale
Rayko si notava subito.
Il suo fisico, che pareva intagliato nell'ebano più duro, si stagliava sulla spiaggia di polvere bianca di Varadero. I suoi vent'anni, passati alla ricerca di una sopravvivenza quotidiana, brillavano dagli occhi neri e lucenti, incorniciati da ciglia lunghissime, quasi femminee.
Era un jinetero. Vale a dire uno dei tanti ragazzi e ragazze, per di più emigrati da sconosciuti e miserabili paesini di una Cuba ormai morta, per cercare fortuna e dollari in una delle località turistiche dell'isola.
Sempre a caccia dello Yuma da servire e di cui approfittare, per rimediare qualche oggetto regalato o dollari che si sarebbero presto trasformati in puro divertimento, rappresentato da una serata in discoteca oppure nell'acquisto di un paio di jeans italiani.
Quando osservavo tutto questo, ancora non mi ero reso conto di molte verità nascoste e seppellite agli occhi dei turisti, ingannati dalla bellezza delle spiagge tropicali e dal ritmo delle orchestrine del son cubano.
Ritornando a qualche giorno prima, mi trovavo stupito e stordito dopo circa 10 ore di un comodo volo charter che mi aveva strappato da un’efficiente e fredda Milano per catapultarmi in un’allegra ed assolata Varadero. Dopo un’estenuante coda, provocata da un lunghissimo controllo alla dogana cubana, ero stato gentilmente accolto dall’hostess dell'agenzia ricettivista che mi aveva fatto accomodare su di un minibus dai colori stinti, insieme ad altri turisti dagli occhi arrossati dalla stanchezza, per condurci negli alberghi riservati.
L'impatto con la dolcezza che provai fu immediato. Oltre ad un gigantesco cartellone di "benvenuto" e qualche turistaxi, non c'era null'altro che un anonimo paesaggio. Qualche automobile scassatissima risalente agli anni '40/'50, frutto dell'allora espropriazione rivoluzionaria, veniva lentamente sorpassata dal nostro pulmino. Ma fino ad arrivare all'inizio della penisola di Varadero, dov'è ubicata la Marina, la terra bruciata dal sole, non aveva conosciuto ancora nessun tipo di sfruttamento edilizio.
I giorni che seguirono, esaltarono in me, turista single, la realtà che volevo vedere e che volevo cercare di capire. Una rivoluzione socialista fallita? Un sogno realizzato a prezzo d’inenarrabili sacrifici? L'orgoglio caraibico ma tipicamente cubano, dal sapore d’indipendenza? Proprio non sapevo cosa rispondermi. Cercavo di sfuggire dalla realtà stereotipata rappresentata dalle comodità dell'albergo dove soggiornavo, per trovare rifugio nella consapevolezza. Così, svogliatamente partecipavo sempre di meno e con meno voglia ai previsti intrattenimenti dello staff d’animazione, per parlare sempre di più con ragazze e ragazzi del luogo che, dal canto loro, erano ben felici della mia voglia di socializzare.
Alla fine della prima settimana avevo, oltre il colore rosso gambero ed un male cane provocato dalle scottature, anche la presunzione di aver capito tutto o quasi della "mia" isola. Rayko, mi si era avvicinato il secondo giorno "Amigo! Italiano?" aveva quasi gridato mostrandomi denti bianchissimi. Sulle prime non lo avevo neanche considerato, facendogli un cenno con la testa ed un sorrisino idiota. Ma dopo cinque minuti tornò all'attacco "Oyee, amigo...Italiano?"
Faticosamente annaspai sul lettino prendisole fino a raggiungere una posizione di precario equilibrio e mi asciugai il sudore che colava a rivoli copiosi.
"Si, sono italiano. Tu me intiendi?". Mai altra frase fu più idiota di questa. Venne verso di me, superando una invisibile linea di confine che divideva noi turisti, da loro jineteri, appollaiati sulla riva, in attesa.
"Claro che si!" rispose "Ho tanti amici in Italia. Mi chiamo Rayko, e tu?".
