L’insulsaggine di certi autorevoli editorialisti si diluisce nei tweet di certi poveri sfessati, o forse è il contrario, è l’insulsaggine di certi poveri sfessati che viene distillata da certi autorevoli editorialisti, anche se non è escluso che le due cose facciano sistema in un grande alambicco a serpentina che ricircola la stessa insulsaggine, risciolta nella più tonta delle dabbenaggini dopo essere stata concentrata nei più intensi dei sussieghi, e via di seguito. Sia come sia, una delle più insulse opinioni così correnti è che la politica italiana dovrebbe pigliar consiglio dai moniti del papa – di questo papa – come se questo papa non si limitasse a frasi fatte, insieme ridondanti della più sciatta retorica e vuote di ogni minima sostanza. Roba che può suonare bene ad ogni orecchio, come in realtà accade, ma totalmente priva del ben che minimo contenuto che possa dirsi, non dico soluzione, ma per lo meno indirizzo. Non un programma, nemmeno il vago accenno di quella potrebbe essere la linea di un progetto: altisonanti chiacchiere, magniloquenti frasi che sembrano non aver altro scopo che cercare il consenso più ampio, perciò del tutto prive di quanto potrebbe circoscriverlo e mobilitarlo su un’opzione. La guerra è una follia, e chi non è d’accordo? La politica si deve occupare di chi muore di fame, e trovami qualcuno che dica il contrario. Cose così, sicché se in questo straparlare di niente c’è ingerenza, e c’è, la contesa non è sul primato nella gestione della cosa pubblica, ma sul consenso che alla stessa politica non serve ad altro che ad autolegittimarsi. In questo, Chiesa e Stato sembrano mostrare la stessa impotenza dinanzi ai problemi: la sola forza di cui sembrano dotati è quella in grado di assicurare loro un congrua fidelizzazione di cieche speranze, nutrite esclusivamente di attesa. Se socialismo e liberalismo sono ormai parole vuote che la politica evita in nome di un pragmatismo che non ha visione, né progetto, tutto speso a rappezzare buchi con toppe che non reggono due mesi, la Dottrina Sociale della Chiesa a oltre un secolo dalla sua nascita si mostra altrettanto inservibile. Doveva essere la terza via, perciò nasceva ambigua, sospesa sulla composizione delle sue contraddizioni interne, ma paradossalmente mostra i suoi limiti proprio dopo l’eclissi del sogno socialista e una delle più acute delle cicliche crisi del capitale: non aveva uno specifico, e non ne era neanche il sincretico Politica e religione – o forse è meglio dire: classe politica e gerarchia ecclesiastica – sono ugualmente prive di soluzioni: a entrambe manca la capacità di cavarle fuori dalla dialettica dei conflitti che danno corpo ai problemi, sono costrette ad ignorarli per una vocazione al plebiscitario che non è in grado neppure di inventarsi un neocorporativismo. Perciò invitare Renzi ad ascoltare le parole di Bergoglio è insieme la più crudele delle cattiverie e il più stupido dei consigli.
L’insulsaggine di certi autorevoli editorialisti si diluisce nei tweet di certi poveri sfessati, o forse è il contrario, è l’insulsaggine di certi poveri sfessati che viene distillata da certi autorevoli editorialisti, anche se non è escluso che le due cose facciano sistema in un grande alambicco a serpentina che ricircola la stessa insulsaggine, risciolta nella più tonta delle dabbenaggini dopo essere stata concentrata nei più intensi dei sussieghi, e via di seguito. Sia come sia, una delle più insulse opinioni così correnti è che la politica italiana dovrebbe pigliar consiglio dai moniti del papa – di questo papa – come se questo papa non si limitasse a frasi fatte, insieme ridondanti della più sciatta retorica e vuote di ogni minima sostanza. Roba che può suonare bene ad ogni orecchio, come in realtà accade, ma totalmente priva del ben che minimo contenuto che possa dirsi, non dico soluzione, ma per lo meno indirizzo. Non un programma, nemmeno il vago accenno di quella potrebbe essere la linea di un progetto: altisonanti chiacchiere, magniloquenti frasi che sembrano non aver altro scopo che cercare il consenso più ampio, perciò del tutto prive di quanto potrebbe circoscriverlo e mobilitarlo su un’opzione. La guerra è una follia, e chi non è d’accordo? La politica si deve occupare di chi muore di fame, e trovami qualcuno che dica il contrario. Cose così, sicché se in questo straparlare di niente c’è ingerenza, e c’è, la contesa non è sul primato nella gestione della cosa pubblica, ma sul consenso che alla stessa politica non serve ad altro che ad autolegittimarsi. In questo, Chiesa e Stato sembrano mostrare la stessa impotenza dinanzi ai problemi: la sola forza di cui sembrano dotati è quella in grado di assicurare loro un congrua fidelizzazione di cieche speranze, nutrite esclusivamente di attesa. Se socialismo e liberalismo sono ormai parole vuote che la politica evita in nome di un pragmatismo che non ha visione, né progetto, tutto speso a rappezzare buchi con toppe che non reggono due mesi, la Dottrina Sociale della Chiesa a oltre un secolo dalla sua nascita si mostra altrettanto inservibile. Doveva essere la terza via, perciò nasceva ambigua, sospesa sulla composizione delle sue contraddizioni interne, ma paradossalmente mostra i suoi limiti proprio dopo l’eclissi del sogno socialista e una delle più acute delle cicliche crisi del capitale: non aveva uno specifico, e non ne era neanche il sincretico Politica e religione – o forse è meglio dire: classe politica e gerarchia ecclesiastica – sono ugualmente prive di soluzioni: a entrambe manca la capacità di cavarle fuori dalla dialettica dei conflitti che danno corpo ai problemi, sono costrette ad ignorarli per una vocazione al plebiscitario che non è in grado neppure di inventarsi un neocorporativismo. Perciò invitare Renzi ad ascoltare le parole di Bergoglio è insieme la più crudele delle cattiverie e il più stupido dei consigli.
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