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Creato il 14 marzo 2013 da Malvino
La Lista Amnistia Giustizia Libertà ha ottenuto 63.147 voti al Senato (0,20%) e 64.709 voti alla Camera (0,19%). Sono numeri che non avrebbero bisogno di alcun commento, ma Marco Pannella mi fa intendere che gradirebbe il mio. A dire il vero, me lo fa intendere in modo obliquo, con uno degli abituali incisi che ormai da qualche anno dedica a Malvino nel corso delle sue conversazioni domenicali con Massimo Bordin, quasi sempre con riferimento alle critiche che più volte ho mosso da queste pagine all’involuzione settaria della «cosa radicale».
Ormai c’è un tacito accordo, tacitamente pattuito. Fa cenno alle mie accuse di aver ridotto l’area radicale a un convento di frati segaioli e inconcludenti? Vuol dire che gradirebbe un mio parere sullo statuto della Lista Pannella, che in pratica è la cassa in cui sono finiti vent’anni di finanziamenti pubblici, e senza che nessuno avesse la possibilità di metterci naso. Contesta le mie obiezioni allo stravolgimento che i suoi digiuni fanno della teoria gandhiana? Vuol dire che mi invita a rivelare i trucchetti coi quali finge d’esser moribondo ad ogni satyagraha. Bofonchia che ispirerei le critiche che sempre più rumorose si levano dalla base a lamentare la sua gestione autocratica del movimento? Vuole che ne spieghi il substrato psicopatologico. Spara cazzate sul Concilio Vaticano II e cita Benedetto Croce per sentito dire? Vuole sentirsi ripetere che da trent’anni lucra da parassita su vittorie che sono della società italiana e che si è potuto intestato solo grazie alla complicità della più ottusa vulgata del giornalismo nostrano.
Così la scorsa domenica. Dopo aver liquidato l’analisi della batosta elettorale con due o tre anacoluti, ha preso la tangente per una evasiva divagazione che l’ha portato a definire «ascetica» l’esperienza esistenziale del radicale-come-si-deve («mistica» no, ci mancherebbe, ma «ascetica» sì, e dunque) in chiara antitesi al volgare vissuto del radicale eterodosso che sta a mangiarsi il fegato per l’esito delle urne. Qui, per chiarire meglio il suo pensiero, ha avuto bisogno ancora una volta di citarmi.  

Chi ignora il rapporto che negli anni si è venuto a creare tra un borderline del calibro di Marco Pannella e un convinto sostenitore delle teorie di Otto Kernberg come il sottoscritto, si aspetterebbe che in risposta qui producessi la lunga lista di interessi che sono le più vere ragioni di vita, mettendo in cima il mio piccolo Michele, che a quindici mesi già è in grado di dirigere i primi due atti de Le nozze di Figaro senza guardare lo spartito e sincazza con l’orchestra quando Youtube si blocca, rinfacciando poi al povero matto che il drogato è lui, e di una droga che non lha mai nutrito, ma solo divorato, riducendolo a una patetica macchietta fuori stagione. Ma lho detto: quando Marco Pannella mi cita simulando disprezzo, in realtà mi sta chiedendo un parere. E stavolta, fidatevi di quel che dico, mi chiedeva un giudizio sulla mazzata che sè beccato sul groppone il 25 febbraio.
Comincerò col dire, allora, che a dicembre i più autorevoli istituti demoscopici italiani stimavano l’elettorato radicale tra lo 0,9% e l’1,5% e appena qualche settimana prima tra l’1,2% e il 2%: il crollo del già esiguo consenso, dunque, c’è stato negli ultimi due mesi. Due mesi nei quali Marco Pannella non ha lasciato nulla di intentato per esaurire la «cosa radicale» nella sua persona e per rendersi più insopportabile del solito, petulante e aggressivo, confuso e noioso, prolisso e inconcludente. La sua spudorata questua a sinistra, al centro e a destra, poi, ha fatto il resto. Stavolta è venuta meno perfino la devozione di quei «militonti» – come affettuosamente li chiama lui – che della cieca fedeltà all’anziano leader avevano sempre fatto motivo di orgoglio: c’è stato lo sbriciolamento di quello zoccolo duro radicale che da mezzo secolo in qua non era mai sceso al di sotto dell’1-2%. È che aveva un disperato bisogno di portare qualcuno dei suoi nel Palazzo per incassare qualcosa dai rimborsi elettorali, perché al netto delle sue filippiche antipartitocratiche Marco Pannella vive da sempre grazie al denaro pubblico che nutre il resto della partitocrazia, e dunque ha chiesto ospitalità a tutti, cominciando da Grillo per finire a Storace, e tutti gli hanno sbattuto la porta in faccia. Chiamali fessi, significava caricarsi sul groppone un cadavere politico in avanzato stato di decomposizione.
