Magazine Diario personale

100 $ per un amore

Da Astonvilla
100 $ PER UN AMORE
"Ti capisco -replicò il nordista-. Ci costringono a vivere quasi ghettizzati. E' il motivo per il quale, noi che amiamo Cuba, ci ritroviamo felici di parlarne e di sfogarci, raccontandoci le nostre esperienze ed emozioni". La serata volgeva al termine e, anche se non avevo ricevuto notizie specifiche sull'Avana, l'incontro con Pierluigi aveva avuto il merito di farmi scaricare di tutta la tensione che avevo incamerato. Pierluigi era un ottimo compagno di avventura. Sapeva come e quando farmi sfogare, così come calibrava i suoi interventi al fine di non prevaricarmi, eveitandomi così, ulteriori mortificazioni. Decidemmo di chiudera la serata brindando alla nostra isola, nella certezza che ci saremmo rincontrati quanto prima.
I giorni srotolavano lentamente in piena monotonia. In modo quasi automatico ripetevo gli stessi gesti quotidiani: sveglia, traffico, lavoro, televisione. Brividi di eccitazione attraversavano il mio corpo solo quando, a causa di associazione di idee, avevo modo di ripensare a Cuba. Avevo già minuziosamente visualizzato i preparativi per la mia partenza, la permanenza in aereo, il mio arrivo all'Avana, il mio incontro con Fidelia. Come un provetto sceneggiatore avevo costruito i dialoghi che si sarebbero intrecciati. Come un bravo scenografo avevo impiantato le ambientazioni che avrei utilizzato durante il mio soggiorno. Ed, infine, come un regista, avevo assemblato i miei desideri, le mie fantasie e le mie emozioni in un unico grande sogno.
Da mesi, avevo iniziato ad amare la letteratura del centro e sud america, divorando pagine di Amado, Prieto, Neruda, Martì. Ma mi trovavo legato visceralmente a 'Latinoamericana', il diario di Ernesto Guevara, scritto durante il suo primo viaggio attraverso il continente sudamericano, effettuato agli inizi degli anni cinquanta, quand'era ancora studente di medicina e non il guerrigliero che il mondo avrebbe scoperto qualche tempo più tardi, ed effiggiato col nomignolo 'Che'. Ritrovavo, in quelle sue pagine, non una cronaca di fuga ma un desiderio di conoscenza che lo metteva sullo stesso piano degli antichi esploratori. Mentre in questi il desiderio era solo dettato da una bramosia di ricchezza e celebrità, in Ernesto Guevara, era una ferma presa di coscienza contro lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, derivato dal potere capitalista ed imperialista che si appropriava delle ricchezze, della dignità e delle vite di masse di popolazioni brutalizzate fino all'inverosimile per soddisfare, sempre più, i grandi bisogni delle compagnie multinazionali che, spesso, avevano il potere di pilotare le politiche dello Stato di turno da sfruttare, fino alla sua completa sottomissione. Non più la epica di Hemingway, non più i sogni di Salgari, ma la drammaticità espressiva di un ragazzo che, a bordo di una sgangherata moto, aveva varcato con l'amore, i confini dell'essere per giungere a quella posizione, in seguita definita internazionalismo, dov'era un dovere di tutti gli oppressi di unirsi nella comune lotta contro la fame, la miseria, la brutalità della forza imperialista, fino a giungere alla libertà dell'essere.
Mi resi conto che, pur se stavo fluttuando pericolosamente sull'orlo di utopie politiche, questo dolce pensiero mi concedeva la forza della consapevolezza. Era questo, un altro aspetto della mia crescita come individuo: sapere che c'erano stati ed ancora esistevano, mondi di sfruttati e sfruttatori. Non che avessi potuto risolvere i problemi del mondo ma, il solo pensiero di aver amalgamato una ideologia positiva, mi faceva stare bene con me stesso e stava trasformandomi lentamente. Scoprii che avevo iniziato ad osservare ke cose stto un'altra ottica. Perfino alcuni miei atteggiamenti si stavano modificando a causa di quella coscienza politica con la quale non avevo mai imparato a convivere. Il pericolo, però, era quello di divenire un patetico paladino senza null'altro da fare che compatire se stesso per la propria inutilità. Dovevo rimanere razionale, sensibile ai miei comportamenti, fino a gestirli in piena armonia tra persone e cose. Ma la brutalità della vita caotica e disordinata, prendeva il sopravvento ogni qualvolta mi proponessi di assoggettarmi a quei proponimenti che tanto mi identificavano con la figura eroico guerrigliera e, il Simon Bolivar, che regnava in me, mi faceva vergognare ogni qualvolta me ne rendessi conto.