Fu l'inizio di una conoscenza che giorno dopo giorno mi faceva sentire sempre più cubano, al costo di qualche dollaro, magliette e saponi.
Rayko iniziò a raccontarmi di se. Viveva già da tre anni in un paesetto, ma più giusto sarebbe considerarlo un agglomerato di misere abitazioni, a circa una ventina di chilometri da Varadero. Nei dintorni di Cardenàs, era ospitato da una signora che, per la cifra di sessanta dollari al mese, forniva a lui e ad altri ragazzi, un posto dove dormire e in cui domiciliarsi. Veniva da Las Tunas, nel centro dell'isola. Seppi in seguito che era tra le più povere province di Cuba, che viveva esclusivamente di agricoltura. In questo ed in altri paesi non frequentati dal turismo occidentale, la popolazione sopravviveva grazie alla "libreta" rilasciata ad ogni capofamiglia, dallo Stato e con il quale si aveva diritto ad acquistare a prezzi politici, generi alimentari e d'uso quotidiano, razionati in base al numero e all'età dei componenti del nucleo famigliare. Il problema, a parte l'esiguità delle razioni cui si aveva diritto, era quello di trovare qualcosa da comprare negli ormai vuoti negozi cubani.
Lo stipendio mensile si aggirava all'equivalente di sette/dieci dollari, pagati in moneta nazionale inconvertibile e svalutabile. Scoprii anche che la gente dell'Oriente cubano -ma la miseria di aggirava ormai in tutta l'isola- mangiava forse solo una volta il giorno e sempre il solito piatto nazionale, il congrì: riso e fagioli neri a volte con l'aggiunta di una banana tagliata e mischiata nel mezzo e, solo in situazioni eccezionali, arricchita con carne di maiale o pollo. Il burro, era riciclato per diverse cotture, così come tutto quanto il resto. Non si buttava mai nulla. Ed ora, vivendo la Patria acquisita dell'eroico e mitizzato "Che", mi ponevo il quesito a proposito dell'uomo nuovo socialista. Esisteva veramente? E tutti i cubani che incontravo e che mi proponevano di tutto, erano i cloni del lìder maximo?
Il sole filtrava attraverso la palma che ombreggiava il tratto d’arenile dove ero mollemente stravaccato. Walkman, occhiali da sole, asciugamano di spugna a tinte sgargianti, Marlboro, catena d'oro con corallo rosso al collo: il classico turista. Così apparivo e così ero davvero. Le affascinanti ragazze dai costumi quasi fosforescenti e dalle immancabili treccine posticce mi ammiccavano da pochi metri, ridendo e parlando ad alta voce tra loro. Forse si stavano dividendo la ipotetica posta rappresentata da quello che io potevo offrire.
Rayko venne da me. "Italiano! Quiere una chica? No problem! Penso io alla figa, alla casa, al carro..."
"Come? Quale chica e quale casa?" risposi un po' sorpreso ed imbarazzato.
"Come, non lo sai? Non è possibile andare in albergo con la ragazza. Devi andare in una casa particular" rimandò lui. "Ma dai, Rayko, se questo è un sistema per guadagnare altri dollari..." replicai.
"Italiano, no! -fece categorico- Chiedi alla reception".
Con la promessa di riparlarne il giorno dopo, raccolsi le mie cose da spiaggia, lasciandogli in regalo una t-shirt, 5 dollari ed una lattina di birra e rientrai in albergo. Ma, prima di arrivare alla reception, mi fermai al bar della piscina, dove due signori, quasi attempati stavano conversando fragorosamente.
