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14 anni fa: Internet, un pericolo per le Aziende

Da Robven
14 anni fa: Internet, un pericolo per le AziendeHo deciso di riproporre il mio primo articolo, assolutamente il primo che ho scritto, su Internet. Era il 1998. Su WMT.
Ve lo ripubblico senza editarlo (se non per il fatto che da due parti l'ho fatto diventare di una).
Secondo me serve per pensare a quanta strada abbiamo fatto e a quanta non ne abbiamo fatta. (e a me per pensare che nel frattempo spero di aver imparato a scrivere un po' meglio, dopo tutti questi anni :-)
Enjoy. E se volete fatemi sapere che ne pensate.
Internet,  un pericolo per le aziende. (un articolo scritto nel 1998)
Entrare in Internet? Lasciate stare, datemi retta…
In un periodo in cui tutti osanniamo Internet e loproponiamo come la panacea per tutti mali, voglio lanciare un appello.
Uomini d’azienda che in questo momento statevalutando se e come ‘entrare in Internet’ con un proprio sito/attività:pensateci bene! Attenzione a non cadere in una trappola che potrebbe rivelarsipericolosa…
Il mio appello può suonare strano, lanciato proprioda questa tribuna. Purtroppo la triste verità (specialmente se siamo in unaazienda di medie/grandi dimensioni) è che sviluppare ed implementare unaattività di comunicazione su Internet può avere delle conseguenze francamentedestabilizzanti. E questo mi sembra il posto giusto per dirlo.
O meglio: se si fa il solito sitarelloistituzionale o la brochure on-line possiamo stare abbastanza tranquilli:nessuno se li fila. Passiamo inosservati e viviamo sereni, nella feliceconsapevolezza di essere in rete , senza vantaggi ma anche senzacomplicazioni.  Diverso è il problema quando decidiamo di portarein rete una seria e professionale operazione di marketing e comunicazione.
Andiamo sul pratico. Mettiamoci, ad esempio, nella situazione di volercondurre una campagna pubblicitaria on-line ( scusate la sintesi: lo spazio ètiranno ma cercherò di evidenziare i problemi nelle loro linee più generali -ma pur sempre preoccupanti).
Da bravi uomini di marketing iniziamo a valutare ilproblema in un ottica razional-professionale. Ahimè, rispetto a quello chesiamo abituati a fare, la situazione non collima per nulla con le nostreesperienze. Tanto per cominciare i dati sono pochi e poco affidabili – tentaredi valutare il costo/contatto fa venire il mal di testa  e (peccato capitale!) non sono disponibili iGRP . Gli strumenti di web audit sono ancora in costruzione.
Un ulteriore sorpresa: generalmente non si compranoi periodi di campagna ma direttamente i contatti . Pianificando quindi unacampagna di banner su un sito trafficato ci si brucia tutta la campagna in unpaio di settimane o anche meno (viene da domandarsi se non sia un po’ troppopoco…)
Conclusione #1: A mettere le mani dentro Internetsi scopre rapidamente di dover reimparare un po’ di cose – siamo costretti aragionare in un modo totalmente diverso, ad esempio rivedere il modo divalutare le pianificazioni.
Passiamo al target. Dato che siamo dei ragazzi seriabbiamo pacchi di dati sociodemografici; lo conosciamo a fondo, magari abbiamoanche usato Sinottica e la sua Grande Mappa… peccato che ‘le testate’ suInternet non offrano un profilo dei lettori come quello che siamo abituati adusare. Esistono migliaia di siti; in mancanza di dati e statistiche, qualiscegliere per le pianificazioni? La nostra anima quantitativa suggerisce discegliere siti ad alto traffico (es. Motori di ricerca) per generare un altonumero di contatti e far rapida visibilità. La nostra anima più qualitativa ,d’altro canto,  preme per un uso più difino del Web. Ma dovendo segmentare, come scoprire quali siano siti i piùaffini al nostro target e, soprattutto, quali siti siano più affini e sinergicial nostro prodotto/messaggio?
Conclusione #2: l’enorme vastità della rete rendecomplesso un coinvolgimento diretto nella selezione delle testate. Sicuramentec’è chi ci può consigliare – ma per costruirci una opinione personale dobbiamomettere a budget decine di serate passate a navigare e ad esplorare.(Attenzione: ricordate che i valori umani sono prioritari rispetto al lavoro –e che alla nostra età comincia a diventare difficile trovare una nuovafidanzata).