Guardai l'ora meccanicamente. L'allarme della suoneria era appena scoccato ma ero già sveglio, dopo aver passato una notte quasi insonne. Il dormiveglia che affiancava solitamente l'eccitazione che precede un evento, era stato mio compagno in quell'ultima sera passata a Milano. Da li a qualche ora sarei partito alla volta di quell'atteso ritorno a Cuba. I bagagli erano già pronti, preparati la sera prima. Avevo, negli ultimi giorni, controllato più volte i miei documenti di viaggio constatando, con disappunto, che alla dogana di Varadero, l'addetto al servizio di controllo, aveva apposto un anonimo timbro forgiato a mò di mezza luna con una stella nel mezzo, al momento della mia registrazione. Mi riproposi di chiedere, questa volta, un bel timbro lineare dove fosse impresso chiaramente l'aeroporto di arrivo, in quanto, non avevo nulla da nascondere a chicchessia. In fretta ultimai i preparativi e corsi al telefono per chiedere un taxi che mi conducesse a Linate. Il cuore mi batteva velocemente appena, terminate le operazioni di imbarco, attraversai la dogana dello scalo milanese. Ero giunto all'interno della zona franca dove i negozi attendevano viaggiatori in partenza per ogni parte del mondo. Nel duty acquistai un paio di stecche di sigarette insieme a giornali e riviste. Non che avessi l'intenzione di leggerle a Cuba ma, all'interno dell'aereo, mi avrebbero aiutato ad ingannare il tempo. Avevo suddiviso idealmente, il volo, in varie fasi: la prima, era la partenza vera e propria per Madrid. Un paio d'ore di volo sarebbero passate velocemente fra letture e spuntini. La seconda era la meno stressante: dovendo cambiare aeromobile ed avendo poco da attendere per la partenza del volo intercontinentale, sarebbe stato sufficiente bighellonare un pò tra i duty dello scalo madrileno. Ma il periodo interminabile si concretizzava nella terza fase. Quasi dieci ore passate a cavallo di due film, uno spuntino ed una cena, prevista dalla Iberia. Era la prima volta che utilizzavo i suoi servizi, ma i consigli di Pierluigi, erano stati categorici circa la scelta della compagnia. Sapevo già, che il tempo in volo, si sarebbe apparentemente fermato ma, comunque, sarebbe passato e sarei giunto a destinazione. Sollevato da questo pensiero, varcai il gate di imbarco e salii sul mio aereo, dove conobbi Roberto.
Eravamo vicini di sedile e bastò poco per capire che viveva i miei stessi turbamenti. Lavorava in una agenzia di viaggi e, proprio grazie alla sua professione, poteva godere di alcuni vantaggi tariffari che lo avevano agevolato in molti voli per Cuba. Mi raccontò di avere una relazione con una ragazza di Trinidad che lo stava attendendo all'Avana. Tra racconti e confessioni le dieci ore per l'Avana, sarebbero passate più velocemente.
"Io credo -disse mentre finiva di mangiare un biscotto- che il vero problema è il comunismo. Se Cuba si ribellasse al regime di Fidel, potrebbe godere di enormi vantaggi commerciali oltre alla libertà, che è totalmente assente dall'isola. Ti pare giusto che un cubano se vuole espatriare non può avere questo diritto?".
Questa era spinosa questione della realtà cubana che conoscevo e sulla quale non sapevo cosa rispondermi. Il mio silenzio fu interpretato come un assenso a questa affermazione e mi rese complice inconsapevolmente, del suo punto di vista. Continuò:" Gli Stati Uniti ed il mondo intero,potrebbero far cessare immediatamente l'embargo con notevoli ed immediati vantaggi economici, creando una benessere adesso sconosciuto, solo se il regime dittatoriale fosse eliminato".
Avevo degli appunti a tal proposito, che esternai immediatamente. "Non credi -dissi- che se si avverasse quello che tu auspichi, Cuba si trasformerebbe in una pseudo colonia nordamericana, magari governata da uno stato fantoccio, perdendo in questo modo, la sua peculiarità che la identifica, riportandola al tempo del regime di Batista?".
"Sei forse un comunista?" chiese con una smorfia.