Ordinai una Bucanero forte e mi misi a sorseggiare la birra gelata con l'intenzione di captare la conversazione in corso. Tra i due, fortemente abbronzati, c'era quasi una competizione su chi indossasse più oro. Li osservai attentamente: pancetta pronunciata in uno, corpo più asciutto nell'altro; capelli radi che non riuscivano più a nascondere più nulla nel primo, capigliatura lunga e folta racchiusa con un elastico nell'altra. M’immaginai la loro storia. Quello meno appariscente, dalla pronuncia romanesca, sembrava il classico padre di una famiglia quasi numerosa e conviviale. Imprenditore, forse, di un'attività commerciale che aveva visto giorni migliori, se la stava spassando a Cuba, ricercando un amore non più possibile a casa sua a spese del portafoglio gonfio e generoso. L'altro, dall'aria corsara e dalla provenienza nordista, dava tutta l'impressione dell'uomo di vita che ne aveva sperimentate di tutti i colori e, forse, ora qui a vivere il suo canto del cigno prima dell'inevitabile fine. Ma ancora non si arrendeva. E lo si capiva dal suo aspetto di playboy incallito e dal suo modo di fare. Le rughe che incorniciavano il suo volto regolare, si modificavano ogni volta che cambiava espressione mentre seguiva attentamente la conversazione dell'amico romano. Entrambi stavano fumando sigari Montecristo, acquistati di contrabbando al prezzo di 10 dollari la scatola, mentre sorseggiavano drink a base di Havana Club, il più commerciale ron cubano.
"Ma tu fai il gentiluomo oppure il ?" chiese il romano.
"Il gentiluomo - ribatté l'altro- e tu?"
"No. No...io faccio il . Due o tre ragazze a sera, dipende..." rispose con aria divertita.
Mi avvicinai incuriosito. "Scusate -dissi- vedo che siete abbastanza esperti, mentre io non ne so molto di usi locali. Potreste darmi alcune indicazioni?". Il nordista accennò ad un sorriso ed iniziò a parlare.
"La realtà è molto articolata. Io vengo a Cuba due o tre volte l’anno, da più di cinque. Ho iniziato a girare l'isola come turista. Ho conosciuto molta gente dalla quale ho appreso molte cose. Ad esempio, nonostante l'embargo in vigore dagli inizi degli anni '60, quest'isola ha in ogni modo vissuto dignitosamente grazie agli aiuti dell'Unione Sovietica che, passava loro, milioni di dollari e tecnologie in cambio della fedeltà politica e della canna da zucchero. Poi, con la caduta del muro di Berlino ed il crollo del comunismo, l'ex Unione Sovietica ha sospeso improvvisamente -come logico- qualsiasi forma di assistenza. Questo ha generato il cosiddetto "periodo speciale", che è ancora in corso. Generi alimentari e di consumo comune non si trovano più, se non con il contagocce e tutta la popolazione è finita in miseria. E così, Cuba, ha deciso di puntare sul turismo, abbassando i prezzi di tutti i servizi alberghieri ed incentivando, così, l'arrivo di valuta pregiata al seguito dei viaggiatori. Ma questo fenomeno ha provocato anche, la corsa al turista ad parte di ragazzi e ragazze, pronti a tutto pur di rimediare dollari e benefici".
Il nordista schioccò le labbra e bevve un abbondante sorso di acqua minerale che, nel frattempo, si era fatto servire. Il romano, dal suo canto, guardava sornione annuendo ogni tanto in segno di approvazione. Il nordista riprese: "Cuba è, oggi, un grande mercato nero. Una Napoli antesignana ma caraibica. Si commercia di tutto: dalle aragoste, vietate ai cubani da oltre trentacinque anni, ai sigari passando dal rum al corallo nero. Poi, tutti s'industriano con tutto. Se ti occorre una taxi privato, prendi un "particular" che per la metà del prezzo dei taxi ufficiali, ti porta dove vuoi. Vuoi una casa per portarti una ragazza oppure per risparmiare rispetto al costo di un soggiorno in albergo? Affitti una casa particular e, con 10-15 dollari, risolvi il tuo problema dell'alloggio. Puoi mangiare in case che ti preparano un pranzo a base di aragosta, riso e fagioli e contorni vari con 7 dollari. Ma sono tutte cose altamente proibite dallo stato. Tu, come turista non sei ovviamente tutelato, sei semplicemente responsabile delle tue scelte, ma i cubani che offrono questi servizi, sono duramente puniti dalla polizia che può perfino mandarli in galera per anni. Eppure, qui fanno tutto per il dollaro". Il nordista spense la cicca del sigaro ormai finito e terminò di bere il drink a base di rum.