Quando poi decidiamo di fare delle analisi aposteriori sull’efficacia dell’azione ci troviamo a far di conto con bestiestrane come i clicktroughs, gli hits, le impression…ma le vecchie ma pur semprevalide copertura e frequenza? Come dare un senso operativo a questa massa didati che il provider fornisce a raffica?
Veniamo ora all’impostazione strategica dellacampagna pubblicitaria… al solito convegno ci hanno spiegato che  con Internet si fa il “narrowcasting”. Dettoin parole povere: se con la pubblicità si fa il “broadcasting” ovvero si parlaa audience dell’ordine delle centinaia di migliaia se non milioni di persone,con il web si può lavorare su target molto più focalizzati. Questo offrel’opportunità di mirare meglio il messaggio – costruendolo ad hoc per ognigruppo…E quante sono le persone in ogni gruppo? Mica poitante…torna l’incubo del costo per contatto! (D’altra parte, sviluppandomessaggi molto focalizzati, quasi personalizzati, l’efficacia aumenta, iltarget reagisce meglio…)
Conclusione #3: a pensarci bene noterete che nonstiamo facendo della pubblicità ma qualcosa di più vicino al Direct Marketing.Di qui l’opportunità di integrare la comunicazione con la raccolta diindirizzi, di mantenere un tracking del comportamento degli utenti, di DatabaseMarketing e mille altre opportunità… ma non è che stiamo per aprire un vaso diPandora, di imboccare una strada che non sappiamo bene in quale complesseregioni potrà condurci? (gli stavamo dando un dito e il progetto si staprendendo un braccio)
Tanto per risollevarvi il morale, passiamo adoccuparci di creatività. Non c’è niente di più divertente che sfogliare layoute discutere con l’agenzia di casting, mood e location…ma  per fare una comunicazione focalizzata, sidevono sviluppare soggetti ad hoc per ogni gruppo. I soggetti si bruciano infretta e vanno quindi rinnovati frequentemente. Facciamo a questo punto unamanica di conti. Quanto lavoro tocca fare per sviluppare messaggi ad hoc perogni gruppo che compone il vostro target? Ve lo dico io: un bel po’.Per fare un lavoro ben fatto si devono sviluppareun gran numero di soggetti, da sostituire molto spesso. Facendo le solitesomme, un bel po’ di lavoro in più rispetto alla comunicazione tradizionale…
Conclusione #4: Accettate il mio invito al pub,ordiniamo un po’ di birre e raccontiamoci come era tutto più bello quando lapubblicità era esclusivamente intrusiva. Quando tutto sostanzialmente siriduceva ad una gara di velocità tra il break pubblicitario e il telecomando(la probabilità di un utente di essere esposto ad uno spot era inversamenteproporzionale ai suoi riflessi nel fare zapping). I tempi magici in cui dipubblicità ci si occupava un paio di volte all’anno…
Questa follia che ha pervaso le aziende, quella diessere on-line ed interattivi, sta in effetti iniziando a produrre dei danni:diamo in mano all’utente la possibilità di parlare con noi, di chiedere, diconfrontare. Con poca preveggenza, chi ha imboccato questa strada ha acceleratoun processo di dinamizzazione del mercato e di empowerment del cliente.Mettendoci tutti un po’ più nelle canne.Infatti, sulla rete, mi trovo (sostanzialmente inmodo indipendente da quanto la mia azienda sia grossa e potente) a confrontarmialla pari con milioni di altri siti - aziendali e non - a disposizione deinavigatori. Se Internet è “pubblicità” questo significa che seprima dovevo solo preoccuparmi di convincere il consumatore a comprare il mioprodotto, ora devo addirittura dargli un buon motivo per guardare la mia“pubblicità”!
Potremmo forse salvarci nel caso che, invece dibusiness-to-consumer ci occupiamo di business-to-business?  Purtroppo no. E’ vero che ilconsumatore-cliente è più elusivo, imprevedibile ed irrazionale diun’azienda-cliente; ma l’azienda è normalmente un cliente molto più esigente edifficile di un individuo-consumatore. Se le cose non sono fatte come Diocomanda ci beccano subito e non ce la perdonano. Sono pagati per questo, infondo – come lo siamo noi nei confronti dei nostri fornitori.