"Non è una questione ideologica -replicai- quello che conta è, pur tra ingiustizie e sofferenze, Cuba dal 1959 ha la sua dignità nazionale che la puoi riscontrare attraverso dei risultati che ha acquisito. Ha eliminato l'analfabetismo, la mortalità infantile, lo stato -nonostante l'embargo- funziona in modo assistenziale, la medicina è all'avanguardia, come la cultura, lo sport...insomma dopo quant'anni di strangolamento economico mondiale, non si può chiedere di più".
"Sicuramente ci sono vantaggi e svantaggi come in tutte le cose" rispose imbarazzato.
"Vedi? Non si può giudicare tutto, tenendo conto dell'aspetto estetico delle cose. Capire vuol dire analizzare da più parti l'oggetto che ci interessa per metterci nella condizione di valutare in modo poliedrico, l'insieme delle cose. Ma, per tornare a Cuba, non bisogna censurare modi e maniere di fare politica, così solo per il gusto di farlo o per prevenzione. E' solamente un luogo comune che si ha per abitudine e, così facendo, si strumentalizza in un modo o nell'altro, una realtà storica e politica che ha radici profonde. Non è da Fidel che bisogna partire, bensì dalla prima fase del colonialismo spagnolo".
Roberto annuì distrattamente e si accesa una sigaretta. Di fronte a noi, uno schermo, mostrava una elaborazione computerizzata che delineava il nostro tragitto, man mano che questo si stava compiendo. Su di una cartina schematica si riconoscevano l'Europa ed il continente Americano. Un piccolo aereo stilizzato che si muoveva impercettibilmente ci indicava il punto della rotta che avevamo raggiunto.
"Dove ti stabilirai?" chiese Roberto cambiando il senso del discorso.
"All'Avana, in una casa particular al Vedado. E tu?" rimandai.
"Vado a Trinidad qualche giorno, poi mi avvicino all'Avana. Ho preso una casa a Playa dell'Este".
Playa dell'Este: rammentai quello che mi aveva suggerito Pierluigi a proposito delle località che si affacciano in questa zona, riproponendomi di passarci almeno un paio di giorni. Si abbassarono le luci ed iniziò la proiezione di un film poco interessante. Roberto si era assopito e restai senza compagnia. Comincia ad osservare i passeggeri intorno a me. Per ognuno immaginavo una storia, un nome. Alcune coppie sicuramente in viaggio di nozze. Lo capivo dagli sguardi innamorati e ardenti di passioni e dalle fedi di un oro nuovo, mai usato. Le camice a fiorellini, i jeans di marca, le Superga ai piedi. Erano il prototipo esemplare delle coppiette in luna di miele. Li avrei rincontrati al mio ritorno e li avrei riconosciuti nonostante l'abbronzatura patinata e le treccine che lei si sarebbe fatta fare in riva al mare in cambio di dieci dollari.
Vidi anche signori di una certa età soli con i propri pensieri. Vagavano nella loro memoria alla ricerca di amplessi sudati in una spiaggia caraibica.
Lo sguardo mi cadde su di una ragazza cubana. La pelle ambrata da secoli di sangue misto, gli occhi di un nero liquido, le lunghe trecce cadenti sulle minute spalle e sopra ad un prominente seno che fuoriusciva da una camicetta generosamente aperta sul davanti. Rientrava sicuramente, dopo una escursione nella terra del benessere e della libertà, da un invito fattole dal suo uomo italiano che si era beato di una graziosa parentesi esotica. Questa novia, ora, tornava con le valige piene di articoli di abbigliamento, saponi, profumi, medicine. Presto sarebbero divenute merce di scambio con fagioli, riso e pollo. Avrebbe continuato a fare la jinetera, magnificando con le sue amiche, la bella vita che aveva vissuto in Italia e, raccontando loro, del futuro matrimonio che ne avrebbe definitivamente cambiato l'esistenza. Ma, in cuor suo, sapeva che oltre alla realizzazione del sogno di espatriare quell'unica volta, forse, nella sua vita, nessun altro miracolo si sarebbe realizzato a discapito di tutti gli Horisha supplicati e sarebbe finita, dopo anni di facile prostituzione, per divenire la sposa di qualche manesco cubano dal quale avrebbe, probabilmente, divorziato per riaccasarsi con chissà chi. Il pacchetto di sigarette era quasi terminato, come la mia pazienza. Mancavano ancora un paio d'ore all'atterraggio e stavamo sorvolando le Bermuda. Il personale di bordo passò per l'ultima volta con i carrelli a distribuire bibite e sorrisi.
Poi, ci fu solo il sole dell'Avana.
CONTINUA

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