"E le ragazze" continuai.
A questo punto intervenne il romano, ormai pronto a dare una mano al suo quasi amico del nord. "Le chiche sono dolcissime e disponibilissime. Amano i turisti per i soldi che danno loro e per la vita di divertimenti che possono fare insieme. E comunque -sospirò- per tutte c'è il sogno di farsi sposare per ottenere il passaporto e la libertà di vivere in un altro paese". Il romano si grattò meccanicamente una guancia e continuò "A Cuba puoi trovare una ragazza con la quale vivere per tutta la durata della tua vacanza. Diventa una specie di fidanzata, novia si dice da queste parti. E come una fidanzata è gelosa, possessiva e, soprattutto, costosa. Oppure, scegli di non legarti e puoi cambiare novia ogni volta che desideri. Basta contrattare il prezzo prima della prestazione sessuale, dai 30 dollari in su...per poi essere nuovamente pronto per nuove avventure".
Il nordista aggiunse "Vero è, che molti nostri connazionali si fanno accalappiare. Pensano di aver trovato l'anima gemella che li farà felici per tutta una vita. Ma, se eventualmente si sposano portando a casa una cubana, questa, il più delle volte, si guarderà attorno per migliorare la sua condizione sociale, magari trovando un altro uomo più ricco e generoso. La loro mentalità è felicemente basata sul divorzio. Pensa che c'è gente che si è risposata cinque, sei volte prima di posizionarsi con il patner definitivamente".
"Insomma -chiesi perplesso- tutta la dolcezza e l'amicizia null'altro sono che delle maschere che servono per prendere il turista all'amo?"
"Sai -rispose il nordista-...il più delle volte è proprio così. Tu, qua, paghi l'illusione di una more magari proibito in Italia. E, siccome le cubane ci sanno proprio fare, molte volte il turista o "pepe" come dicono nel loro gergo, ci casca con tutte le scarpe. Da questo pericolo sono esenti solo pochissimi che, conoscendo a fondo la gente cubana, i luoghi, il loro dialetto, non fanno più parte della categoria dei turisti ma diviene, agli occhi dei cubani, un camajan, cioè uno di loro".
Il romano aggiunse "Io non solo solo straniero. Mi sento turista e grazie al potere del dio dollaro trovo tutti i divertimenti che m'interessano. Per due settimane l'anno, sfrutto il più possibile questa mia condizione senza, però, rinunciare al lusso ed alle comodità dell'albergo".
In quel mentre, passarono davanti a noi tre splendide ragazze. Le osservai attentamente. Una mulatta dal corpo minuto ma con un culo esageratamente pronunciato. Portava le immancabili treccine racchiuse da uno chinon di finta seta. Un'altra era bianca, con una capigliatura bionda ossigenata. Aveva solo un bikini dagli alti slip che le modellavano una gamba lunga e nervosa. La terza era nera come l'ebano. Anche questa aveva una folta e crespa capigliatura sulla quale era ancorata una miriade di treccine lunghissime. Tutte e tre sorrisero mettendo in mostra una felice dentatura bianchissima e s'allontanarono verso la spiaggia, attendendo una nostra risposta. "Vedi -disse il nordista- le ragazze hanno gettato l'amo e per fare questo hanno rischiato parecchio entrando dentro l'albergo".
"Come?" esclamai sorpreso.