Conclusione #5 – forse da soli non ce la facciamo,e dobbiamo appoggiarci ad un buon consulente. Però… chi scegliere? Un agenziatradizionale che conosce bene i miei prodotti, è la custode dei valori del miobrand e della mia immagine? Una Internet-Agency che conosca a fondo i misteritecnologici del web ma che non sa molto di me e dei miei prodotti? O entrambe –e come ottimizzare il loro lavoro di partnership?
Un altro problemino è: quanto devo pagare per unsito (o una qualsiasi attività di web marketing)? Sul mercato, per progettiapparentemente analoghi si trovano offerte che variano anche di 10 volte l’unadall’altra. Dov’è è il prezzo giusto? Come so che non mi sto facendo fregare oche sto risparmiando a scapito della qualità? (senza considerare il problema diconvincere il management ad allocare dei fondi su progetti on-line in questafase in cui Internet è ancora generalmente visto come ‘sperimentale’).
Supponiamo comunque che, con molta fatica etestardaggine siamo riusciti a portare in porto il progetto. I nostri bannersono on-line. E se poi la gente clicca? Beh, semplice. Entrano nel sito…. E l’azienda ènuda.
Un piccolo sito istituzionale fatto per benino, unabrochurina elettronica dei nostri prodotti, (mi raccomando senza interattività)non può fare un grosso danno. Non lascia danni permanenti nei visitatori, cipermette di non fare dei grossi errori. Non servirà a nulla ma almeno abbiamospeso poco e non abbiamo sbagliato.
Tocca comunque fare attenzione: l’utente Internet èsempre più esigente, se visita un sito aziendale cerca informazioni, servizio,un vantaggio personale (se no se ne andrebbe direttamente in negozio, no?).Dato che non abbiamo più la scusa dello spazio (30 secondi in TV, una paginasola su Panorama…) diventa un po’ difficile giustificare il fatto che sulnostro sito, potenzialmente di illimitate dimensioni… diciamo poco o niente.Abbiamo forse qualcosa da nascondere? Non abbiamo un gran che da dire? Nonsiamo capaci di far di meglio? Non vogliamo che il nostro cliente ci conoscatroppo bene o (Dio ce ne scampi!) interagisca con noi? Forse è il caso dievitare che il visitatore si ponga queste domande.
Conclusione #6 – forse è meglio che Internet  lo facciamo bene o non lo facciamo affatto(raccomando la seconda che ho detto).
Già, ma a far bene un sito non è un lavoro dapoco…intanto dal punto di vista strategico: non è solo pubblicità, è ancheDirect Marketing, Promozione, PR, comunicazione istituzionale e di prodotto,servizio pre-sale e post-sale…tutto è contiguo e c’è un continuo overlappingtra le variabili di marketing e comunicazione. Non è come fare la classicapubblicità o il sanissimo catalogo tradizionale.
Conclusione #7 – occorre un rilevante investimentodi pensiero e un coinvolgimento integrato/sinergico di molte competenze.
A questo punto, conseguentemente, Internet non ècosa che possa fare una persona sola. Diventa ovviamente un lavoro di team.Occorre assicurare la fornitura di contenuti, la coerenza del sito conl’immagine, le strategie aziendali e le strategie di marketing della nostraimpresa…dobbiamo quindi coinvolgere, grosso modo:

Internamente: Esternamente:

Responsabile Comunicazione Agenzia di Pubblicità

Direttore Marketing Consulenti PR

Direttore Commerciale Agenzia Promozioni

Brand Manager(s) Consulenti Direct Marketing

Product Manager(s) (in media dalle 2 alle 3 persone per agenzia)

Direttore Generale

Amministratore Delegato Senza contare chi realizza e mette on line il nostro sito

EDP

(altri)


Questo, a sua volta, comporta delle ulterioricomplicazioni: integrare le competenze vuol dire far lavorare insieme personedi reparti diversi, con competenze ed esperienze differenti – spesso nonabituate a progetti di team.Coinvolgere tante persone comporta problemi diorganizzazione dei flussi di lavoro (ma già solo far coincidere le agende perorganizzare le riunioni…).Tante teste, tante idee – o meglio tanti contributipreziosi; tanti pareri e quindi tante richieste di revisioni.
