Sono riuscito a vedere questo film proprio poche ore prima della sua nomina a miglior film dell’anno secondo gli Accademy Awards americani. Partito subito lanciatissimo per ricevere la statuetta d’orata, il film incarna in pieno quegli ideali statunitensi tanto di moda nell’attuale epoca Obama: lo sguardo al passato non proprio felice del Paese, il problema dell’integrazione, la vecchia diatriba schiavista tra nord e sud degli states risolta a suo tempo, almeno in parte, dal Presidente Lincoln. Prevedibile quindi il premio a questo film, che tocca nervi e ferite scoperte dell’America, cosa che ai giudici piace sempre un bel po’. Lo stesso tema quest’anno era toccato anche da The Butler, anch’esso candidato ma tornato a casa a bocca asciutta, che vedeva la storia del razzismo e del (semi)schiavismo attraverso gli occhi di uno dei maggiordomi della Casa Bianca, partito da bambino come raccoglitore di cotone nel sud.
Storia simile, ma opposta. In The Butler il protagonista non è mai stato uno “schiavo”, semmai sottopagato e sfruttato, ma in definitiva libero. 12 anni schiavo, invece, racconta la vita di Solomon Nortup, afroamericano libero del nord degli USA, che viene ingannato, rapito e messo in catene nel sud per 12 anni. Una vita cancellata in una notte, mentre al mattino gli era già stata assegnata l’identità di Plat, schiavo del sud. Plat viene venduto a un giovane ricco (interpretato dal nostro amato Benedict/Sherlock) che si dimostra essere una brava persona, anche se molto ipocrita. Pur considerando i neri degli esseri umani come tutti, infatti, rimane comunque uno schiavista che compra e vende esseri umani. Dopo di lui, Plat passa nelle mani di uno schiavista molto più duro (interpretato da Fassbender), che non si fa problemi a usare la frusta e la violenza spicciola.
Con il passare degli anni Plat sembra quasi dimenticare di essere stato Solomon, uomo libero a New York e non vede altro che la vita da schiavo. Se prima prova a dire qualcosa, dopo 12 anni non ha il coraggio di alzare la testa, complici le cicatrici che si porta sulla schiena.
Parlando in modo molto schietto e non pensando che questo film ha trionfato agli oscar 2014, però, la pellicola è piuttosto ben realizzata, ottima la regia, storia avvincente e finale strappalacrime, ma…gli elementi a suo sfavore non sono certo da meno. Il film è tratto da una storia, ma questo non la rende meno trita e ritrita di quanto non sia. Sebbene il tema sia delicato, vedere un film sulla schiavitù in America, ormai è diventato come vederne uno sulla mafia qui in Italia…abbiamo capito, non c’è tutto questo bisogno di farne degli altri. La seconda critica, forse la più pesante va al suo protagonista, l’inglese Chiwetel Ejiofor (ho fatto fatica a scriverlo e non credo che lo saprò mai pronunciare), che oltre a essere di un’inespressività disarmante (mantiene la stessa faccia quando ride, quando piange, quando soffre e quando suona il violino) è veramente anonimo, tanto da non sembrare il protagonista ma una sorta di connessione/guida fra i vari personaggi della storia, tutti molto più carismatici di lui. Dall’altra parte i personaggi che fanno da contorno a Solomon spesso sono la caricatura di loro stessi: Fassbeneder è il bianco ultra cattivo, senza sentimenti, che crede che Dio sia dalla sua, che si tromba le schiave eccettera eccetera; Brad Pitt è il salvifico uomo buono, pieno di candore e che non dice mai “chitteseincula?”.
12 anni schiavo è un film che dovrebbe saper emozionare e commuovere il più duro degli uomini, ma risulta freddo, troppo distaccato. La mia amica che piange sempre al cinema (ha pianto anche nel finale di The Lego Movie per farvi capire – scusa Elo dovevo) qui non si è emozionata. Razzista? No, semplicemente il film non scende nella profondità delle emozioni, favorendo all’impatto emotivo una sceneggiatura molto lineare e piatta.
In conclusione: il film non è totalmente da buttare via, anzi alla fine è anche abbastanza carino, ma in lista con lui la notte degli oscar ce n’erano sicuramente di più belli.