Poveraccio, deve aver sofferto tanto. Cosa gli restava da fare? Chiunque lo conosca solo un poco non ha faticato troppo a prevederlo: avrebbe rilanciato, per rimediare una sconfitta da esibire come prova provata della censura di regime. La logica è quella del delirio paranoico: non sei tu che sbatti la porta in faccia a me che ti ho chiesto ospitalità, sono io che ti ritengo indegno di ospitarmi e il tuo sbattermi la porta in faccia me ne dà la prova; non sono io ad essere insopportabile, è il regime che mi dipinge tale, dunque posso risultare insopportabile solo a chi è vittima della disinformazione del regime ai miei danni; la dissidenza interna al movimento radicale non è espressione del disagio causato dalle patenti contraddizioni e dalle vergognose ambiguità della mia linea politica, ma è segno che il regime ha trovato modo di inoculare i suoi veleni nella mia «galassia».
Non è un disturbo psichiatrico senile: Marco Pannella ha fatto sempre così, fin dagli anni ’60, basta documentarsi: era malato già allora, e l’aver fatto del movimento radicale una sua proprietà privata ha strutturato la sua malattia in metodo politico, tra solipsismo e messianesimo, tra delirio di grandezza e infime meschinità quotidiane. Marco Pannella è prigioniero della mistificazione in cui si è andato rinchiudendo e per farsi convinto di aver sempre ragione ormai non ha nemmeno più bisogno di un Bandinelli, di un Vecellio o di un Perduca che gli lecchino il culo, gli basta intravvedere il lavoro compiuto dal regime in chi dei suoi si rifiuta di leccarglielo. Da tempo, poi, pare non esser più nemmeno così certo di sapere cosa dica, pare che ne cerchi spiegazione nel ripetersi all’infinito. Sul piano clinico l’effetto è impressionante, più impressionante ancora è il fatto che chi resta ad ascoltarlo è costretto a una sempre più logorante attesa che il loop di aneddoti distorti, citazioni addomesticate, affermazioni tanto illogiche quanto perentorie prenda la fuga per un minimo di senso, sempre da interpretare, e con azzardo. Siamo dinanzi a un caso esemplare di incistamento psicopatologico in un bozzolo comunitario.
Ma veniamo alla sfacciata malafede cui Marco Pannella è costretto a ricorrere per sottrarsi all’ammissione di un fallimento le cui responsabilità sono tutte sue. Il regime, innanzitutto: il minimo storico ottenuto da una lista radicale in una competizione elettorale corrisponderebbe al massimo della censura che il regime è stato in grado di infliggergli. Eppure negli ultimi mesi i radicali hanno goduto di una visibilità assai maggiore di liste che hanno preso il doppio e il quadruplo dei voti, come Forza Nuova  e il Partito comunista dei lavoratori. Con una radio che ha alcuni milioni di ascoltatori a settimana, i radicali raccolgono poco più di 60.000 voti in tutta Italia. Era una lista di scopo, e lo scopo era l’amnistia: non sono riusciti a prendere neanche i voti corrispondenti a un terzo dei parenti dei detenuti. Ma, poi, quanta visibilità dovrebbe avere un movimento che a stento supera un migliaio di militanti?
La partitocrazia, poi: mai tanto messa in discussione come con l’exploit del M5S, ma perché a raccogliere i frutti della polemica antipartitocratica ormai estesa a più dell’80% della società italiana non è Marco Pannella, che ne ha fatto per decenni il suo cavallo di battaglia, ma Beppe Grillo? Questione di banale coerenza, probabilmente: al netto delle chiacchiere, i radicali hanno sempre campato delle briciole che cadevano dal tavolo dei partiti, e per farlo hanno sempre dovuto stringere alleanze con i «buoni a nulla» o i «capaci di tutto», coi «palermitani» o coi «corleonesi», mentre al momento i grillini mangiano del loro e rifiutano ogni sorta di alleanza. Sì, la coerenza sarà la virtù dei cretini, ma non lascia da pensare che oggi i radicali abbiano difficoltà a racimolare qualche migliaio di firme per presentare le loro liste, dopo averne raccolte milioni per i loro referendum? Perché la gente non si ferma più ai loro banchetti? Perché in Parlamento entrano i grillini e i radicali no?
Per Marco Pannella non c’è dubbio: in Italia c’è sospensione del principio democratico, le elezioni sono farse organizzate dal regime per trovare legittimità nel suo perpetuarsi. E allora perché parteciparvi? Obiezione: i radicali non si presentavano in quanto tali, ma con una lista di scopo. E come mai i candidati erano solo radicali?
Mi fermerei qui. Non bastasse, aspetto un cenno.

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