Conclusione #8 – la necessità di coinvolgere moltepersone/funzioni aziendali impatta significativamente sul time to market. Iltempo necessario per concludere un progetto è all’incirca proporzionale alquadrato delle persone coinvolte (ogni volta che si raddoppia  il numero dei partecipanti con voce incapitolo si quadruplicano i tempi).
Va poi considerata la difficoltà di darsi un timingefficace – ricordo la semplice massima dell’ 80/20 (corollario della Legge diMurphy ): per portare a termine il primo 20% di un progetto siimpiega l’80% del tempo. Per portare a termine il restante 80% del lavoro siimpiega un altro 80% del tempi.
Mi è capitato di vedere aziende rinunciare aprogetti Internet proprio per questo; si sono rese conto che non sarebberostate in grado di avere un sito ragionevolmente aggiornato rispettoall’evoluzione dei propri prodotti. Allora, piuttosto che andare in edicola conun quotidiano di tre giorni prima, hanno scelto di non pubblicare.
Sicuramente si poterebbero ridurre sensibilmente iproblemi snellendo la catena del comando e soprattutto il processo diapprovazione, minimizzando i colli di bottiglia (per evitare di metterci unanno a fare un sito che una volta on-line è già da rifare…). Ma questosignifica dare responsabilità ed autonomia, su questioni di comunicazione emarketing su cui molte persone  hannoresponsabilità in azienda.Delegare è molto difficile, essere delegatisignifica prendersi delle grosse responsabilità.
Conclusione #8 - Vale la pena di rischiare? Lacondivisione delle decisioni significa condivisione e redistribuzione deirischi, anche dal punto di vista della propria carriera…se si sbaglia megliosbagliare tutti insieme. (nota:meglio non sbagliare – niente di meglio allora che evitare gli esperimenti oallontanarsi da strade già ben note e battute).
Allora, se vogliamo fare Internet a modino toccamettere le mani sulla struttura organizzativa dell’azienda? O almenosull’organizzazione del lavoro, responsabilità e competenze? Beh, è abbastanzaprobabile. Non voglio poi nemmeno menzionare il caso in cui si voglia entrarenel commercio elettronico e si debbano integrare nel processo problemi divendita e di logistica…
In modo collegato c’è il problema della scarsaconoscenza media di Internet in azienda. Se vogliamo che tutte le personecoinvolte nel progetto possano fattivamente contribuire, sarebbe necessariodare a tutti l’accesso a Internet, stimolare l’esplorazione, fare un training specifico(più in termini di Internet marketing che di ‘tecnica’ – il che è ben piùcomplesso e costoso…).
Fra l’altro, una volta che siamo riusciti a metterein moto la ponderosa macchina aziendale e tra mille difficoltà abbiamo finitoil sito, ci troviamo di fronte alla necessità di aggiornarlo. Dobbiamo quindiricoinvolgere le persone…che scoprono che Internet è un progetto on-going, untormentone che non finisce mai e che assorbe su base continuativa tempo erisorse.
Conclusione #9 - Non è generalmente una scopertache ci rende molto popolari in azienda.
Avvicinandoci alle conclusioni: mettersi suInternet è un processo impegnativo. Che tra l’altro ci capita addosso proprioin un momento in cui la competitività sui mercati si sta esacerbando – abbiamo semprepiù cose da fare, sempre meno persone, soldi, tempo e risorse per gestire ilnostro business. Senza poi contare le pressioni cui il management ci sottoponequotidianamente.
Conclusione # 10 – visto abbiamo già il nostro belda fare, che Internet è complesso, da seguire su base continuativa con impegnoed intelligenza, che è un campo ancora abbastanza inesplorato, che comportamutamenti pesanti nell’organizzazione del lavoro…. Non è che forse sarebbemeglio lasciar stare e continuare a vivere in modo più sereno continuando afare quello che siamo abituati a fare?
La mia risposta, come anticipato all’inizio, è cheprobabilmente non conviene buttarsi in questo marasma.Viviamo tranquilli e stiamo lontani da rischiosesperimentazioni.
