Magazine Racconti
"Possibile che senza di me non sai stare neanche un giorno?" disse ridendo Laura infilandosi la t-shirt con stampata la mela verde e la scritta The Beatles. Gabriele seduto a bordo del letto, la guardava rivestirsi, le mani incrociate fra le gambe aperte, gambe nude, vestito solo dei boxer di cotone bianco e dei calzini scuri che arrivavano poco sopra la caviglia. Voltandosi verso di lui Laura, lo notò pensieroso ed era una cosa di lui che proprio non sopportava, lei che ora era letteralmente al settimo cielo per quello che ancora una volta c'era stato fra loro, mentre lui indossava un'espressione cupa e lontana. Gabriele si toccò il mento con la mano sinistra alzando lo sguardo verso il soffitto bianco della piccola camera di quell'alberghetto di provincia, cercando di evitare gli occhi indagatori di lei.
Presa la giachettina che era adagiata sulla spalliera della sedia Laura la tirò verso di lui con fare giocoso, cercando di coinvolgerlo in quella sua gioia "Il solito musone! ...dai che te la cavi ancora bene in certe cose!" "Me la cavo? E così me la cavo solo?" e intanto le afferrò il polso "Senti, senti la signorina Garbo... da quand'è che è diventata così esigente la piccola Lolo?", si alzò in piedi cercando di afferrarla a lui, mentre giocavano in quello che doveva essere una sorta di guardia e ladro, lei gli scappò dalla stretta, ma subito lui la prese di nuovo, stavolta in braccio e la sollevò da terra, anche se solo di qualche centimetro, visto quanto lei era alta. Poi la baciò sul collo e le disse: "Dai, vestiti. Che ti porto a mangiare in un posto qui vicino in cui sono stato qualche anno fa..."
I due si rivestirono lentamente assieme, in una sorta di danza, guardando in silenzio l'immagine che lo specchio grande quanto l'intera parete del bagno restituiva di loro. Poco alla volta, quella differenza d'età che lo specchio rifletteva si faceva sempre più evidente, indumento dopo indumento: una ragazzina in t-shirte jeans a fianco di un uomo in giacca e cravatta.
Al ristorante Gabriele ce la portò per davvero prima di condurla in quella vecchia fabbrica abbandonata che nonostante tutto conservava quel fascino lugubre che solo le costruzioni industriali di inizio secolo sanno trasmettere attraverso le loro pareti in calcestruzzo scrostato ed altre di mattoni su cui piante rampicanti si aggrappano scavando la malta polverizzata delle fessure che si interpongono fra mattone e mattone.
Al ristornate pranzarono fuori, sotto una vigna, anche se non la giornata non era una di quelle migliori, non era caldo ne c'era il sole, ma un cielo lattiginoso, di un grigio uniforme. Però fuori il piccolo cortile vestito dei colori autunnali meritava di sopportare un poco di freddo.
Bevvero molto, forse per scaldarsi, forse, entrambi, per non pensare. Poco alla volta, però anche a Laura salì la tristezza che accompagnava l'uomo che le sedeva di fronte a quel tavolo ben apparecchiato, che nonostante i suoi tentativi per mascherarla, continuava a conservare. Parlarono per lo più di sciocchezze, anche se lei pur conoscendo ciò a cui andava incontro, non potè sottrarsi dal sapere certe cose della vita di lui: come se la passava, come stava il ragazzino a cui aveva impartito lezioni di italiano, matematica, storia e scienze per più di due anni. Ma ciò che più le premeva sapere era come andasse il rapporto fra lui e sua moglie. E prevedeva cosa lui le avrebbe risposto, perchè molte altre volte si era avventurata in quei discorsi, nutrendo però sempre la speranza che le risposte di lui potessero cambiare, ma anche stavolta le frasi che gli sentiva pronunciare con la sua solita tranquillità e fermezza, erano sempre le stesse. E lo odiava in quei momenti, odiava il fatto che nonostante tutto lui continuasse a scegliere lei e di più ancora odiava che lui parlasse di quel rapporto, a lei, in quel modo. Per lui era normale non filtrare quello che le raccontava, si confidava senza il minimo scrupolo proprio come se la persona a cui stava raccontando certi dettagli della sua vita privata non fosse la donna che era innamorata di lui, ma solo un vecchio amico, senza pensare che ciò che diceva in realtà la ferisse. Lei intanto cercava di fare la forte, incassando in silenzio verità che le procuravano una sensazione simile a quella di essere trafitta da spade a cuore e stomaco. Terminarono il pranzo parlando di altro, ma ormai entrambi erano avvolti da un certo malumore che li attanagliava, anche se dal sapore molto diverso, lei quello di sentirsi una stupida, perchè nonostante tutto non riusciva a chiudere con un uomo che non l'amava, lui perchè si sentiva uno stronzo a farle questo e molto presto di peggio.Brigitta Destro
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