>>#14N, la mobilitazione tra depistaggio e soffocamento

Creato il 23 novembre 2012 da Felice Monda

Scontri. Guerriglia. Violenza. E’ passata una settimana e questo è ciò che i media main stream ci hanno lasciato della manifestazione del 14 novembre. Prendendo il caso eclatante di Roma, chi ha affrontato l’argomento – cioè tutti, nessuno escluso – si è limitato a schierarsidalla parte dei “poliziotti” o dei “manifestanti”. Posizioni limitate, che tendono a fermarsi sulla fisicità, vedendo le due parti unicamente come “schierate”, appunto, e contrapposte in una piazza.

A ben vedere, la realtà è ben più ampia, e, pur essendo lampante, è quella che l’opinione pubblica fa più fatica a leggere. Non crediamo sia esagerato parlare di depistaggio, programmaticamente operato dalle istituzioni, dalla classe politica e dai media. Il motivo è semplice: è meglio che la realtà non si veda. La realtà, dunque, è inequivocabilmente una minaccia e questa è la chiave di lettura insabbiata che, pur determinando tutte le dinamiche in campo, tanto nelle valutazioni pratiche quanto in quelle politiche non emerge. La chiave di lettura che ci appartiene.

In una manifestazione ci sono i poliziotti e i manifestanti. I primi hanno alle spalle chi impartisce ordini e i secondi formano un plasma molto eterogeneo, che alcuni cercano di controllare in termini organizzativi (o finiscono per farlo). Ebbene, nelle ricostruzioni massmediali i riflettori si accendono su due generiche parti opposte, deviando l’opinione pubblica e privando il resoconto giornalistico di concretezza. Semplicisticamente e confusamente,  restano “poliziotti” e “manifestanti”.

Gli scontri sono la conseguenza – più o meno diretta, a seconda dei casi – di un contesto che vede agire da una parte le istituzioni, in quanto mandanti delle azioni delle forze dell’ordine, e dall’altra migliaia di persone con umori e sensibilità diverse. Ma la realtà è avvolta nel buio, perché i riflettori puntano altrove.

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Nessuno direbbe che fatti come quelli di Roma si verifichino in maniera casuale, eppure si perdono di vista le effettive responsabilità nella gestione della piazza, che dipendono dalla valutazione del contesto contingente.

Sono responsabili i funzionari statali che hanno permesso alle forze dell’ordine di intervenire in maniera eccessiva, se non spropositata, attaccando una folla composta in stragrande maggioranza da studenti medi, non certo incappucciati e armati di spranghe o bombe carta. Parliamo di ordini che avrebbero potuto rivelarsi tragici ed è la storia ad insegnarcelo. Ma la responsabilità dei mandanti va ben al di là della contingenza e nasce da una volontà precisa, come dimostra la tolleranza nei confronti di atti di violenza indiscriminata ordinariamente compiuti da alcuni poliziotti. Impossibile non tener presente l’assenza di leggi fondamentali in Italia, a cominciare dall’obbligo per gli agenti di esporre un numero di matricola al fine di rendersi riconoscibili. E’ l’impiego complessivo delle forze dell’ordine ad essere pericolosa, come, di conseguenza, la condotta durante la singola manifestazione. E non c’è giustificazione che tenga, perché i poliziotti dovrebbero essere operatori scrupolosamente addestrati a garantire la pubblica sicurezza. Come si spiegano le manganellate inferte a manifestanti a terra, le cariche su lunghezze di centinaia di metri, la caccia all’uomo per i vicoli del centro, il lancio di lacrimogeni ad altezza uomo e, ora, perfino dalle finestre di un Ministero? Difficile, a partire da considerazioni simili, non immaginare che gli scontri di Roma siano programmaticamente ricercati.

Sono responsabili coloro che hanno controllato la manifestazione e non sono stati capaci di coordinarsi, compromettendo l’integrità di un corteo genuino ed estremamente partecipato. Si è messa in piedi un’azione immediatamente spezzata dalle cariche della polizia, senza vie di fuga e con una folla di giovanissimi alle spalle, che certamente non sarebbe stata in grado di reagire se non defilandosi. Il rischio che la situazione potesse precipitare c’è stato e chi era presente l’ha potuto avvertire sulla propria pelle. E se non si era immaginata una reazione spropositata da parte delle forze dell’ordine in un periodo teso come quello che il Paese sta attraversando, bisogna avere le idee davvero poco chiare. La scintilla, poi, potrà anche essere frutto di una strategia ponderata – più che altro mediatica – di alcuni manifestanti, che può essere condivisa o meno; fatto sta che è stato velleitario e rischioso non considerare le condizioni della piazza quel giorno.

Non accadeva da anni che 50mila studenti partecipassero ad un corteo uniti da intenti comuni: l’ultima volta era stato ai tempi del movimento dell’Onda. I numeri contano e le ragioni delle realtà in protesta non possono essere aggirate con squallida superficialità, ma a causa degli scontri l’entità della partecipazione alla manifestazione si è totalmente persa di vista.