Spero di avervi illustrato esaurientemente le milleragioni per non fare Internet.Per esclusivo amore di obiettività mi tocca adessosussurrare che, forse, una piccola ragione per fare seriamente Internet cisarebbe.
Una ragione piccolina, ma fastidiosa. Si trattadello scenario concorrenziale.Si tratta del fatto che il nostro consumatore nonci ha sposato e se ha deciso di usare Internet non si farà problemi a dare isuoi soldi ai nostri concorrenti che su Internet ci vanno giù pesante. Che al nostro Cliente i nostri problemi noninteressano – ne ha già troppi di suo.Del fatto che la nostra concorrenza non è più alivello locale: potenzialmente ce li abbiamo tutti contro, dalla multinazionaleamericana al sottoscalista di Castagnole Lanze.Del fatto che la fuori c’è gente affamata dimercato, pronta a darsi da fare buttarci fuori, con tutti i mezzi e tutti glistrumenti. Che c’è gente giovane e brava, aziende piccole edinamiche che aggrediscono il mercato. Del fatto che, se noi non ce la facciamoa ristrutturarci per seguire Internet, aziende più piccole e flessibili (diquelle che possono decidere e implementare decisioni nel corso di una notte)possono  dare ai nostri clienti unservizio migliore.Che ci sono multinazionali che non hanno grossiproblemi ad investire qualche milione di dollari solo per vedere se questoInternet funziona davvero.Che negli Stati Uniti le agenzie di viaggi hannovisto ridursi le commissioni sulla vendita di biglietti aerei – le compagnieaeree vendono talmente bene in rete i biglietti agli utenti che non vedono piùforti ragioni di coccolare troppo i rivenditori tradizionali….
Internet: vale la pena di occuparsene?Internet è spesso ancora percepito come‘sperimentale’; non gli viene quindi dedicata troppa attenzione. Questo vuoldire rimandare ad un indefinito futuro una attenta valutazione di come questonuovo strumento di marketing, comunicazione e commercio possa costituire unnuovo tool per l’azienda (o possa rappresentare una minaccia nelle mani dellaconcorrenza). E’ la classica sindrome del “se nessuno dei miei concorrenti lofa allora vuol dire che non vale la pena di farlo”.
Se Internet non viene preso sul serio dalle aziendenon emerge la necessità di un’azione formativa del management su queste nuovefrontiere della comunicazione. Visto quindi con gli occhi e gli strumentitradizionali, Internet ha poco senso e si conclude frettolosamente che il mezzonon è adatto o che non è efficiente.
Anche per le aziende che hanno comunque deciso di“fare Internet” la tentazione è quella di considerarlo come un evento one shot,una operazione da compiere una volta (e da aggiornare, se del caso, un paio divolte l’anno…).  Può anche esserecompreso, da parte del committente, che usato così Internet serve a poco oniente… ma, d’altra parte, moltissime aziende esistenti sembrano non essere ingrado di fare di meglio.
Impossibilità della delega Usare bene Internet significa adottarlo come unodei processi continuativi di comunicazione e vendita dell’azienda,attribuendogli la stessa importanza di azioni quali la realizzazione el’aggiornamento del catalogo al pubblico. Questo implica investire attenzione,risorse, soldi, persone, formazione. Per peggiorare le cose, l’aggiornamentodel proprio sito deve avvenire molto spesso. La quantità di informazioni econtenuti da inserire nel sito può essere decisamente rilevante. Tutto ciò non èevidentemente compatibile con un processo di approvazione gerarchico o con unprocesso di sviluppo che coinvolga più di tre o quattro persone.
Difficoltà ad essere flessibili Se ogni pagina richiede l’approvazione ( e lerichieste di revisione) di 5 o 6 persone, se lo sviluppo di una nuova sezionedel sito richiede sei mesi e la sua successiva revisione ne richiede quattro -mentre i concorrenti aggiornano il proprio sito in tempo reale…forse è meglioche l’azienda ammetta la propria incapacità ad evolversi per adattarsi alproprio ambiente ed inizi a considerare serenamente l’estinzione come unapossibilità.