"Allora non hai capito bene -aggiunse il romano- Qua da loro, ogni cosa che da noi sarebbe logica è a loro vietata. L'albergo, il bar, il ristorante, la spiaggia e quant'altro riservato a noi turisti, è per i cubani interdetto. Non vedrai mai una ragazza bere un drink seduta a questo bar, a meno che non sia ospite di un turista. Ma quando il turista è ripartito, la ragazza rischia molto. Allora nasce una serie di compromessi a suon di dollari. Una piccola mancia al barman, un'altra alla ragazza della reception, un'altra ancora alla persona della security. Tutti, insomma, sfruttano la situazione finché possono ma nessuno di questi, rischierebbe nulla per proteggere una jinetera".
"Perché si diventa jineteri?" chiesi cretinamente.
"La ragione -disse il nordista- è solamente una: la voglia di avere tutto quello che è possibile e senza faticare troppo".
Il romano ringhiò un ciao lasciandoci soli. Lo vedemmo allontanarsi verso la spiaggia alla ricerca della sua prossima conquista.
"Buffo, vero?" disse il nordista. "Non so" risposi sconcertato.
"Adesso ti faccio io qualche domanda per rendermi conto di cosa cerchi e se il mio aiuto ti occorre davvero - disse il nordista- E' la prima volta che vieni qui e lo si vede. Vorrei sapere se ha conosciuto qualcuno, che impressione ti sei fatto e cosa stai cercando".
Raccontai le mie emozioni ma non erano considerazioni già preordinate. Fuggivano dalle mie labbra nell'esatto momento in cui aprivo bocca. Gli dissi che avevo sempre pensato a Cuba come ad un bell'esempio di coraggio, per via della lotta che aveva intrapreso contro quasi tutto il mondo, dall'epoca della rivoluzione popolare dei barbudos. Avevo letto qualche testo sull'argomento e qualche altro sulla politica cubana che mi avevano dato una infarinatura su quella realtà che, ora, stavo assaporando. Raccontai di sapere la facilità di fare del sesso ma, seppure la cosa m'interessasse, non avevo il coraggio di abusare delle ragazze in quanto mi sarei sentito colpevole di uno sfruttamento, dovuto per lo più, al potere del danaro. E, quindi, avevo fino ad allora, rifiutato di accompagnarmi a bellezze tropicali molto coinvolgenti. La mia sensibilità, anzi, era cresciuta, facendomi vivere di riflesso, le preoccupazioni della gente del posto. Avrei, insomma, desiderato fare qualcosa per loro, per aiutarli oltre alle mie possibilità. Ma fino ad allora, ero rimasto solo con i miei pensieri che non mi facevano sentire ne carne ne pesce, stonandomi così, dal nucleo sia dei turisti che da quello dei cubani. Trovavo difficoltà a tradurre le mie sensazioni in parole perché, queste, non riuscivano a dare la giusta collocazione al mio incrocio di sentimenti e vibrazioni che provavo. Vivevo dei momenti esclusivamente miei mentre osservavo un tramonto che saliva alto nel cielo, così come ritrovavo gli stessi sapori, mentre osservavo i jineteri darsi tanto da fare per guadagnare dollari dai turisti. Insomma, mi sentivo coinvolto nella loro realtà rifiutando, però, qualsiasi ruolo nella stessa. Era come impazzire senza sentirsi addosso nessuna identità. Raccontai di Rayko e quanto fino ad allora mi aveva spiegato e terminai confermando la mia volontà nel conoscere più a fondo la realtà che avevo appena iniziato a sfiorare
Il nordista accennò ad un vago sorriso e s'accese una sigaretta dal forte tabacco nero. "Sai, ho proprio l'impressione che tu sia stato contagiato dalla febbre dell'isola -disse ridendo- E' quella fase che io definisco di innamoramento per tutto ci che si riferisce a Cuba". Rimasi in silenzio osservando una mosca svolazzare sul bordo del bicchiere del cocktail ormai vuoto. "In poche parole, dici che sono...come dire, innamorato di Cuba?" replicai.
