Stefano non aveva reagito.
Luna si era accomodata in cucina e si era servita una bibita ed era stata ad osservarlo, in silenzio.
Arrivarono anche Mattia e Marcello, poi Silvia e Patrizia portando qualcosa da mangiare, e Luca, che aveva lasciato Claudio con Giorgio, in questura.
Giorgio aveva trovato il professore accasciato vicino alla portafinestra e aveva chiamato l’ambulanza.
Probabilmente l’anziano artista era appena entrato nello studio, di solito il venerdì dormiva lì, e la moglie l’aveva salutato nel pomeriggio e non lo aveva sentito più. Lo studio aveva un telefono nell’anticamera ma quando lavorava, il professore non rispondeva e generalmente nessuno lo disturbava, se non per qualcosa di urgente.
Stava preparando una mostra delle sue opere e dei suoi allievi, una specie di lavoro corale, e i ragazzi avrebbero dovuto esporre con lui in Veneto, alla fine di settembre.
Adesso non si sapeva nemmeno se la mostra ci sarebbe stata e i ragazzi erano affranti.
Stavano seduti sul divano smozzicando parole, fumando attorno a una ciotola di noccioline, ricordando le vicende avvenute negli anni di Accademia, le lezioni tuonate sul soppalco, le discussioni animate, il nuovo interesse per la Transavanguardia e i timori nei giorni degli esami. Qualcuno aveva preparato il caffè. Un altro aveva scovato la scatola del lievito e aveva cominciato a far girare una canna. Ridevano e poi piangevano, alternando rispettoso mormorio a scoppi d’ilarità nervosa e fuori luogo. Era una veglia in piena regola!
Da ore Stefano non rispondeva, sedeva sullo sgabello girevole scarabocchiando sul foglio di Fog, che aveva abbandonato all’arrivo di Luna. Ripassava linee immaginarie cercando di spiegarsi perché mai l’erba non lo rincoglionisse tanto da zittire le voci di tutti.
Antonio era giunto per ultimo, portando delle bottiglie di vino rosso che aveva sottratto dalla cantina del padre. Tra Antonio e Luna c’era stato uno scambio di sguardi carico d’imbarazzo prima che lei riaffondasse nel divano. Stefano li aveva sbirciati con curiosità, attraverso la cortina dei capelli spioventi, e poi aveva ripreso a girare sul suo sgabello, producendo un cigolio quasi musicale.
Verso le 10 e mezza di sera Mario era rincasato, assieme a Claudio, che aveva incontrato nei corridoi della Questura di via Fatebenefratelli. Era stato di turno e sapeva tutto, tanto che non si era sorpreso di trovare riunita in casa tutta la compagnia: «Una volante sta riaccompagnando Giorgio a casa, a saperlo chiedevo ai ragazzi di lasciarlo qua…», aveva detto slacciando il primo bottone della camicia della divisa e andando a cambiarsi. Giorgio era stato interrogato dalla polizia come testimone del ritrovamento del cadavere. Sapere la vicenda dalla bocca di Claudio era più interessante, così i ragazzi avevano preso a parlare tutti assieme. Qualcuno aveva acceso la radio di cucina, per sentire se comunicavano la notizia della morte dell’artista, al radiogiornale.
Affamato, Mario propose una spaghettata e il trambusto ai fornelli trasformò la serata in una specie di festa.
Senza attirare l’attenzione Stefano era andato in bagno: la sua idea era di sgattaiolare fuori di casa e andarsene da qualche parte. Era nauseato da quella pantomima, non gli importava niente di nessuno. Erano attori patetici.
Guardandosi nello specchio aveva ricordato i progetti che lo avevano caricato di speranza, soltanto una decina di ore prima. Il suo unico appiglio all’Arte non esisteva più. L’unico ad avergli dimostrato interesse, ad aver capito il suo valore, ad aver almeno provato a farlo uscire dall’anonimato, a tendergli la mano, era morto! Se c’era stato qualcosa di buono… E quella era una stronzata bella e buona! Una cattiveria nello stile del vecchio! Una stupida vendetta ed era tutto così assurdo che c’era da ridere, da scompisciarsi, da sbattere la testa al muro! Ma non poteva farlo, perché di là c’era una combriccola di stronzi che lo giudicavano, che lo osservavano per vedere che avrebbe detto, perché sapevano tutti che era un ingrato! Lo spingevano da mesi ad andare dal professore ma non c’era stato nulla da fare, Stefano era il fallito, lo scopatore di pazze, quello che non era stato capace di dire niente in tutto il pomeriggio, girando come un idiota sullo sgabello!
Anche attraverso i muri poteva udirli i loro pensieri, per non parlare degli sguardi con cui l’avevano scrutato, colmi di rammarico! E l’ironia che nascondevano nei sorrisi di circostanza? Chissà quante risate alle sue spalle! Bastardi! Bastardo il Prof che era morto, proprio ora che si era deciso ad abbassare quella cazzo di testa! …. Di testa!…. Di testa!….
«No, Stefano no! », aveva urlato Luna entrando nel bagno.
Aveva alzato la testa. c’era un’incrinatura nello specchio e Stefano vide la propria fronte insanguinata, riflessa a pezzi, attraverso le crepe. Luna aveva chiuso la porta, afferrando l’asciugamano, mentre lui sedeva sul bordo della vasca, confuso.
Mentre la ragazza gli tamponava la ferita, Stefano si era abbandonato contro di lei, sfinito.
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