Il meglio è nemico del bene Un sito fatto bene, pensato a fondo dal punto divista sia marketing che creativo può essere fatto in sei settimane. Bisogna peròcorrere tutti, essere decisionisti, viaggiare senza intoppi, accettare il fattoche il sito iniziale non sarà perfetto, non sarà completo e dovrà esserecontinuamente affinato con l’esperienza fatta con la prima versione. Bisognaessere disposti a sacrificare serate e weekend per lavorare ed essere in gradodi esprimere commenti ed approvazioni nel giro di una giornata al massimo.Bisogna metterci dei soldi veri per aver un numero adeguato di persone che cilavorano.Bisogna avere voglia di segare le gambe a quelpachiderma del proprio concorrente che sono sei mesi che sta cercando didecidere se scegliere per il suo sito la gabbia grafica con le roselline o lefarfalle e che da otto sta cercando di giungere ad un accordo interno sui testi(accordo impossibile: nel tempo che ci mettono per concordare qualcosa ètutto da rifare perché fortunatamente l’azienda non si ferma ed ha evolutola  propria linea di prodotti).Forse è meglio partire in fretta con un sitoaccettabile che arrivare per ultimi con un sito perfetto…o meglio perfetto perquella che era la situazione di 12 mesi fa…(grazie a Dio i nostri progenitorinon hanno aspettato lo sviluppo del pneumatico radiale prima di inventare laruota…).
Il teorema della coperta cortaAd Internet, anche perché storicamente è statoposizionato come un mezzo dai costi contenuti, vengono dedicate le briciole.Sia in termini di budget (e passi) sia in termini di risorse umane/tempo. E’sempre il tema della sperimentalità dell’area – in un mondo in cui i risultatisi valutano sempre più sul breve periodo.Non ci si può forse aspettare molto di diverso dalmondo delle aziende italiane – note per essere tra le aziende del mondooccidentale con i minori investimenti in ricerca e sviluppo. Va comunque dettoche anche nei mitici USA le cose stanno peggiorando. In un recente documento della Comunità Europeaveniva sottolineato come, ad esempio, l’estrema competitività nel mondo delle telecomunicazioni sta rendendosempre più difficile fare ricerca di base in questo campo, anche negli StatiUniti. La disperata ricerca di risultati a breve sta rendendo criticol’investimento in ricerche a lungo periodo. Nel documento viene ipotizzato chese ci fosse stato all’epoca questo tipo di scenario, non si sarebbeprobabilmente arrivati all’invenzione del transistor – ci si sarebbe limitati aspremere qualcosa di più dalle valvole.
Val la pena di ribaltare l’azienda per fareInternet?Risolvere questi problemi significherebbemodificare pesantemente strutture, procedure e filosofie aziendali. In sostanzadestabilizzare lo status quo. Un’azienda piccola troverà più facile farlo.Un’azienda grande, ricca, aggressiva e con vision troverà il coraggio e lerisorse per affrontare questo mutamento. Aziende grandi e burocratiche opiccole e tradizionaliste non saranno probabilmente in grado di affrontarequesto cambiamento.
Appare molto probabile, quindi, che il problemavero non sia l’adozione o meno di Internet quanto una generale approccioall’innovazione e la capacità di reagire in modo efficace alle mutatecondizioni del mercato.In estrema sintesi, ho il sospetto che un grannumero di aziende non sia in grado di cambiare la propria struttura, il propriomodo di delegare e di approvare in misura sufficiente per poter pensare adInternet come ad uno strumento chiave. Forse il reale effetto di questa incapacitàsarà quello di decretare l’irrilevanza progressiva di una serie di protagonistie sanzionare l’inaspettato successo di outsider più capaci.
Al di là quindi dei confini nazionali (etrascurando il fatto che Internet abbatte le barriere e favorisce quelli chesono partiti per primi, quindi gli americani), si possono trarre delle sempliciconclusioni.La fuori c’è gente affamata, pronta a tutto pur dirubarci il mercato. Concorrenti pronti a dare di più al consumatore ( la cui fedeltà alla marca può essere messain crisi da un miglior prezzo o servizio), pronti ad usare Internet al meglio.