"Quello che tu provi, molti italiani lo hanno vissuto prima di te. Non devi sentirti unico. Ti sei mai chiesto perché tanti italiani ritornano diverse volte su quest'isola? Te lo spiego. Iniziano la scoperta durante il primo viaggio, ma il più delle volte é a causa di una ragazza che li fa innamorare. Girano, come t' ho detto prima, amore eterno. Anche se questa è la prassi, le ragazze la rinnovano ogni settimana ad ogni turista che riescono a conquistare. Comunque vadano le cose, Cuba non ammette vie di mezzo: o la si adora o la si odia. Coloro che ne sono stati rapiti dalla sua bellezza, dai suoi ritmi, dai suoi colori, ritornano per rivivere queste emozioni. Ed ogni volta arricchiscono il loro bagaglio personale di nuove esperienze e conoscenze che, come un intruglio magico, si miscelano una volta tornati in Europa. E questa pozione esplode in una sorda nostalgia, in un amore impossibile, in un caleidoscopio di emozioni difficili da controllare e raccontare. S'innesta solo una complicità fra coloro che provano le stesse sensazioni e gli stessi sentimenti e che, magari, si trovano sull'aereo che li sta portando qui".
Vidi in lontananza il romano che si stava accompagnando con la ragazza bionda che ci era passata davanti prima.
"Però -obiettai- molti vengono a Cuba solo per il sesso fine a se stesso. Non mi sembra la stessa cosa di chi ritorna solo per l'amabilità della gente cubana".
"Il sesso, il sentimento...che differenza fa? E' poi una caratteristica soggettiva insita in ognuno di noi a creare le giuste motivazioni che occorrono per darci una giustificazione dei nostri gesti. Chi viene qui solo per fare del sesso è come colui che viene a Cuba per coltivare un amore. Non c'è differenza. Tutti sfruttano quello che desiderano a seconda delle loro emozioni".
Stavo osservando l'allungarsi delle ombre per terra. Tra un pò sarebbe scesa quasi improvvisa la notte tropicale; in sottofondo si poteva ascoltare un trio che stava provando le musiche che avrebbe suonato questa sera ai turisti, dopo la cena al buffet. Il nordista iniziò a guardarsi in giro, segno inequivocabile che il tempo che aveva concesso alla mia sete di sapere, si era esaurito. "Comunque -continuò- stasera potremmo uscire insieme. Conosci la discoteca Havana Club?". Scossi la testa in segno di negazione. "Resta al centro di Varadero ed è uno di quei luoghi dove capirai meglio ciò che ti ho detto. Ci vediamo al bar verso mezzanotte e mezza, prima non ne varrebbe la pena. D'accordo?". "Non sono proprio un tipo da discoteche -risposi- ma sono curioso di vedere cosa succede. A proposito, non ci siamo ancora presentati: io mi chiamo Claudio". "Pierluigi" rispose e con una mezza giravolta sulla punta delle scarpe uscì dalla mia vita in quel bar della piscina, lasciandomi pensoso. Avevo bisogno di una doccia e di aria condizionata.
Una vecchia De Soto del 1948 dall'incredibile massiccia carrozzeria color crema ruggine, ci stava conducendo verso il centro di Varadero. Pierluigi aveva contrattato il prezzo con un ragazzo mulatto dall'aria stanca. Con soli tre dollari potevamo viaggiare, quasi comodi, su di una vettura che aveva quasi mezzo secolo di vita. L'interno non esisteva quasi più. I pannelli erano di cartone e compensato ed erano tenuti tra loro da massicce dosi di filo di ferro. Era la prima volta che utilizzavo una macchina particular ma, a parte il penetrante odore di carburante che mi faceva girare un pò la testa, non avevo che di lamentarmi. Era anche la prima volta in sette giorni che lasciavo l'albergo di sera. Fumi grigio-azzurrini emessi da altre vetture d'epoca coloravano l'aria umida di una qualsiasi notte cubana. Il traffico si formava nonostante l'ora notturna a causa di vetture che si fermavano in panne in mezzo alla strada o a conducenti che si mettevano a chiacchierare fra loro, escogitando il sistema di svoltare la serata. Buik, Chevrolet, De Soto, Ford e quant'altro c'era stato nella produzione nordamericana durante gli anni '40 e '50, si confondevano con le più recenti Lada e Moskovich degli anni '70 e '80 importate dall'Est. Le luci degli alberghi si fondevano con quelle di alcuni locali aperti ai turisti e con quelle delle tiendas Tekade aperte a tutti. Per la lunga striscia d'asfalto che attraversava la località come una precisa scriminatura, camminavano mollemente centinaia di ragazze all'ossessiva ricerca del turista. Erano tutte vestite alla stessa maniera: pantacollant elasticizzati dai colori sgargianti, bolerini di strech che mettevano in risalto seni più o meno prosperosi, scarpe con tacchi vertiginosi, cascata di treccine che non coprivano volti disegnati da trucchi incredibilmente marcati. Ogni tanto, un capannello di gente si accalcava davanti ad un chiosco dove si poteva cercare riparo dalla sete, ordinando birra e succhi di frutta. Pierluigi rise e, voltando dalla mia parte domandò "Allora? Sembra di essere a Rimini di ferragosto? Vedrai all'entrata della discoteca..." e si girò per guardare una jinetera in mezzo alla strada.