Pochissimi, inoltre, hanno evidenziato aspetti pratici come la complessità dei percorsi concessi ai cortei, dovuta a vincoli che condizionano lo sviluppo delle manifestazioni, al punto da compromettere la partecipazione. Quello di Roma sarà pure un contesto logistico del tutto particolare, ma l’impossibilità di raggiungere i cosiddetti “palazzi del potere” resta un’anomalia democratica di fondo, che palesa materialmente il distacco abissale tra chi vive all’esterno e chi all’interno del “palazzo”. E’ aprioristicamente vietato ai cittadini di protestare contro le decisioni dei propri rappresentanti, laddove vengono prese. Farlo, beninteso, ha risvolti non soltanto simbolici ma anche politici, se ci si rapporta all’influenza che concretamente la “vicinanza” della protesta potrebbe avere in termini decisionali. Non vi sono motivazioni reali e sensate: è chiaro, pertanto, come un simile divieto finisca per stimolare l’utilizzo della forza da parte delle masse, rivelandosi controproducente anche in una presunta ottica di pubblica sicurezza.

Queste considerazioni di carattere pratico che abbiamo esposto, però, ci mettono di fronte a dati politici riguardanti i fatti verificatisi nel centro di Roma, che ci proiettano nella dimensione del conflitto sociale in corso. Ovviamente, i maggiori media non vi hanno prestato attenzione, preferendo la notizia “facile” allo scopo di procacciarsi visualizzazioni sul web o di vendere copie.

Lo sciopero generale del 14 novembre delinea un quadro del contesto politico europeo, del disagio sociale che, in molti Paesi, sta dando vita ad una nuova mobilitazione. Quanto all’Italia, abbiamo gli elementi per farci una prima idea della condotta e delle strategie che saranno impiegate per contrastare l’espressione di un dissenso che inizia a prendere piede.

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Sarà scomodo parlarne in questi termini, ma è chiaro come si stia progressivamente ergendo unaconsapevolezza popolare contro gli effetti della crisi e contro ciò che la crisi rappresenta nella nostra epoca come sintomo di un modello economico e sociale ormai superato. Finora, è mancata la capacità di mettersi in rete per la nascita di un movimento unitario, ma lo scenario nel 2013, come lo sciopero generale europeo lascia sperare, potrebbe essere ben diverso.

Il 14 novembre è stato uno dei principali momenti di contrasto alle politiche di austerity, formalizzatesi con il Fiscal Compact e il Patto di Stabilità. Per la prima volta sindacati e organizzazioni di tutta Europa hanno fatto la scelta politica di mobilitarsi insieme. Ci troviamo a vivere da reietti il paradosso democratico che vede chi ha portato alla crisi pretendere di risolverla, cercando risposte tra quelle che ne sono state le cause più lampanti, a cominciare dal mantra del debito pubblico, oggi mediaticamente paventato dallo spauracchio dello spread. La crisi scuote la politica e vediamo i nostri presunti rappresentanti scavalcati da figure non elette, incapaci di trovare risposte e di dare soluzioni che siano in continuità con le esigenze concrete dei cittadini.

Nel contesto italiano, siamo testimoni della nascita di una nuova mobilitazione animata da chi, più di tutti, vive nella precarietà e non vede un futuro. I giovani e soprattutto gli studenti medi hanno dato vita ad una contestazione larga, che nasce dall’ulteriore condanna imposta al settore della conoscenza e della formazione e va ben al di là di un disegno di legge.

Dall’altra parte, però, c’è il potere. Indifferente di fronte a quanto sta avvenendo per sua causa, mostra una chiusura totale alle richieste dei cittadini. E il 14 novembre, al di là di come un qualunque la cittadino la possa pensare e di come possa schierarsi con “poliziotti” o “manifestanti”, è chiaramente passato un messaggio. Dopotutto, è meglio non scendere in piazza; i cortei finiscono per essere pilotati o strumentalizzati da pochi, può essere pericoloso. Ecco, non “reprimere” con l’esercito per le strade, ma dare degli assaggi e “soffocare”lentamente: quanti degli studenti medi, che a Roma partecipavano alla loro prima manifestazione e si sono trovati a fuggire, torneranno in piazza?

A questo proposito, non si può considerare la gestione delle piazze soltanto come qualcosa di pratico, occasionale e meramente formale. Le modalità corrispondono ad una scelta politica: così, quella che sembra forma si rivela essere sostanza. Da diverso tempo, nel caso dei cortei studenteschi, non vedevamo le forze dell’ordine agire in quel modo. E’ incredibile come le istituzioni abbiano minimizzato o finanche ignorato il lancio dei lacrimogeni dalle finestre della sede del Ministero degli Interni. Si è trattato di un fatto gravissimo, che ha due effetti principali: da una parte devia ulteriormente l’attenzione dalle dinamiche che hanno portato agli scontri sul Lungotevere e alla successiva caccia all’uomo; dall’altra mostra la libertà che i vertici delle forze dell’ordine si stanno prendendo col pretesto della pubblica sicurezza. I fatti di quel giorno lasciano pensare che ci sia un disegno preciso, che potrebbe essere utilizzato nell’immediato futuro per il “contenimento” dell’espressione del dissenso, delle cui implicazioni abbiamo avuto un primo assaggio. A tutti gli effetti, un disegno politico.

Federico Gennari Santori - http://dailystorm.it


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