Cambia radicalmente il concetto di barrieraall’ingresso: vendere su Internet implica l’irrilevanza della posizionegeografica, delle dimensioni dell’azienda, della struttura distributiva; la“concorrenza” ai propri prodotti può essere portata da aziende piccole ograndi, locali o poste oltreoceano. Piccoli operatori possono infiltrarsi inmercati sinora solidamente blindati.
Il pesce piccolo è più rapido del pesce grosso.Piccole aziende dinamiche possono avere un ‘time to market’ molto piùcontenuto, sia in termini di prodotto che in termini di marketing,comunicazione, presenza e aggiornamento internet. Questo anche solo per unastruttura di management più piatta e un processo decisionale più corto (per noncitare la filosofia vincente del “dai, prendi su la lima che per stasera inqualche modo la risolviamo”)
Il pesce grossissimo è più cattivo: disposto adinvestire le risorse umane e finanziarie necessarie, disposto a crederci,aperto all’internazionalizzazione.
La nostra azienda è in mezzo al mare. Resta dacapire se è tra quelle che tirano morsi o tra quelle considerabili come fastfood.E’ infatti tutto da capire se (come e perché) avendola nostra azienda avuto successo finora, potrà continuare ad averlo.
Sembra una affermazione esagerata? Assolutamentepossibile. In fondo dipende tutto da un piccolo aspetto chiamato ‘vantaggiocompetitivo’. Il mio cliente compra da me se la mia offerta  è migliore di quella della concorrenza.Potremmo stare qui per altre quindici pagine ateorizzare su come Internet possa modificare il concetto stesso di vantaggiocompetitivo; ritengo però più utile impiegare meno spazio ed elencare un po’ diaree dove Internet potrà mettere (o ha già messo) un po’ di aziende neicasini.  Stimoli di riflessione,chiamiamoli… o forse crepe nella diga.
L’irrilevanza progressiva di certi vantaggicompetitivi…
Le assicurazioni automobilisticheLe tradizionali compagnie assicurative  hanno sempre visto le polizze RC Auto comeuna fonte di perdite ed una seccatura – ma sono obbligate ad offrire questoservizio. Una serie di aziende innovative sono riuscite a trasformare questobidone in una interessante opportunità di business. La selezione del target (scremando la parte menoremunerativa del mercato) e l’abbattimento dei costi di struttura e di servizioconsentono prezzi molto competitivi. E’ evidente che, per le migliaia diclienti di questi nuovi servizi, la prossimità dell’agenzia o professionalitàdell’agente (due fronti in cui le assicurazioni hanno sempre molto investito)non hanno rappresentato un vantaggio competitivo rispetto a rapidità erisparmio. Dal telefono ad Internet il passo è breve…(e “loro” lo stanno facendo)così come dalla RC alle ben più lucrose polizze vita.
Le bancheAnche in questo caso la copertura geografica conuna vasta rete di sportelli è stata considerata una priorità strategica – avolte anche la preparazione del personale di vendita/di sportello. La comoditàdi operare in tempo reale, in qualsiasi luogo, a qualsiasi ora sui propri conti(assumendo che ci si convinca della sostanziale sicurezza della rete) non èforse in grado di essere molto più efficace? Certo, non per tutti…solo per personedi alta cultura, posizione socio economica elevata, approccio dinamico almercato etc… insomma, forse solo per quei clienti che hanno un bel po’ di soldie li fanno girare…Alcune banche hanno molto investito nei servizi via telefonoma penso sia evidente quanto è più pratico poter leggere i propri datipiuttosto che prenderne nota tenendo in precario equilibrio la cornetta sullaspalla.