L'entrata dell'Havana Club era incredibilmente affollata. Due ali di ragazze e ragazzi facevano da corona al vialetto che conduceva all'ingresso del locale. Trenta metri di persone disposte a tutto pur di regalarsi una serata all'insegna di un divertimento a loro proibito. I ragazzi cercavano di attaccare ogni turista che transitava loro davanti per raggiungere il portoncino della discoteca, proponendo ogni tipo di affare: sigari, ragazze, auto particular, case...tutto sempre sotto l'insegna del dollaro. Le ragazze, dal canto loro, erano messe in bella mostra per vendersi al miglior offerente, richiamando l'attenzione con sorrisi e schiamazzi per farsi, così, scegliere. Riconobbi, tra i tanti, Rayko che, vedendomi, mi raggiunse. "Ehi, italiano, bella sera!" disse con un vago accento del nord Italia. "Si, credo anch'io" risposi sorridendo. "Ascolta. Ti presento mia cugina Fidelia. E' qui da un paio d'ore ed aspetta di entrare in discoteca ma non ha i cinque dollari per pagarsi il biglietto. L'accompagni tu?" e senza attendere la mia risposta, chiamò una ragazza che stava conversando in mezzo ad un gruppo di jinetere. Fidelia era di una bellezza incredibile. Mulatta dalle proporzioni esatte, aveva degli incredibili occhi neri messi in risalto da un sapiente ma leggero trucco. Una minigonna nera metteva in risalto un paio di gambe lunghe e ben tornite così come, un corpetto di pizzo sempre nero, le modellava il busto evidenziandole un bel seno eretto. Le treccine erano accuratamente racchiuse da una bandana che le riuniva a se, per evitare che la massa lanosa si spargesse per tutta la schiena. La bocca era accuratamente dipinta con un rossetto lucido che faceva da contrasto con la pelle vellutata color caffelatte. Mi sorrise e parlò con Rayko molto velocemente. Poi si presentò "Ciao. Mi accompagni dentro? E' molto che aspetto ma nessuno mi fa entrare...". Osservai con la coda dell'occhio il gruppetto di persone dal quale Fidelia si era staccata. Stavano anche loro osservando la scena per vederne il finale. Pierluigi, invece, stava chiacchierando con una ragazza che, sembrava, conoscesse già.
"Si non c'è problema" dissi. Fidelia si mise istantaneamente sotto braccio come un predatore che ha ghermito la sua preda. Mi sentivo strano. Era una bellissima ragazza che mi sarebbe piaciuto conquistare, ma non volevo assolutamente comprare il suo amore. Mentre pagavo l'ingresso pensai -forse per mettermi a posto la coscienza- che stavo facendo un gesto di generosità e che non avrei voluto ricevere nulla in cambio. Ma non sapevo che quello era l'inizio di un'avventura.
CONTINUA
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