La BorsaI broker USA stanno guardando con estremapreoccupazione ad Internet. Il loro vantaggio competitivo non sembra essere piùmolto competitivo se il 20% delle transazioni passa ormai per via telematica.Charles Schwabb, il maggiore discount broker americano, è ormai attorno o oltreil 50% di transazioni on-line sul suo giro d’affari, pari a circa 2 miliardi didollari la settimana negoziati via Internet…
Le librerieIn Italia l’offerta in questo campo (nonostantealcuni tentativi ed alcune dichiarazioni d’intenti) non sembra essere un granche. Guardando agli USA, nessuna libreria tradizionale è in grado di competerecon i 2.5 milioni di titoli di Amazon.com. Gli ingenti investimenti fatti dauna libreria tradizionale per fornire una offerta  molto vasta risultano in:a.   Alticosti dei locali, vasti per contenere una mole di libri, abbastanza centraliper offrire comodità ai clienti; alti immobilizzi di capitaleb.   Alticosti di personale, per fornire assistenza, servire e controllare i clientic.   Coperturageografica molto limitata: per libri ‘normali’ probabilmente non passa ilquartiere, per libri più difficili da reperire la città o la provincia. Oltresi entra nel campo della vendita per corrispondenza…
E se Amazon, una volta in profitto negli USAdecidesse di replicare il modello in altri paesi? Tramite una buona alleanzacon un retailer del settore e portando tecnologie ed un modello di business giàcollaudato, non ci vorrebbe molto a mettere in piedi un sistema efficace anchein Italia. Con una base di costi più contenuta, sarebbe facile adottarepolitiche di prezzo competitive…
Agenzie di ViaggiNegli ultimi anni le compagnie aeree americanehanno lentamente ridotto le commissioni alle agenzie di viaggi sulle venditedei biglietti aerei, con l’obiettivo di migliorare la profittabilità. Siamoadesso attorno all’8%, con un massimale di 50$ per biglietto.
Considerando che:a.   secondol’Air Transport Association of America il costo di emissione di un bigliettotradizionale è di 8$  mentre il costo diemissione di un biglietto ‘elettronico’, richiesto via Internet da un clientealla linea aerea è di 1$ circa;b.   Le lineeaeree hanno in progetto di tagliare i loro costi  di vendite e marketing di circa il 20-30% neiprossimi tre anni, preferibilmente attraverso l’uso delle tecnologie;
quanti motivi di dormire tranquilli di notte hannole agenzie di viaggi americane? (senza contare che le agenzie di viaggi trovanodifficile competere con i servizi last minute a prezzi stracciati che sitrovano in rete).
E potremmo continuare così ancora per un po’…anzi,mi riprometto, più avanti, di aggiornare questa lista di vincitori e vinti delmondo on-line.
In conclusioneSe, come molti di noi pensano (al punto discommetterci il proprio futuro professionale), Internet diventerà unasignificativa realtà…è altamente probabile che un gran numero di aziendeattualmente di successo si trovino un domani in situazioni alquantoimbarazzanti.
Per avere un idea, guardiamo al passato; aifabbricanti di carrozze che non hanno saputo cogliere l’opportunità dellanascita delle automobili, a certe aziende un tempo di successo che non sonostate in grado di capire e cavalcare la rivoluzione distributiva costituita daisupermercati, alla grande Francia che si sentiva al sicuro dietro alla LineaMaginot in mondo che si spostava verso il Blitzkrieg…
Cambiare è rischioso, adottare Internet comecomponente strategico della propria azienda è sicuramente faticoso e doloroso…ed è una scommessa. D’altra parte forse ha ragione chi frena suInternet; l’Italia è indietro, è diversa, non siamo gli Stati Uniti. E anche senegli Usa Internet stia diventando un fenomeno di tutto rispetto, da noi nonsarà così. No, non capiterà questa volta quello che e‘successo con i McDonalds, la musica, i film e in generale la cultura, ilmarketing, le sigarette americane, il successo delle multinazionali… no, questavolta l’Italia manterrà una propria posizione originale. Di retroguardia comeal solito, ma originale. Il milione o due di Internet user italiani sistancheranno, spegneranno i modem e consiglieranno a parenti ed amici dilasciar stare. Torneranno a consumare solo TV e giornali. Passerà la moda etornerà il sereno dopo questa tempesta in un bicchiere d’acqua.
Se uno non se la sente, c’è poco da fare, è inutilesforzarsi. Se decidiamo di prendere Internet sottogamba possiamo continuare avivere sereni e produttivi lo stesso. Almeno per un po’. Io credo che i dinosauri si siano estinti poco apoco, senza catastrofi ecologiche. E sono pronto a scommettere che si sonospenti senza fare troppe storie, pensando “meglio aspettare un attimo, vediamocome evolve la situazione…”.
Peccato che l’evoluzione di una specie, spesso,passi per l’estinzione di altre.
In bocca al lupo, ne abbiamo bisogno tutti.
[Branding & Marketing Blog / Venturini]

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